Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Scritti pubblicistici
Lettura del testo

Parte prima Articoli de La Divina Provvidenza

1897

3. Monsignor Placido Pozzi e monsignor Giovanni Battista Ressia.acapo.Anno V, n. XI, ottobre 1897, pp. 80-82

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Mons‹ignor› Placido Pozzi e mons‹ignor› Giov‹anni› B‹attista› Ressia
Anno V, n. XI, ottobre 1897, pp. 80-82. Attribuito.
Sono due insigni prelati ai quali siamo legati da particolare riconoscenza.
Mons‹ignor› Placido Pozzi, morto sul principio di quest’anno 1, era nato a Villanova di Mondovì il 17 settembre del 1819 da onorata famiglia, ove il culto del buon costume e l’amore della religione erano ereditari. Di ingegno precoce e d’indomito volere, andato a studio nel collegio di Nizza al Mare, vi si distinse subito fra i primi e, docile alla voce del Signore che lo chiamava al sacerdozio, approfondì gli studi sacri compiendoli a Torino col dottorato in teologia nel 1842. Poco dopo, mons‹ignor› Tommaso Ghilardi lo volle suo segretario a Mondovì e vi stette fino al luglio del 1851, e lasciò quell’ufficio per assecondare il desiderio del sovrano Vittorio Emanuele che lo [81] chiamava a sé in qualità di precettore de’ suoi figli. « Per - 242 -ben 12 anni — così il canonico Valeriano Aguzzi nel suo Elogio funebre — senza che lo splendore delle umane grandezze abbagliasse mai la sua vista, che spingeva costantemente in alto, edificò quella corte, compiendo da pari suo il nobile mandato. Tutti, senza eccezione, a corte stimavano e riverivano l’abate Pozzi, riconoscendo in lui l’amico franco e leale del re, il consigliere e consolatore delle due regine, la guida saggia e sicura dei reali principi, il tipo del perfetto ecclesiastico » 2. Lasciata nel 1864 la corte, tornato alla sua diocesi, fu prima direttore del seminario, cui attendeva con amorevole sollecitudine, poi vicario generale, poi vescovo, e l’episcopato, ch’egli temeva come peso insopportabile, ne ravvivò l’ingegno, ne rinvigorì la sanità e l’armò di coraggio. Pensò tosto a diffondere vieppiù la dottrina cristiana, a compiere le leggi sinodali; per tre volte visitò la diocesi intera reggendo a fatiche incredibili. Sommamente devoto al Vicario di Cristo, o scrivesse pastorali che furono in gran numero, o predicasse come faceva sovente, il suo linguaggio era limpido, facile, efficace, come voce che nell’anima si sente. Grande cura ebbe sempre del seminario e delle scuole apostoliche, del collegio vescovile e di tutti gli istituti ove si educa la gioventù, perché sapeva quanto il buon indirizzo dato in quell’età valga per tutta la vita. Per le vergini sacre d’ogni ordine nutriva benevolenza paterna, e usò cure assidue perché fossero e comparissero sempre davanti allo Sposo celeste sagge, prudenti, ricche dell’olio dell’orazione, della carità e delle buone opere, fragranti di castità, di mortificazione, di umiltà e di ogni altra virtù propria del loro stato. Non vi fu opera santa e buona o utile che non l’avesse a generoso patrono; zelò la pietà verso la Madre di Dio e l’abbellimento del suo santuario. Tutti accoglieva e delle rendite sue e di quelle che la regale liberalità gli forniva era largo per il bene della Chiesa e per il sollievo d’ogni miseria; quando entrò nella sua diocesi il colera, lo si vide dove il morbo infieriva più forte.
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Queste notizie le abbiamo cavate, e trascritte quasi alla lettera, dall’elogio funebre già citato e dalle iscrizioni dettate in onore di mons‹ignor› Placido Pozzi dallo illustrissimo e reverendissimo mons‹ignor› teol‹ogo› comm‹endatore› A‹ndrea› Ighina 3, e speriamo che varranno a dimostrare ai nostri amici e benefattori a quali valide mani fossero affidati i nostri chierici. Perché bisogna sapere che, avendolo noi trovato un giorno e avendo a lui aperto il nostro cuore addolorato per l’avvenire de’ nostri chierici, egli ci confortò e ci offerse il suo seminario. Opera buona, opera santa fu la sua! E se ne trovò contento, come ce l’ebbe a ripetere più volte, e nelle lettere che ci scriveva parlava a noi dei chierici nostri con parole di consolazione e di incoraggiamento.
Anche il novello venerandissimo vescovo di Mondovì mons‹ignor› Giov‹anni› Battista Ressia volle dimostrare ai chierici della nostra casa la sua particolare benevolenza. Allievo del Cottolengo di Torino, mostrò per coloro che si propongono di camminare per la via segnata dal Cottolengo stesso il massimo interesse, e promise che avrebbero costantemente in lui trovato un padre affettuoso, che li avrebbe visitati bene spesso, che in modo particolare avrebbe vegliato sopra di loro, perché il secolo presente ha un gran bisogno delle istituzioni di carità e le istituzioni di carità un gran bisogno di sacerdoti fatti secondo la mente e il cuore dei grandi maestri: per parlare solo dei morti, don Bosco e Cottolengo.
E qui ci sia concesso di riportare i cenni biografici che di mons‹ignor› Ressia, troviamo nel giornale di Cuneo Lo Stendardo: « Giovanni Battista Ressia nacque in Vigone, nobile terra della diocesi torinese, l’anno 1850. I suoi genitori, ricchi, più che di censo e di nobiltà, di elette virtù, educarono il giovinetto alla loro scuola e lo consegnarono buono e virtuoso al Cottolengo, dove fece gli studi ginnasiali. Passato poi per lo studio della teologia nel seminario di Chieri e in seguito nel seminario maggiore di Torino, il giovane chierico sempre si distinse fra i - 244 -suoi condiscepoli, sicché veniva eletto dai superiori a secondo prefetto nell’ultimo corso di teologia. Laureatosi con uno splendido risultato, [82] il teologo Ressia passò a Bra in qualità di vice parroco e poscia fu poi chiamato da mons‹ignor› Vassarotti a seguirlo come segretario nella diocesi di Pinerolo. Di più non si mosse dopo la immatura morte del suo caro vescovo. Insegnò dapprima teologia morale nel seminario, andò parroco della importante e difficile parrocchia di Bricherasio e finalmente venne eletto canonico curato della cattedrale. Dire in quale stima fosse tenuto da tutti, anche da’ suoi nemici, che furono però pochissimi, e quale larga eredità di affetto lasci egli in quei luoghi che furono teatro delle sue apostoliche fatiche, non è compito facile. E questo rallegra i monregalesi, che già hanno legato a lui il cuore e già lo amano qual padre carissimo e lo venerano quale incomparabile pastore. Nominato dal sommo pontefice Leone XIII il 30 marzo di quest’anno vescovo di Mondovì, egli giunse alla sua diocesi nella festa tanto cara al Santo Padre e a tutti cristiani, la festa della Madonna del rosario. Mondovì lo accolse con quella maggiore solennità che fu possibile e tutti i ceti di persone andarono a gara nel tributargli omaggio di stima, di venerazione, di affetto » 4.
Ai nostri amatissimi chierici, già partiti per il seminario di Mondovì, mandiamo il nostro affettuosissimo saluto. Oh, noi siamo certi che, quantunque lontani, si ricorderanno del particolare spirito della nostra casa e non verranno mai meno a quelle speranze che noi abbiamo in loro riposte!
Siate, o confratelli dilettissimi, divoti, studiosi, educati, casti, ma sopratutto mortificati, che della mortificazione noi abbiamo bisogno in modo particolare per saper vivere col povero e stendere la mano per lui. Siate riconoscenti al vostro eminentissimo vescovo, ai vostri venerandi professori e superiori e non tralasciate occasione per loro dimostrare la gratitudine vostra. Pregate per noi, per i vostri particolari benefattori; noi pregheremo per voi ogni , prostrati davanti all’altare del sacro - 245 -Cuore, e faccia il Signore che nel prossimo anno, superati felicemente gli esami, possiate ritornare tutti in mezzo a noi più ricchi di dottrina, di virtù e di pietà.




p. 241
1
Cfr. Necrologio, p. 239.


p. 242
2
Elogio funebre di monsignor Placido Pozzi vescovo di Mondovì letto dal canonico Valeriano Aguzzi nelle esequie trigesimali celebrate nella cattedrale il 18 febbraio 1897, Mondovì 1897, p. 9.


p. 243
3
Riferimento a due testi epigrafici posti al termine della pubblicazione citata alla nota precedente; l’A. ha ripreso quasi alla lettera quello più ampio, dal titolo Al feretro, ivi, p. 31.


p. 244
4
Solenne ingresso di Mons. G. B. Ressia in Mondovì, ne Lo Stendardo, anno VI, n. 229, 2-3 ottobre 1897, p. 5.


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