Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Deposizione C. Guanella
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Deposizione sulla serva di Dio Caterina Guanella (1910)

Speranza

Sessione XIII - 29 novembre 1910

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Sessione XIII - 29 novembre 1910
LXII. [XIII-2]Ricordo pure molto bene che stante il rigorismo proprio di quei tempi, si trovava diffuso in molte persone lo scrupolo. La Serva di Dio discorreva quasi abitualmente dell’importanza della salute eterna, ma dove altri temevano ella confortava sé e gli altri e diceva: « Facciamo il bene più che possiamo, e confidiamo nei meriti di Gesù Cristo e nella bontà della Madonna benedetta ». E non mai si conosceva in lei segno di diffidenza.
Discorrendo anche dei protestanti grigioni che dal suo paese passavano, diceva: « Preghiamo tanto per essi, ché Iddio buono li salverà ». Con questo intendeva alludere ai protestanti di buona fede. Soggiungeva poi: « Quanto a me ed a noi, poveretti noi se non corrisponderemo alle immense grazie che Iddio ci ha fatte ».
LXIII. Aridità di spirito e tentazioni ne ebbe in tutta la sua vita, ma specialmente nel soggiorno con me a Savogno, allora in età dai 35 ai 40 anni. Era cupa cupa, spesse volte mal celava il suo pianto, mandava [XIII-3] singhiozzi ed accennava evidentemente al purgatorio interiore che soffriva. Con me poco si apriva, ma era tutta col venerando arciprete Luigi Del Curto, vicario foraneo in Piuro, al quale facevano capo da tutto il mandamento persone spirituali per consiglio.
Le tetraggini sue nascondeva all’apparire di qualsiasi persona anche spirituale, perché temeva di scandalizzarle. Non - 542 -rare volte diceva: « Il demonio è pure una brutta bestia, ma so che è come cane legato alla catena. Il Signore lo sa lui che cosa ha a fare di me, povera sua creatura ». Alludendo a queste prove di spirito non si incontrava con persone di confidenza senza dire: « Pregate per me, ma pregate tanto, perché io sono la più miserabile di tutti ed ho estremo bisogno che il Signore e la Madonna mi aiutino ». Per armarsi di celeste aiuto in queste lotte, pregava letteralmente sine intermissione 15. Nei viaggi teneva l’occhio fisso alle chiese che le si affacciavano ed entrava in ciascuna di esse per una visitina al Santissimo Sacramento ed alla Madonna. Io non ricordo che facesse preghiere speciali per esserne liberata. Più volte la sentiva ripetere: « Aggiunga pure il Signore in me pene a pene, purché mi tenga sempre la sua santa mano in testa. Tanto meglio per me che, a Dio piacendo, l’anima mia starà tanto di meno in purgatorio ».
LXIV. La speranza della Serva di Dio [XIII-4] era tutta in Dio e niente negli uomini. Molte persone vedeva affollarsele intorno, per sfogarsi con essa lei le loro amarezze. Mi risuonano ancora adesso le sue risposte: « Confidiamo in Dio e nella Madonna; gli uomini possono niente, non dobbiamo curarci dei loro giudizi, ma preghiamo che il Signore ci liberi del peccato ». Alle ansietà del padre e dei fratelli per qualunque avversità di secco o di pioggia, di malattia o di morte, la Serva di Dio ripeteva: « La sola cosa necessaria è salvarsi l’anima: le disgrazie del mondo sono grazie del Signore ». In dire questo mostravasi sempre uguale a se stessa, lieta e confidente in Dio. La madre, che ne conosceva lo spirito, ne ringraziava il Signore, ma il padre ed i fratelli, convinti o meno, la dicevano talvolta senza cuore.
Nel 1866, alla mia ordinazione sacerdotale, la Serva di Dio avrebbe tanto bramato di venire con me, che era stato eletto canonico teologo nella collegiata di Prosto. I genitori preferirono la sorella maggiore Rosa ed ella non ne mostrò risentimento di sorta. Ritornata poi con me, come già si disse, decise di dimorare in casa paterna sino alla morte per le ragioni che - 543 -espose anche a me più volte: « Mi sento di star sola, io ringrazio i fratelli; godo anche poca salute e potrò almeno dire qualche Pater. Non mi preoccupo punto del vivere, perché il Signore pasce anche le formiche ».
Io che ne conoscevo lo spirito ne fui tosto persuaso, ed esposta [XIII-5] la cosa al fratello don Lorenzo ed alla sorella Margherita in Ardenno, ne furono pure essi pienamente persuasi e dissero con me: « Beata lei, la Caterina, che è una santarella. E certamente conchiudevano poi che stando con noi non avrebbe poi avuto tanto tempo di stare intimamente unita con Dio, come nella solitudine di Fraciscio ».
LXV. Riguardo ai poveri, ricordo che ancor fanciulla, vedendo i poverelli e due donne di Menarola in ispecie, chiamate Filomene, ricordo che la Serva di Dio si affrettava alla mamma per portare lei stessa l’elemosina di una mescola di farina e simile. Con una certa Domenica Corti, molto povera, e una certa Antonia Gilardi, nubile, povera, affetta da male sottile, ricordo che avendo una mela, un grappolo d’uva, un po’ di zucchero e simile, portavali con ansia alle amiche inferme. Un vecchio ottantenne infermo, vicino di casa, stava abbandonato dai figli. La Serva di Dio correva a prestargli servizio e pregava poi tanto me stesso dicendo: « Tu che sei sempre in stanza a leggere, porta i tuoi libri e nel frattempo assisti il povero ­ Nesin ». A Savogno non faceva che narrare e raccomandare la povertà di quei poveri montanari, per i quali ella avrebbe data la vita. Da certe sue allusioni io arguiva che la poveretta molte volte si offriva vittima al Signore per ottenere sollievo ai poveri ed agli ammalati. Tanto più vivamente si commoveva per le miserie spirituali [XIII-6] del prossimo. Dei debiti era molto nemica: le pareva incorrere pericolo di mancare alla giustizia. Nell’ultimo giorno di vita mi disse: « Mi pare che mi rimangono ancora 400 lire. Vorrei fossero distribuite ai poveri e date in parte alla sorella Rosa per i tanti disturbi della mia malattia ». Le domandai: « Non vuoi lasciare niente per l’anima tua? ». E volevo alludere a lascito di sante Messe. Mi rispose semplicemente: « In questo mi affido alla divina misericordia ». Io interpretai queste parole come parole di un’anima che dona se stessa per gli altri, e che con questo e per questo si vede - 544 -omai alle porte del paradiso. Non domandava soccorso di elemosina per altri, per quanto mi consta, e mi pare non domandasse per altri nel timore che il prossimo conoscesse le sue medesime strettezze e se ne angustiasse.
LXVI. La Serva di Dio aveva speciale compatimento a quelle zitelle che rimaste per amore di Dio continenti, si trovavano poi abbandonate in famiglia nel giorno del bisogno. Parlava e scriveva a me delle sue vive aspirazioni per adunarsi lei ed altre pie compagne in una casa di affitto, dove nella preghiera e nel lavoro avrebbero passati i loro giorni. Sperava nel divino aiuto per la bontà dell’opera e per la carità di nostro Signore Gesù Cristo. Per farsi strada, accennava anche ai piccoli patrimoni di ogni zitella ed ai guadagni di lavori onesti. E in [XIII-7] questo argomento molto pregò e prese consiglio dal suo confessore e parroco, il nipote don Lorenzo Sterlocchi, che ne approvava il progetto. Il piccolo istituto doveva sorgere in Campodolcino, in locale già assegnato, ma alla Serva di Dio sopravvennero ben presto malattie e poi dopo la morte.
LXVII. Ricordo che nel suo cuore seppelliva le amarezze delle sorelle, delle cognate, delle nipoti, specialmente nubili. Ricordo che la Serva di Dio diceva: « Le pene dei parenti mi affliggono sopramodo; per una parte non vorrei mai incontrarli, perché io niente posso per loro, ma d’altra parte mi straziano il cuore. Farò sempre quel che Dio vuole ».
LXVIII. Io soggiungeva ai parenti: « La Caterina coi vostri piagnistei venite a soffocarla: bisogna pure che ciascuno di noi porti la sua croce ». E più volte essi mi rispondevano: « Che vuoi? Troviamo così un gran conforto a discorrerne colla Caterina ». Alcuni, come le cognate Margherita e Marianna, dicevano: « Noi siamo profondamente convinte che le preghiere della cognata Caterina ci hanno scampate da evidenti pericoli di corpo » e ne accennavano i particolari; verbigratia la Marianna, che nell’aiutare l’innalzamento di un carico di fieno, sentì una rottura interna, dai medici giudicata incurabile, ­eppure guarì perfettamente: questo fu attribuito alle [XIII-8] preghiere della Serva di Dio. In paese si aveva di lei tanta stima, che parecchi dicevano: « Fate pregare la Caterina, che è un’anima santa ».




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Cfr. 1Ts 5, 17.


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