Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Deposizione C. Guanella
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Deposizione sulla serva di Dio Caterina Guanella (1910)

Carità verso il prossimo

Sessione XV - 5 dicembre 1910

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Sessione XV - 5 dicembre 1910
LXXIX (Continuatio). [XV-2]Ricordo che la Serva di Dio ancor giovanetta si teneva informata mano mano dei malati, che ne parlava con forza di carità, che essendo donne le visitava bene spesso e si offriva a passare presso le stesse la buona parte della notte, secondo i bisogni. Questo avveniva più spesso in Savogno, presso le famiglie Succetti, Motalli, Tognini, che tanto apprezzavano l’opera della Serva di Dio. Non badava se si trattasse di malattie tifose o come che sia ributtanti. Parlava con tanta fede che morendo certo Agostino Succetti, la Serva di Dio diceva all’unica sorella Francesca: « Noi non dobbiamo piangere, perché abbiamo la speranza del paradiso; non piangere Francesca ». Questa rasciugò ben tosto le lagrime e si portò da forte nella fede. Con la medesima forza di fede, la Serva di Dio sostenne la vista della morte del padre, della madre, del fratello Gaudenzio e dei parenti in generale, fra i quali ella compariva come angelo consolatore, senza mai piangere.
LXXX. Persecuzioni la Serva di Dio ebbe a sopportare per conservare il decoro della virtù e per le [XV-3] pratiche sue divote. So che la Serva di Dio era dispiacente per l’offesa di Dio e per il danno che ne veniva alle anime, ma niente le caleva per se stessa e diceva: « Preghiamo, preghiamo ». Faceva sue le cause del padre, che per essere giusto e forte incontrò minaccie di multe o di pene, come in un contrabbando di sale all’alpe Angeloga attribuito falsamente a lui, come nella causa contro certo Trussoni Tomaso per un supposto reato di violato domicilio. La Serva di Dio faceva capo a me, teste, perché mi vi ponessi mediatore. Persecuzioni sue particolari vinceva colla pazienza e colla noncuranza. Riguardo al suo contegno verso quelli da cui o il padre o altri di famiglia o ella personalmente (verbigrazia la famiglia Trussoni, Michele e Tomaso) avessero ricevute offese, ella sapeva vincere in bono malum 22 dando a tutti il saluto.
- 553 - LXXXI. Studiavo io la condotta della Serva di Dio ed ero ammirato della sua delicatezza in genere nella carità del prossimo. Ripeteva: « Chi deve giudicare è il Signore; ­difetti ne abbiamo tutti, dobbiamo proprio compatirci: io sono la più miserabile di tutti. Il peggior male che possiamo fare è di giudicare il prossimo e di fermarci in pettegolezzi: facciamo la santa Comunione e non dobbiamo sporcare la nostra lingua ».
LXXXII. Dove la Serva di Dio sapeva [XV-4] di poter prestare opera di conciliazione, come in caso di divisione del­l’eredità paterna, il faceva con grande animo, e dove no, limitavasi alla preghiera. Circa i soccorsi della Serva di Dio ai poveri, mi rimetto a quello detto in altra risposta; qui solamente aggiungo che molto lavorava per i poveri in genere e per i chierici poveri.
LXXXIII. Mi consta che raccoglieva qualche elemosina per l’Opera, incipiente, della divina Provvidenza, alla quale inviava degli involti di calze e di indumenti fabbricati colle sue mani.
LXXXIV. Come ho già detto, la Serva di Dio si consigliò anche con me per fondare una casa di ricovero per le celibatarie. Aveva già a mezzo contratto un affitto di una casa (credo nella frazione di Asèe, forse nella casa Zaboglio) ma poi per l’avvenuta morte della Serva di Dio, tutto fu sospeso. Non forse sperava che io, teste, vi mettessi mano per aiuto; io sono in dubbio se ciò mi abbia detto, ho udito però da altri che la Serva di Dio s’esprimeva in questo senso.




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Cfr. Rm 12, 21.


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