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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO XV. L'uomo |
XV.
L'uomo
1. [113] Domandiamolo all'uomo di tutto il mondo: che hai dunque appreso tu dopo lo studio di molte migliaia di anni? E nello scorrere dei secoli qual bene hai operato?... E l'uomo ci risponde corruccioso con Ovidio poeta: "Io veggo il meglio ed al peggior m'appiglio".
Eccola la colpa dell'uman genere. Conoscere Dio e non adorarlo, quest'è che li fa riprovevoli, scrive san Paolo143. Iddio lo conoscono le genti per quel lume di verità che il Signore ha segnato in cuore a tutti. Iddio lo conoscono e le sue verità a mezzo di quel popolo missionario fra le nazioni e santo, il popolo di Dio.
Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe si mostrarono in predicazione ai popoli della terra, come prima Adamo, Abele, Enoc, Lamec144, Noè, e come di poi Mosè ed i profeti inspirati- 95 -. Questi hanno parlato a tutti con gli scritti. Hanno parlato con l'esempio alle più rinomate nazioni della terra. Per questo poterono le genti apprendere molte cognizioni.
2. Nella Cina Lao-tseu, 600 anni avanti Gesù Cristo, scriveva: "Il Tao, il Verbo, è oscuro ed ascoso; tu non potrai né vederlo né udirlo, egli è sempre in quiete e sempre puro; non opera punto per corpo né si muove, benché egli sia ciò che v'ha di più sottile; egli tutto prevede dentro di se stesso ed è profondamente nascosto al di fuori, [114] e <fa> tutto ciò che nasce <e> muore145. La via alla felicità od alla infelicità non è altrimenti indifferente; l'uomo solo si tira in capo o l'una o l'altra. La ricompensa del bene od il castigo del male son come l'ombra che segue il corpo, e sono egualissimi a lui nella forma e nella statura".
A Confucio che faceva pompa di scienza disse: "La vita consiste nel far mostra di esser quasi uno stolto. Lascia quelle vane forme, quelle smodate pretensioni, quei disegni che alla fin fine a nulla riescono. Questo è consiglio che io posso darti, approfittane".
Era nella Cina una scuola. Confucio egli solo ebbe tremila discepoli, dei quali ne distinse 72 in un ordine e 12 in altro. Diceva doversi onorare i re perché rappresentano la nazione e comandano in nome di Dio, doversi onorare i magistrati per ciò stesso, e doversi rispettar i morti per riconoscenza al bene che ci han fatto.
Poi rivoltosi al Salvatore che diceva dover giungere, pregava: "Io sono piccolo ed egli solo è il santo. Oh com'è grande la via del santo! Essa è come l'oceano, essa produce e conserva tutte le cose; la sua sublimità tocca il cielo. Oh quanto è grande e ricca!... Aspettiamo un uomo che sia tal da potere seguire questa via...".
Hanno poi i chinesi loro emblemi del Messia. Un bambino che esce fuori <da> una nube è detto il Desiderato. Una figura d'uomo porta il numero dieci, che è una croce, e significa misericordia. Molti caratteri tipici che si aggruppano intorno - 96 -<ad> un agnello vuol dire "cibo del popolo", e simili. Hanno l'idea d'una vergine madre che ritorna sovente.
Confucio dettò i suoi comandamenti così: "Umanità, giustizia, osservanza, probità, sincerità". Scrisse cinque Kinghi, o libri sacri, e [115] prima di morire ringraziò Dio d'averli potuto terminare.
3. Maggiore vantavasi la cognizion di Dio nell'India. I greci tennero gli indi come oracoli di sapienza. Budda, che nacque nel 1029 avanti la venuta del Salvatore, lasciò nozioni del diluvio avvenuto, della caduta degli angeli e degli uomini. Discorse d'un Salvatore aspettato, della necessità di far penitenza e di guardare al paradiso, allo inferno, al purgatorio, alla eternità che dura un centinaio d'anni di Brama, un anno del quale è lungo due billioni d'anni nostri solari. Queste dottrine, esposte nei libri di preghiera detti Vedas e in quelli di teologia detti Pouranas, eccitano gli indiani a supplicazioni, a pellegrinaggi, a penitenze indescrivibili. Hanno dieci comandamenti che sono: non ammazzare, non rubare, non dir falso testimonio, non dir parole disoneste, non essere interessato, non portar collera, non essere superstizioso.
4. Dei caldei si fa questione se sieno stati idolatri nel vero senso della parola. Credono alcuni che il culto che porgevano alle figure non terminasse nell'immagine dell'idolo, ma che passasse a Dio. Il popolo della Caldea fu il più fortunato perché più da vicino poté rammentarsi del popolo ebreo. San Giustino scrive: "I soli caldei ebber in dono la sapienza, siccome quelli che, pari agli ebrei, rendono un culto puro al Dio re che di per se stesso sussiste". Nel libro Zend-Avesta, attribuito a Zoroastro, si ammette un principio eterno e la risurrezione dei corpi.
Nello Egitto è filosofia eguale. I libri poi furono a principio i palazzi, gli obelischi, le colonne,[116] i templi, le mummie, i sepolcri chiusi nelle alte piramidi ovvero scavati nelle viscere del monte.
<5.> La scienza degli italiani e dei greci era la stessa dei popoli dell'oriente, ma i nostri la svilupparono vieppiù. Talete nel 639 avanti Gesù Cristo portavasi in Egitto e disputava a - 97 -mensa con il re Amasi146. Insegnava questa massima fra le molte: "Conosci te stesso". Pitagora di Toscana istituì una scuola. I discepoli vestivan di bianco, non mangiavano carni o pesci, non bevevano vino, dovevano confessarsi al maestro, conservare il silenzio e meditare profondamente. Diceva: "Dio è un solo e risiede intiero in se stesso, contempla nell'orbita universale tutte le generazioni; egli è il centro di tutti i secoli, l'artefice di tutte le podestà ed opere sue, il principio di tutte le cose; egli è il lume dei cieli, il padre di tutti, lo spirito della vita di tutto, il motor di tutte le sfere". Ebbe discepoli illustri, Timeo di Locri, Ocello147 di Lucania, Filolao, Empedocle, Archita.
Platone, che adunò nella sua mente le cognizioni fisiche, le intellettuali e le morali del suo tempo, le applicò148 alla costituzione di tre forme di governo, che presentate al tiranno di Siracusa, Dionigi, persuadevano in massima potere un popolo essere ben regolato e prospero quando in esso non fosse troppo149 <di> ricchezza, non mendicità spaventevole, ma una mediocrità ordinata di stato fra le persone.
Aristotile sentissi dire da Filippo, re della Macedonia: "Mi è nato un figlio, Alessandro di nome, e sono contento, ma più godo in potervelo assegnare per scolaro". Aristotile insegnava passeggiando e per questo la scuola sua fu chiamata peripatetica. Nelle ore antimeridiane insegnava nel liceo agli scolari suoi, nelle ore pomeridiane in ogni dì a tutti.
[117] Cicerone e sant'Agostino trovarono nella filosofia di Aristotile e di Platone una specie di trinità scientifica: l'ente, la verità, il bene, sulla quale si fonda il sillogismo, da Aristotile - 98 -praticato mediante l'applicazione delle premesse desunte dalla fede, ossia dal senso comune.
Accompagnò Alessandro fino in Persia, e come questi soggiogò i corpi, Aristotile poi nobilmente conquistò le menti, che ancora gli obbediscono. Disse la virtù un abito conforme alla prudenza. Il savio chiamollo il più felice, perché è meglio amato da Dio. Scrisse150 della Logica, o dell'arte di ragionare; della Dialettica, o dell'arte di discutere; della Metafisica, o della scienza delle idee universali.
6. Ma disse il vero Ovidio: "Io veggo il meglio ed al peggiore m'appiglio". Aristotile stesso, dopo avere insegnato da sapiente, ammaestrava anche da stolto con dire: "Tocca alla legge fissare il numero dei figli che può allevare un padre. Dopo un certo numero i nascituri si soffocano". E inculcava la schiavitù dicendo che al servo si deve un pane per salario, lavoro continuato e compassione nessuna.
La Grecia era il paese più civile e più libero del mondo. In Atene e dintorni erano quattrocento mila schiavi su trenta mila liberi. A Lacedemone si frustravano venti volte in un anno sol per ricordar loro che erano schiavi. Talvolta sceglievansi tra i giovani cittadini i più prodi, perché151 entrando a mano armata ne uccidessero migliaia come le fiere.
Morendo diceva <Aristotele>: "Io sono entrato nel mondo in mezzo alle sozzurre, vissi in esso nell'ansietà e n'esco152 fra il turbamento; o causa delle cause, abbi pietà di me!"
[118] La virtù dei filosofi era più spesso una superbia sottile ed una ipocrisia velata.
Diogene per fare intendere che sprezzava le cose di terra veniva innanzi con barba lunga, con capigliatura lurida, con le vestimenta a brandelli. Passeggiava con una bisaccia in ispalla e con in mano una scodella ed un cucchiaio. Sua casa era una botte. Diogene era mordace e non arrossiva di qualsiasi infamia. Aveva imparato da Antistene, al quale Socrate diceva: - 99 - "O Antistene, io veggo le tue vanità fuor degli sdrucci del tuo mantello".
Aristippo ed Epicuro insegnavano: "La virtù è il godimento; amico è sol quegli che può153 giovare". Pirrone dubitava di tutto e perfino della sua esistenza. Veduto il maestro Anassagora cadere in una fossa, non mosse piede per soccorrerlo. Zenone fondò la scuola stoica per contraddire a quella di Platone. Seguillo Seneca, il quale tolse a lodare ogni pazzia cruda di Nerone e così si guadagnò un tesoretto di sessanta milioni in moneta nostra. Cicerone studiava maggiormente la forma che la verità del dire. Diceva un vizio la pietà e la misericordia. Platone raccomandava il culto dei demoni e fu più tardi causa dell'eresia dei gnostici.
7. Socrate, <nato> nel 470 avanti Gesù Cristo, parve dare esempi di onestà. Si faceva presso ai sofisti, che negavano Dio e l'immortalità dell'anima, e diceva: "Voi non credete che Dio è, perché nol vedete, ma l'anima vostra potete vederla o toccarla? Ma benché sfugga ai sensi, pure ragiona e si risente al bene ed al male che fa. Esiste uno spirito buono, Dio. L'anima quando opera il male merita castigo perché faccia penitenza, ritorni a Dio e trovi in [119] quello felicità. Per questo meglio è essere ingiuriato che ingiuriare altrui". Di Santippe, sua moglie, sosteneva volentieri le noie e gli strapazzi "perché -- diceva -- mi confortano ad esercitare la virtù".
Citato in tribunale perché sprezzasse gli dei d'Atene, rispose: "La mia vita è in mano a Dio ed a voi". A costo della vita difese dieci capitani innocenti. Non approvava che i magistrati fossero eletti a sorte e ne faceva rimprovero. Interrogato se voleva la morte o pagare una multa, esibì una moneta del valore nostro di 92 lire e disse: "Questo è tutta la mia sostanza". Fu invitato <a> fuggirsene dalla carcere in Attica e Socrate domandò ridendo: "In Attica non si muore mai?" Quando gli fu posto la cicuta tritata e che la moglie e altre donne desolavansi, disse: "Allontanatele, che non conoscono virtù". Assorbì poi il suo veleno e posesi <a> passeggiare e per - 100 -ultima parola disse più in modo di scherzo che di verità: "Portate un gallo al dio Esculapio154, ché di tanto gli siamo ancora debitori".
8. Scriveva Rousseau ventidue secoli dopo Socrate e Platone: "Qual filosofo v'ha che per la gloria sua non ingannerebbe volontieri tutto il genere umano? Dov'è colui che dentro all'animo suo propongasi altro fine che quello di segnalarsi? Purch'egli s'innalzi sopra il volgo, purch'egli offuschi lo splendor de' suoi competitori, che gl'importa del resto? L'essenziale è pensarla diversamente dagli altri".
Eraclito dettò un Trattato della natura e mandollo a Dario, il quale se ne congratulò e disse: "Belle cose avete scritto, ma non tutte le intendo; venite che io vi colmerò di onori". Rispose Eraclito: "Io sprezzo le vanità che regnano nelle [120] corti, son contento della mia sorte e del vivere a genio mio".
9. Lo Egitto cercò pure la gloria sua e in tanta luce che vi sparsero Mosè ed i profeti ritornò idolatra rozzo.
I bramani dell'India si chiamavano gli dei della terra ed essi soli si dicono i sapienti. Mentre noi cattolici abbiamo in un volume tutta la Bibbia, e il sunto della Bibbia in un catechismo di poche pagine che tutti possono apprendere, nell'India il ristretto dei libri della legge sono 108 grossi volumi, che sol si possono trasportare sul dorso di cammelli e che nessun può leggere o interpretare allo infuori dei bramani.
A questi si possono applicare le minaccie di Gesù Cristo: "Guai a voi, dottori della Legge, che vi siete usurpati la chiave della scienza e non siete entrati voi e avete impedito quei che vi entravano!"155.
Si possono altresì applicare quest'altre: "Ora voi, o farisei, lavate il di fuori del bicchiere e del piatto, ma il vostro di dentro è pieno di rapine e di iniquità... Voi pagate la decima della menta e del cumino e avete156 trascurato il più essenzial della Legge, la giustizia e la misericordia e la fede. - 101 -Condottieri ciechi, che scolate un moscherino e ingoiate un cammello. Guai a voi!"157.
Non è sciocchezza d'idolo che non si veneri nell'India, non stravaganza di errore che non si accetti o crudeltà che non si commetta. Un quarto della popolazione indiana è dei poveri schiavi chiamati parias. Il mangiar con questi sciagurati, il toccar vivande da essi apprestate, il metter piè nelle lor case o servirsi delle loro stoviglie o farli entrar in casa propria, per i filosofi è un delitto che li disonora e che li fa escludere dalla casta. Non possono passare per le vie che son proprie dei bramani. [121] Un paria che ponesse piede sulla soglia d'un filosofo può essere issofatto ucciso. Nella China la condizione degli schiavi non è men dura che quella dei parias dell'India ovvero degli iloti di Sparta.
Verissimo è il detto del poeta latino: "Io veggo il meglio ed al peggior m'appiglio". L'uomo filosofo158 è chiamato per guardar a Dio, e al popolo per guidarlo in nome del Signore. L'uomo del popolo guarda al filosofo savio e gli obbedisce come a Dio. Ma quando il filosofo, a vece di lasciarsi regolare dalla voce di Dio, si conduce a seconda della passione, allora ei diventa un tiranno crudo e un furioso pazzo. I popoli in iscorgere o si ribellano ovvero che mordono in disperazione le catene; in ogni caso è una dissoluzione. L'uomo filosofo come l'uomo del popolo son costretti <a> guardare all'alto e gridare: "Manda, o Signore, il giusto che hai promesso. Solamente il Salvatore che vien da alto ci può salvare".
1. Il popolo di Dio si sparge missionario e predicatore fra popoli pagani.
2. Onesti insegnamenti dei cinesi intorno a Dio ed al Salvatore aspettato.
- 102 -3. Insegnamenti più precisi in ciò degli indiani.
4. Più che tutti, i persiani, più vicini agli ebrei, credono altamente di Dio.
5. Talete, Pitagora, Platone, Aristotile sviluppano la dottrina degli orientali.
6. Nondimeno Aristotile stesso, e con lui Diogene, Aristippo, Pirrone159, Zenone, insegnano anche assurdità e laidezze.
7. Socrate li convince di falsità.
8. Ma operava egli stesso il bene con ostentazione.
9. In Egitto e nell'India filosofi additano molte verità, ma lasciano correre il popolo al degradamento.