Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Scritti pubblicistici
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Parte prima Articoli de La Divina Provvidenza

1915

4. Amore e dolore.acapo. Anno XXII, n. 4, aprile 1915, pp. 54-55

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Amore e dolore
Anno XXII, n. 4, aprile 1915, pp. 54-55.
Sono le due ali per ascendere in alto del paradiso con G‹esù› Cristo risorto trionfante.
Alla solennità del santo Natale segue quella dei santi martiri Innocenti; alla festa di Pasqua seguono le feste di altri santi - 902 -martiri. Con innocenti e martiri ci siamo testé incontrati sul campo degli Abruzzi, campo santificato nel recente terremoto dal dolore e dall’amore.
I centocinquanta bambini innocenti che si poterono accogliere nel nostro Ospizio Pio X, a San Pancrazio, riempivano l’aere intorno di gemiti pietosi: piangevano per il padre o la madre od ambedue i genitori laggiù sepolti vivi, piangevano per la fame patita e le angustie di morte sofferte tra le macerie dalle quali si poterono sottrarre, piangevano per i volti amichevoli che a loro sorridevano e che non riconoscevano per i volti noti dei genitori, dei fratelli, delle sorelle, piangevano per la lontananza dal luogo del loro nascimento. Gemevano i meschinelli.
Le Figlie di santa Maria della Provvidenza in San Pancrazio, udita la desolante sciagura, si offrirono a curare quegl’innocenti bambini di pochi mesi o di pochi anni che, sottratti alla morte, venivano condotti a dozzine, bisognosi di ogni soccorso. Conveniva tosar loro tosto i capelli e purificare con rasoio e lavature le loro testoline brulicanti d’insetti e di vermi, bisognava purgare le loro personcine con bagni tiepidi e rifornirli di biancheria e di abiti puliti, che la carità cittadina offriva ai vari comitati della Gioventù cattolica, del Patronato Regina Elena, ovvero famiglie private avide di porgere personalmente le offerte proprie.
Intanto i gemiti delle creature innocenti crescevano di giorno e di notte. Le suore curanti ne erano intenerite e, ispirandosi alla fede ed alla carità, si ripetevano l’una all’altra: « Sono pianti celestiali e suppliche che inteneriscono il Cuore di Gesù Cristo; quei gemiti d’innocenti valgono a difenderci dal colpo dei divini castighi. Com’è bello soffrire cogli innocenti e per gl’innocenti! ». Con questi accenti e con la gioia che in ben fare inondava loro il cuore, presentavansi ai parenti ed agli amici che cercavano con ansia fra quei bambini il figlio o il nipote proprio.
Persone ragguardevoli impegnarono la stessa famiglia reale a scoprire fra tanti un loro figlio di tredici mesi di cui presentavano i lineamenti fotografici. Di tanti derelitti, incapaci di parlare, per conoscere le generalità bisognava interrogare i visitatori, - 903 -i parenti, i compaesani, e quando ciò non bastava si dovevano disporre gruppi fotografici, dove guardando i visitatori potessero riconoscere i figliuoli cari. Non rare volte i miserelli si ammalavano di malattie infettive e allora si moltiplicavano le cure per trasportarli ad appositi ospedali.
Ma è detto che l’amore rende leggiere le fatiche. Le consorelle che erano accorse per le prime cure in Avezzano, pur stando sotto pioggie dirotte, fra nevi e geli, scrivevano: « Qui si sta bene e non vi è tempo di far peccati », e lavoravano dalle primissime ore del mattino sin verso la mezzanotte, non sicure di esser lasciate senza [55] disturbo nel breve riposo per le grida e le chiamate dei piccoli superstiti.
L’amore condisce le sofferenze. I bambini ben presto si stringevano al seno delle suore quali esse fossero, e per loro ogni suora era madre. Venendo a caso la madre naturale, domandava con ansia: « Non mi riconosci? », e le bambine si stringevano al collo delle suore quasi per dire: « Questa è la madre mia ». Bello vedere quelle creaturine, che non sapevano staccarsi un palmo l’una dall’altra, dividersi fra loro una pasta od un frutto che loro si dava, e sorridere benché mestamente ai sorrisi delle suore.
Dai visitatori si venne a sapere che tre fratellini furono salvi sotto il gremio della madre, che li difendeva a guisa di chioccia che raccoglie i pulcini sotto le ali, e spirava sopra di essi dando la vita come fa il pellicano pietoso. Talvolta tra le screpolature la mamma chiamava il figlio e questi le rispondeva, finché la mamma spirava e il figlio viveva più giorni sotto un tavolo o entro un camino da cucina. Due fanciullini narravano che, andando alla scuola, furono sorpresi dal terremoto, che acqua uscì dal suolo, che nubi di polvere coprivano cinque borgate all’ingiro, ridotte dal terremoto a dei mucchi di rovine. Questi ed altri racconti erano l’argomento dei loro discorsi d’una sincerità impressionante.
Il parroco di San Giuseppe, Aurelio Bacciarini, che si vide pellegrinare per le valli ed i monti dei paesi rovinati, mandò un’ora prima del suo arrivo un telegramma: « Preparate che giungo stanotte con 69 profughi ». Bisognava preparar loro un po’ di cena, e in furia e fretta quei sacerdoti e inservienti - 904 -stesero i loro materassi nel salone del doposcuola e diedero tosto a tutti modo di riposarsi.
A poca distanza, in via ‹di PortaAngelica, i religiosi di san Vincenzo, in parte già partiti per la guerra in Francia, in parte in procinto di partire, cedevano a noi il loro locale comodo con ampi saloni e vasto oratorio circondato da vastissimi cortili, e si collocarono ben cento meschinelli. Nella Settimana santa vi si terrebbe un triduo di esercizii ai soldati delle vicine caserme, predicato dal popolarissimo mons‹ignor› Sanfermo, canonico di Santa Maria Maggiore.
Così si passano le settimane e succede ad un mese altro mese di lavoro e di soddisfazione, di dolore e di amore, in prò di questa misera società che deperisce ogni giorno più e come l’infermo della piscina probatica sclama: « Hominem non habeo » 14. E noi lavoriamo, diamo il braccio ai languenti per aiutarli a immergersi nelle acque della probatica piscina che ristora i corpi e salva le anime.
Sac‹erdote› Luigi Guanella




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Gv 5, 7.


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