Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Scritti pubblicistici
Lettura del testo

Parte prima Articoli de La Divina Provvidenza

1909

21. Domenico De Antoni.acapo. Anno XVI, n. 6, giugno 1909, pp. 71-74

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Domenico De Antoni
Anno XVI, n. 6, giugno 1909, pp. 71-74.
Il Cuore di Gesù si compiace di stampare le sue orme nei cuori semplici ed innocenti i quali ne rispecchiano la santità, l’umiltà, la soavità, la generosità, il martirio, e accade talvolta di vedere persone dall’apparenza spregevole operare meglio di altre che paiono illuminate.
Alcuni anni addietro un parroco della provincia di Pavia [72] ci scriveva raccomandandoci il suo vecchio sagrestano dicendo: « Ha una pazienza da santo, ma ha certe stramberie e divozioni che in luogo di edificare fanno ridere e paiono melensaggini di chi non ha tutta intera la facoltà di ragionare. Riceva il nostro Domenico nella sua arca di Noè 28 e facendo contento lui, solleverà noi di un peso divenuto insopportabile... ». L’arca di Noè si aperse a ricevere l’ex sagrestano, il quale fu subito addetto all’infermeria dei poveri vecchi.
Quando Domenico De Antoni si presentò alla casa, parve un Giuseppe Benedetto Labre per la sua povertà e per la sua umiltà e il direttore, leggendo dentro a fondo in quell’anima - 709 -bella, la ritenne un dono della divina Provvidenza per l’edificazione propria e di tutta la casa.
Pallido, magro, aveva acceso il cuore dell’amor di Dio e i suoi occhi pigliavano baleni di gioia nel fissarsi in Gesù esposto sull’altare o rinchiuso nel santo tabernacolo. Per tutto il resto quelle pupille parevano morte, ma in chiesa nulla valeva a distrarlo, né l’andirivieni fosse pure di un reggimento intero, né qualunque altro rumore. Immobile com’era, pareva estatico anche quando, forse a sua insaputa, usciva in esclamazioni amorose per colui che sapeva dar fiamme e luce a quel corpo estenuato, a quelle pupille semispente. Coll’ardore di un cherubino s’accostava ogni giorno alla santa Mensa e pareva non uomo ma angelo quando si stringeva al petto il suo Gesù. I ricoverati, compresi di edificazione, non chiamavano col suo nome il piissimo Domenico, bensì « Benedetto Labre ».
La carità di lui, attinta al tabernacolo santo, egli espandeva poscia per i ricoverati della casa, ai quali teneva discorsi santi parlando loro della preziosità dell’anima, dell’orrore del peccato, della bellezza della virtù, del paradiso, di Dio. La parola rozza dell’ex sagrestano, quando parlava di cose celesti, assumeva una grazia ed una forza irresistibile e i fanciulli stavano ad ascoltarlo estatici. Era commovente spettacolo vedere il caro Domenico, circondato da molte persone, parlare infuocato delle cose di Dio nell’infermeria, nelle camerate, perfino nei cortili. Taluno usciva talvolta [73] a dire: « È matto, è matto! », ma poi chinava lo sguardo commosso e mutando ad un tratto il proprio giudizio si correggeva: « Pare un santo, è proprio un santo! ».
Quell’uomo singolare mangiava appena quanto bastasse per tenerlo in vita e, avido di mortificazioni, cercava cibi meno graditi e prendeva per sé il rifiuto degli ammalati.
Disimpegnava col massimo impegno l’ufficio di infermiere ed era felicissimo di passare le notti vegliando gl’infermi più gravi, contentandosi di brevissimo riposo sulla sedia ad essi vicino.
Tutti gli anni per la festa della Madonna del Carmine soleva pellegrinare alla chiesa dov’era stato in servizio di sagrestano. Il direttore dandogli il permesso gli chiedeva se avesse il necessario per il viaggio, ma egli rispondeva con fede: « La Provvidenza ci - 710 -penserà », ed affidato interamente ad essa partiva. Si seppe poi che quel viaggio sotto il sollione egli lo faceva a piedi in due tappe, e da Como a Pavia la strada è lunga. Conosceva alcune famiglie caritatevoli e ad esse cercava un boccone per sostenersi e poca paglia per passarvi la notte, benché la notte fosse breve per lui che molta parte ne passava in orazione.
Giunto alla meta del suo viaggio, il suo paradiso consisteva nel restare lunghe ore davanti a Gesù adorando e nel rimirare la nota effigie di colei che, Vergine e Madre, lo aveva innamorato della vita dispregiata e della mortificazione.
Gesù e Maria, che per amore dell’uomo peccatore si sono fatti poveri e ludibrio degli uomini 29, amano di preferenza gli umili, i negletti del mondo. Chi può pensare come avranno ricolmato il cuore di quel poverello? Soltanto questo amore divino può darci un’idea del mistero d’amore e di dolore, del desiderio di mortificazione e di martirio donde erano presi i santi. Bastava ad essi dare un pensiero al cuore trafitto del Salvatore, alle spade dell’Addolorata per immergersi in una contemplazione che li tramutava in eroi. Gesù, che si compiace di queste anime, ordinava all’Alacoque di diffondere la divozione al suo Cuore divino e gli umili rispondono con prontezza e fedeltà alla chiamata soave.
Le notizie che abbiamo date ed altre più diffuse possono leggersi in una deposizione firmata da Pietro Osmetti 30, confratello contemporaneo del nostro rispettabile Domenico De Antoni. [74] Non riportiamo qui questo atto perché lo spazio ci manca, ma confidiamo che quanto si è detto basti ad invogliare molte anime a corrispondere alla divina chiamata.
Non si propone ad imitazione questa vita singolare perché le singolarità devono rispettarsi, non imitarsi, e Dio le vuole nella vita per mostrare che tutte le creature, anche le più spregevoli all’occhio nostro, possono lodare il Signore purché il loro fine sia santo e la fede e la carità siano ornamento dell’anima loro.
Sac‹erdote› Luigi Guanella




p. 708
28
« Si disse allora [1890] che la casa [di Como] fosse come un’arca di Noè, perché vi erano raccolti vecchi, ciechi, zoppi, infermi, sordomuti, studenti che frequentavano le scuole esterne e ragazzi che ricevevano l’istruzione elementare internamente o che si applicavano a qualche mestiere » (Martino Cugnasca, Don Guanella « uomo straordinario nelle opere e nelle virtù ». Deposizione al processo apostolico di beatificazione, Roma 1989, p. 51).


p. 710
29
Cfr. Sal 22(21), 7.


30
Cfr. Necrologio, LDP, agosto 1897, pp. 67-68.


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