Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Fiore di virtù
Lettura del testo

Un fiore di virtù da terra trapiantato nel paradiso (1887-1888)

51. « Son polvere e favilla »

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51.
« Son polvere e favilla »
[II-15] « Son polvere nel corpo... eccolo il fango da cui Dio mi ha tratta... Son polvere nella mia instabilità e mancanza di ­buoni propositi, eccola la polvere della persona mia. Son polvere che viene agitata dal vento delle tentazioni. Ohimè, questo pugno di polvere ha osato sollevarsi incontro agli occhi dello Altissimo! Io non ne posso proprio più... Perché son nata per offendere Dio?... Sento il peso della mia iniquità... una gallina è di me più ­felice: ella non ha offeso Dio. Io mi sento meno del mio niente. Pietosissimo Signore, come siete immenso ed io come sono mi­nima 132 alla vostra presenza! Un nembo di pioggia di tribula­zione dissipi la polvere del mio nulla e mi elevi a Dio, fonte perenne di beatitudine. Il mio corpo, la mia anima è in sfacelo, io la mi metto tutta 133 alla provvidenza di Dio, ai comandi de’ superiori ».
Segue lettera dell’11 maggio 1886 134.
Quanti sensi in una lettera. Che specchio di virtù e di bontà!




p. 184
132
Originale: minimo.


133
Originale: tutto.


134
Originale: 11 apr. 1866. Poiché non risulta una lettera di Chiara Bosatta in data 11 aprile 1886, l’A. intende presumibilmente riferirsi a quella
che ha già citato (cfr. >nota 105), il cui contenuto di carattere spirituale si colloca adeguatamente nel contesto di questo capitolo: « [Pianello,] Da casa, 11 maggio ‹18›86. Molto reverendo padre, scrivere lo stato di pena d’ieri sera mi è impossibile. Io mi era ritirata in chiesa per raccogliermi e pregare un poco. Mi sforzava a pregare e sentivami fortemente rimproverare ch’io sono una malvagia, un’ingrata, una perfida, una infingarda e peggio. Che fui io stessa che ha crocifisso il Signore. Mi sentiva discacciare e ributtare da Dio. Mi trovava abbandonata a me stessa e a tutte le mie miserie e non sapeva a chi rivolgermi per avere aiuto. Mi assalì un certo timore, un affanno ed un’angustia che mi toglievano il respiro e la favella. Un freddo ed un caldo in tutte le membra, un prostramento di forze, un’inquietudine ed un odio a me stessa, una viva brama di patire e morire che mi sembrava cadere ad ogni tratto. Se mi conoscesse, o padre, come io stessa conosco me, certo che crederebbe che fui io quella che fece soffrire ogni sorta di pene a nostro Signore. O Dio, quanto sono ributtante ai vostri occhi santissimi! Inabissatemi, distruggetemi. Se io ho crocifisso Voi, Voi crocifiggete me, cruciatemi come a Voi piace. Datemi forza ed aiuto... Mi perdoni, o padre, se ieri sera non risposi alle sue domande. Era come soffocata da tutto ciò che mi opprimeva e non mi era possibile rispondere. Che pena, o padre! Da che sono venuta da Ardenno io mi trovai sempre in uno stato di avvilimento, di malinconia che mi fa essere scontenta ed insofferente assai. E la cagione di questo stato sono questi pensieri: cioè che tutto ciò che succede in me, avviene per effetto di superbia, di amor proprio, di finzione, di fantasia e per ingannare il mio confessore. O padre, e se fosse proprio vero, che ne sarebbe di me? Preghi tanto il Signore che mi salvi. Io non ne posso più anche adesso, non m’è ancora passata la borrasca d’ieri sera. O padre, riguardo alla mia salute io mi lascio governare totalmente da lei. La mia volontà voglio farla in nessunissima cosa e me la faccia negare sempre più che può. Io ho nessuna fiducia che abbia ancora ‹a› guarire de’ miei occhi. Il mal di stomaco da che mi ricordo io l’ho sempre avuto. Il vomito alle volte mi dura solamente per un quarto d’ora, una mezz’ora, ed alle volte per due o tre ore e non mi riesco a digerire da un pasto all’altro, ed allora mi viene poi anche il mal di capo. Mi avviene poi anche di tanto in tanto di sentirmi sfinita di forze, debole ed uno smangiamento al petto e più mangio, più mi sento diminuir le forze e ripugnare il cibo qualunque sia. Questo male credo che sia stata la paga di tutti i miei capricci fatti tre anni fa, quando voleva farmi monaca in quelle di Gravedona. In quell’anno questo male m’era durato quasi due mesi, l’anno scorso per tre e adesso ha preso possesso e viene e va quando vuole. Faccia di me quanto le piace, ma non mi mandi dai medici perché io temo di qualche cosa. Io dico tutto a lei e basta. Alle volte dalla parte del cuore ed anche dalla parte destra mi saltano dei dolori acuti, ma vengono e vanno come lampi. Io provo un po’ di difficoltà ‹ad› andare a Como, perché mi pare che v’abbia ad essere molto dissipamento ed occasione di offendere il Signore. Vorrei morire, ma non ho ancor fatto niente, m’aiuti lei e mi porga mezzi di guadagnar molto e morire presto presto. Mi perdoni di tutto e massime dei disgusti recatile ed accetti i miei più ossequiosi rispetti. Sua indegnissima figlia Chiara B‹osatta›. P.S. O padre, io temo che ella abbia a dire qualche cosa a suor Marcellina di questo mio scritto » (Chiara Bosatta. Scritti e documenti, pp. 132-133).


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