Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Scritti pubblicistici
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Parte prima Articoli de La Divina Provvidenza

1910

32. Una primizia della Casa della divina Provvidenza.acapo. Anno XVII, n. 8, agosto 1910, p. 125

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Una primizia della Casa della divina Provvidenza
Anno XVII, n. 8, agosto 1910, p. 125.
‹Una primizia della Casa della divina Provvidenza› è stata trapiantata nella certosa di Vedana, in provincia di Belluno, e vogliamo sperarlo non inutilmente, perché nelle preghiere di quei cenobiti troviamo la spiegazione dell’enigma come con tanta deficienza di mezzi l’opera nostra abbia raggiunto uno sviluppo « ch’era follia sperar » 28. Diamo qui nella sua integrità la lettera semplice e buona di un laico certosino che fu dei nostri e che partì da noi in cerca di maggior perfezione.
D‹on› L‹uigi› G‹uanella› 29




p. 761
28
Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, 42.


29
Nell’originale segue: « Rev‹erendissi›mo don Luigi, quanto silenzio! Son più di cinque anni che non ci scriviamo. Le domando perdono se in tanto tempo non le ho scritto. Che vuole? Ora, benché sotto ogni riguardo sia l’ultimo, pure sono certosino, e la vita dei certosini è vita di silenzio e di solitudine. Vita ch’io ho tanto bramato e che per giungervi lei sa a quanti rischi sia andato incontro, quanti replicati sforzi abbia fatto per allontanarmi dalla carissima Casa della Provvidenza. Oltre a quello che a lei è noto, deve sapere che quando abbandonai Lugano per recarmi alla certosa, dovetti fermarmi due giorni a Como e a Milano e in questo tempo vidi molti de’ miei antichi compagni e bruciavo dal desiderio di parlar loro, di andare a dormire sotto il tetto di quella casa di cui io aiutai a mettere le fondamenta e che per quasi nove anni mi fu vera madre. Ma con la grazia del Signore ho potuto vincere questo desiderio e preferii dormire all’albergo piuttosto che mettermi a pericolo di sviarmi dalla propostami meta. E ora che sono in possesso di ciò che cercavo, mancherei al mio dovere se m’allontanassi dallo spirito del santo ordine a cui appartengo. Infatti che mi gioverebbe l’essere in mezzo ad un deserto, circondato da alte mura e chiuso in una cella, se poi volessi scrivere, anche una sola volta all’anno, a tutti quelli che mi furono superiori o compagni? Rispondo solo alle lettere che mi giungono e così godo la pace che mi offre la solitudine. Con questo non intendo di scordarmi di loro nelle mie orazioni, sia di giorno o sia nelle lunghe veglie della notte. [126] Ma io so, o rev‹erendo› don Luigi, che lei ama la solitudine più di me e mi ricordo che, in mezzo alle molteplici sue cure, pure si ritirava due volte all’anno per fare gli Esercizi spirituali. Ebbene in questa nostra casa di Vedana vengono molti a fare gli Esercizi e sia sacerdoti secolari che regolari. E non potrebbe anche lei venire in questo santo luogo a riposarsi un poco e a godere le dolcezze della solitudine? I miei venerabili superiori la riceverebbero ben di cuore. Io spero che non ricuserà questo invito e con ciò, oltre a mantenere la promessa che m’aveva fatto di venire a trovarmi, ci potremmo dare l’ultimo addio prima di partire alla volta del cielo. Mi raccomando alle di lei fervorose preghiere, a quelle de’ miei compagni, delle suore e di tutti i ricoverati. In ricambio può assicurar tutti ch’io non mi dimenticherò mai di loro presso il Signore. Mentre le chiedo la sacerdotale benedizione, mi dico di lei antico e indegno figlio Fra Francesco Trinca. Da Vedana 1.8.10. Sia lodato Gesù Cristo » (LDP, agosto 1910, pp. 125-126).


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