Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Il pane dell'anima (I corso)
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IL PANE DELL'ANIMA PRIMO CORSO DI OMELIE DOMENICALI ESPOSTE IN UNA MASSIMA SCRITTURALE

Evangelio della terza domenica dopo Pasqua Guardateli gli schernitori del bene!

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Evangelio della terza domenica

dopo Pasqua

Guardateli gli schernitori del bene!

  1. [186]In questo sacro Evangelio abbiamo un padre amantissimo, Gesù Cristo. Questi vorrebbe che i suoi figli, i discepoli, conoscessero <la somma> dei patimenti che presto ha a soffrire lui in persona nella imminente sua passione. Vorrebbe che intendessero che lui risorgerà da morte, ma che poi dopo poco salirà al cielo.

  In far intendere queste dolorose notizie, Gesù con cuor di padre usa espressioni significative ma tronche, e dice: "Un poco di tempo e poi non mi vedrete più". Il tenero cuore di Gesù Cristo attende per significare agli apostoli suoi altresì le pene che toccheranno loro, perché anche qui adopera un discorso mestissimo congiunto alla dolcezza d'una speranza. Uditelo: "In [187]verità, in verità vi dico: voi vi lamenterete e piangerete, il mondo giubilerà; voi sarete nella afflizione, ma la vostra tristezza si cangierà in gaudio. Quando la donna in luce un figlio, sta in pena perché è venuta l'ora sua; ma dopo che si vede innanzi un bambino, non ricorda più i dolori sofferti per la gioia che prova d'aver messo un uomo al mondo. Così voi sarete adesso nella tristezza, ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore esulterà e nessuno vi potrà togliere il vostro gaudio"48.

  Fratelli degli apostoli e figli di Gesù Cristo lo siamo pur noi. Anche noi abbiamo a patire a guisa di Gesù ed a modo degli apostoli suoi, ma confortiamoci che ne avremo merito e godimento pari al nostro patire. I tristi che ci irridono lasciamoli. Volete vedere quanto è misero quel loro riso di scherno? Vi accontento di subito.

  2. Lasciateli stare gli schernitori del bene. Ascoltate questa similitudine. È tempo di carestia, tutti devono procacciarsi e

- 276 -lavorare; non mangiano se non quelli che sudano in faticare. Or figuratevi che molti, o meglio che i più di questo paese <si> levino su di buon mattino e poi che continuino [188]a lavorare tutto il . E intanto figuratevi che due o pochi poltroni stieno alla piazza a ridere quando gli altri sen vanno, a ridere quando questi mietono con maggior lena, a ridere quando ritornano già dal campo. Ditelo voi, che pensereste di quei che ridono tanto?... Non direste che sono stolti?  Ha delle persone matte che sono al manicomio, ossia in luogo di pianto, sono legate con catene mani e piedi, son prossimi a morire, eppure non fanno che ridere. Che pietà muovono questi miserabili! Ma compassione più viva io nutro per quei pazzi schernitori che ridono di tutto e di tutti. Pazzi meschini! Sono in terra, che vuol dire in luogo di patimento. Ridono quaggiù dove non è che la terra del pianto. E ciò che peggio è, ridono per tante loro sciocchezze e per tante iniquità medesime, per le quali più che rallegrarsene dovrebbero inorridirne. E voi ancora lascerete da far il bene perché un vanerello vi irride? Lasciamoli ridere gli schernitori tristi.

  3. Se oggi li vedete in gioia, domani saranno in lutto altissimo. Non è dubbio. Vi parlo con altra similitudine. Un fan<n>ullone della piazza possedeva già ingenti sostanze [189]e il padre suo gli disponeva copiosa eredità. Ma lo stolto, al costo di dimorare tutto il alla piazza per dir male di tutti e per ridere sovra tutto, adesso è agli ultimi minuti del suo denaro. Pure non se ne addà. Si ubbriaca per bene e poi ciancia e ride e poi s'addormenta. Vengono allora gli sbirri, e perché il disutile lo sanno trovarsi altresì carico di debiti, lo ammanettano e senza ch'ei s'avveda lo accompagnano al carcere. All'indomani lo sciagurato apre gli occhi e vede... Quale cambiamento!... Oh come <e>gli ricorda allora le risa del passato... come freme, come piange, come si dispera!... Ma non è più in tempo.

  Fratelli miei, quegli stolti irrisori, che finalmente sono giudicati da Dio e che vengono condannati alla carcere dello inferno, credete <che> abbiano tempo a riparare? Et tempus non

- 277 -erit amplius49... Oh che disperazione a trovarsi laggiù!... Pure non valgono le urla, niente i gemiti strazianti. Hanno riso e in luogo e di cosa e di persone che non dovevano mai, epperciò è giusto che or piangano in mezzo a quel guaio altissimo. Sicché, fratelli miei, lasciateli pure gli [190]schernitori del bene. Sono stolti. Gli sciocchi si compatiscono e non si temono.

  4. Scorgeteli ancora meglio in quella carcere. Gran male è aver perduto tutto quel bene suo, ma aggiunge gravità alla sventura l'aver incontrato un cumulo di tutti i mali. Un prigioniero avvinto da catene per tutta la vita soffre tanto. Che se il misero soffra e di capo e di denti e di ulceri e d'altri malanni assai, oh come si addensa il suo soffrire!

  Ed or pensatelo voi: nello inferno le pene sono intense e numerose nel medesimo tempo. Un ammalato quando ha dolori troppo acerbi perde il sentire e più non s'accorge. Così non è nello inferno. In un ammalato quando il male tocca lo spasimo si contano i minuti. Nello inferno nemmeno si contano i secoli, perché gli spasimi d'agonia si sa che durano per tutta una eternità. E voi temete uno schernitore del bene? Lasciateli, lasciateli che son troppo stolti. Il Signore nei libri dello evangelista Luca lasciò scritto: "Guai a voi che ora ridete, perché vi lamenterete e piangerete"50.

Riflessi

  1. [191]I buoni devono soffrire quaggiù, ma noi non temeremo le irrisioni dei tristi.

  2. Gli schernitori del bene sono pazzi miseri.

  3. S'avvedranno quando apran gli occhi nello inferno.

  4. S'avvedranno quando li circonderà i tormenti d'inferno.





p. 275
48 Gv 16, 16-23.



p. 277
49 Ap 10, 6.



50 Lc 6, 25.



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