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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II XXIII. In tempo di persecuzione |
In tempo di persecuzione
1. [63] Nemmeno scandolezzatevi che i cristiani siano sempre perseguitati. E' stato perseguitato il maestro universale Gesù Cristo. Questi, in morire, ben disse che i suoi seguaci sarebbero stati inseguiti sino alla fine, ma li confortò con soggiungere: “Non temete, io sarò sempre con voi, e quando abbiate a rispondere dinanzi ai tribunali io vi metterò sulle labbra il discorso, e se vi toccherà sostenere molti tormenti, io darovvi forza sufficiente e pazienza a tutto”57. Non ammirate perché i cristiani sieno spesso mortificati. La Chiesa di Gesù Cristo è un'aia; è necessario che in essa soffi il vento delle tribolazioni perché si discerna il buon frumento dalla pula che poi si consegna alle fiamme.
2. Ritorniamo allo scorcio del secolo terzo della Chiesa.
L'evangelista san Giovanni, di Roma pagana, la donna prostituta che poggia su sette colli, aveva prenunciati terribili castighi e per ultimo uno sfasciamento ignominioso. Accadevano soventi pubbliche sciagure di fame, di pestilenze, di guerre civili, di tremuoti atti a scuotere tutta la terra. Di queste calamità ne accusavano i cristiani dicendo: “Non è dubbio, questo è castigo degli iddii perché nello impero i sacrileghi adorano - 166 -Gesù crocifisso sul Calvario”. I sacerdoti cristiani erano specialmente presi di mira, e fra questi il pontefice sommo.
3. Iddio permetteva le persecuzioni per rianimare la fede, per distaccare il cuore dei fedeli suoi dalle misere cose di quaggiù. Da trent'anni [64] ha cessato il grido: “I cristiani ai leoni!” Però <i cristiani> vivendo lieti nella conversazione con i pagani, più facilmente ne apprendevano di questi il costume.
Scrive il vescovo san Cipriano che in ispecie fra' suoi di Cartagine gli uomini tingevansi la barba, le donne si imbellettavano il viso e maritavansi con isposi pagani; rispondevano i fedeli con insolenza ai proprii sacerdoti, si conservavano odii spesso accaniti e si rispondeva con ingiurie ai torti ricevuti. Pensavano i cristiani con ardore alle terrene ricchezze e si aiutavano per arricchire con le frodi, con le usure, talvolta con le rapine. Perfino i ministri dell'altare con gara ambivano alle cariche, con vile interesse attendevano alle cure del ministero santo. La Chiesa dei fedeli aveva bisogno di un maestro, e questo presentossi nel terrore di persecuzione dello imperator Decio.
4. La persecuzione è altresì una prova, o sia un giudizio del Signore. Il momento della tribolazione è un giudizio preparatorio al giudizio di Dio, o particolare od universale... Oh quanto il fedele deve tremare all'ora della tribolazione! Se egli perde la pazienza è perduto.
Or sono a dire cose compassionevoli della prova dubbia che offerivano in qualche luogo certuni cristiani. Ebbero di quelli che all'annunzio di persecuzioni furono colti da timori e svennero. Alcuni si trovò che spontaneamente presentavansi per dire ai proconsoli: “Ditemi che è da farsi perché io possa aver salva la vita e lo impiego”. Altri sciaguratamente sacrificavano ancor prima di essere interrogati. Alcuni sostennero il peso delle interrogazioni e il tormento delle carceri e poi cadevano vilmente. Solevano i prefetti emettere certi viglietti che attestavano avere il cristiano in quelli inscritto rinunziato alla fede propria. Quegli attestati si avevano con lo sborso di una [65] somma. Presto se ne fece un mercato ignominioso. Chi riceveva il libretto di attestazione chiamavasi libellatico.
- 167 - Molti cristiani si diedero alla fuga. Turme di fedeli non volendo rinnegare la santa fede, eppur diffidando di poterla sostenere fra il fuoco dei tormenti, o si nascondevano ai monti o riparavano in lontane regioni. Dei meschinelli alcuni poi perivano di fame, altri cadevano per istenti, una parte cadeva schiava in mano ai barbari. Fra quei che furono salvi si trovò chi si diede alla vita eremitica e che pose cominciamento a quel popolo di anacoreti che poco di poi popolarono i deserti della Tebaide nello Egitto e di più luoghi in altre regioni.
5. Or quanto ai cristiani che sacrificando erano caduti, si disputò non poco fra i vescovi e con il pontefice a quali condizioni di pentimento si dovessero ammettere quelli che dolendosi aspiravano a rientrare nella Chiesa. Intanto i resipiscenti si raccomandavano dapprima supplici ai confessori intrepidi che avevano sostenuto o la carcere od i tormenti, e questo valeva a impetrare grazia.
Furono molti caduti che con viltà e con prepotenza pretendevano le raccomandazioni dei confessori, e questi alla lor volta si mostravano qualche volta vanagloriosi. La Chiesa mostravasi prudente in esigere prove migliori. Specialmente usavasi rigore verso a quelli che, rinnegata la fede con aderire allo scisma od all'eresia, dicevano di ritornare dolenti in grembo alla Madre che avevano e ingiuriata e abbandonata. I fedeli medesimi prendevano vivo interessamento in ciò, sentendosi in cuore di non doversi usare ai caduti né indulgenza né rigore eccessivo.
6. Moltissimi nondimeno, e in ispecie nella Chiesa di Roma, i cristiani sostennero un glorioso martirio. [66]In Roma erano il pontefice sommo san Fabiano con quarantasei sacerdoti che avevano cura di 1500 vedove e vergini e di un popolo numeroso di fedeli.
Decio aveva disposto tormenti di fiamme e di spade, terrore di carnefici e di belve. Il pontefice Fabiano pel primo sostenne il martirio e dietro a lui accorrevano festosi sacerdoti e fedeli. Apollonia sentì impulso dello Spirito Santo sì da scagliarsi nelle fiamme per non perdere con il tesoro della fede la perla della propria integrità.
- 168 - Alessandro, vescovo di Gerusalemme, per due volte sostenne tormenti e prigionie e fu coronato in Cesarea. Seguironlo molti de' suoi. Se accadeva che un meschino cedendo alla violenza dei tormenti venisse meno, subito si trovava chi accorrendo si offeriva a ricevere la corona da quello abbandonata. Uno sciagurato appena ebbe proferito un accento di bestemmia, si morse la lingua e morì in disperazione. Dionisia58 vergine si offerì per lui al martirio. Un Saprizio, benché ministro sacro, pervenuto già all'ultimo grado per spiccare un volo al paradiso, rifiutò <di> dare il perdono ad un Niceforo che ne lo supplicava, e di là perdette la grazia di Dio e di subito invocò gli idoli falsi. Allora accorse Niceforo e n'ebbe lui la palma del martire che già era disposta a Saprizio. Sant'Agata in Sicilia si ebbe dal tiranno squarciato il petto e fu guarita dall'apostolo Pietro che le apparve in visione.
7. L'impero romano discioglievasi. A Roma per qualche tempo perivano di pestilenza cinque mila in ogni dì. Molte città furono sobbissate da tremuoti. I persiani da oriente e i barbari dal settentrione invadevano oltre l'Eufrate e il Danubio e distruggevano le più popolose città. Dopo 150 anni di alcune metropoli appena si ravvisavano pochi abituri.
[67] Di qui gli imperatori ed i pagani prendevano motivo per inferocire nelle persecuzioni. Dopo sedici mesi dal martirio di san Fabiano fu eletto il pontefice Cornelio. Questi alla sua volta e con i cristiani più illustri di Roma confessò la santa fede. In morire ne porsero incoraggiamento ai fratelli di Cartagine.
E come san Cornelio, sostenne alla sua volta un glorioso martirio santo Stefano che gli succedette, non che san Sisto, il quale incamminandosi al martirio sentivasi ripetere con molti lai dallo arcidiacono Lorenzo: “Perché, o padre, ci abbandoni?” Al quale il pontefice: “Tu che sei giovine disponiti a maggiori tormenti e presto mi seguirai”. Il prefetto chiamò alla sua volta Lorenzo e disse: “Tu che sei amministratore dei - 169 -beni della Chiesa, mostrami i tuoi tesori”. Rispose Lorenzo: “Vieni e vedrai” e gli stese innanzi tutta la turba dei poverelli di Roma da lui soccorsi. L'imperatore, indignato, lo condanna ad essere bruciato vivo. Lorenzo stando sulla graticola mezzo arrostito diceva: “Volgimi e mangia”.
San Fruttuoso, vescovo di Tarragona in Ispagna, pregato a rifocillarsi nel cammino rispondeva: “Oggi è giorno di digiuno, io mi ristorerò nel paradiso”. San Saturnino vescovo di Tolosa, tratto da un toro furioso, lasciò le membra sparse fra' rovi.
A Cesarea un fanciullo, Cirillo, scacciato dal padre, volgeva gli occhi in alto per dire: “O Signore, il padre mio siete voi!” Minacciato di morte, rispondeva: “Vi prego, sollecitate, affin che me ne vada al Padre mio”. Il vescovo sant'Ippolito dopo molti tormenti fu relegato all'isola di Sardegna. Molti a vista dell'intrepidezza dei martiri santi sclamavano: “Anche noi siamo cristiani, porgeteci la palma del martire, troppo torto ci fareste a risparmiarci”.
8. [68] Personaggi illustri per sapienza, operatori di miracoli e possenti mandava il Signore a conforto dei fedeli. Oltre i pontefici illuminati ed i vescovi intrepidi, ai quali accennammo, visse in questo secolo Cipriano, luminare preclaro della Chiesa di Cartagine. Fu eletto nel 248 per volere di Dio, per unanime giudizio dei vescovi e per consenso del popolo. Diceva sovente: “Recatemi il maestro, il libro di Tertulliano”. Scrisse egli stesso il trattato Della vanità degli idoli, tre libri Delle testimonianze, che son come il germe della teologia scolastica. Compose trattati del vestire e della condotta delle vergini. Cipriano, creato vescovo, tolse per costume di non far cosa di rilievo senza domandarne consiglio a' suoi sacerdoti, ma quando talun di questi parve abusarne, Cipriano con costanza infranse gli arbitrii e si ebbe da Roma lode di fermezza.
Scrisse altresì il Trattato dei caduti e fu l'anima di talune assemblee conciliari, celebrate quando per confondere gli errori di Novato e di Novaziano, che dicevano fra l'altre <cose> non doversi perdonare ai caduti, ovvero per abbattere l'eresie dei rebattezzanti che affermavano non valere il battesimo conferito dagli eretici.
- 170 - I cristiani della Numidia, afflitti dalle invasioni dei barbari, erano venuti in grave povertà. Cipriano raccolse 100 <mila>59 sesterzi, che sono in moneta nostra 20 mila lire, e li mandò loro con il nome degli oblatori dicendo: “Pregate per tutti noi; rescrivete se altre necessità vi stringono”. Per tutti poi compose il libro Delle buone opere e delle elemosine. In tempo di peste scrisse il libro De mortalitate. In tempo di fervide dispute scrisse due libri, Utilità della pazienza e Dell'invidia e della gelosia. Estese lo zelo suo perfino alle Chiese più lontane con iscrivere ai vescovi che si guardassero [69] dallo inganno di molte eresie che serpeggiavano.
Cipriano fu dal proconsole Paterno condannato allo esiglio in Curubi. Ivi trovò migliaia di cristiani incarcerati. Trecento di questi furon consumati nella calce viva e furono perciò detti “massa candida”. Cipriano avvalorò tutti e, sentendo di essere alla vigilia del martirio e volendo morire fra' suoi, ottenne di essere coronato a Cartagine.
Nel 253 moriva anche Origene, dopo avere le tante volte confessato il santissimo nome di Gesù Cristo. Origene valendosi delle diverse scienze di filosofia, di storia, di geometria, convertì fra gli altri molti certo Teodoro, che fu poi detto Gregorio taumaturgo. Gregorio fu visibilmente ammaestrato da san Giovanni intorno alla divinità del Verbo. Come intese che volevanlo crear vescovo, si fuggì, ma ritrovato fu indotto ad accettare la sede di Neocesarea. Trovò ivi che in tutto erano diciassette cristiani. Or Gregorio in iscorgere che i cittadini invocavano il demonio nei pubblici teatri, predisse che tosto avrebbe invaso una peste micidiale, e questa non tardò. La gente traeva in folla a lui ed egli guariva tutti e scongiurava il fiero morbo. In stagione piovosa e nella quale il fiume straripava, Gregorio piantò il baston suo a certo limite e poi disse: “Oltre non passerai”. Per terminare le liti perpetue tra due fratelli asciugò una palude e la convertì in prato. Incontratosi con certo Alessandro che fingevasi carbonaio di professione, ma che in verità era filosofo cristiano d'alta virtù, subito - 171 -se n'avvide e creollo vescovo di Comana60, dove fu finché sotto Decio consumò il suo martirio tra le fiamme. San Gregorio era detto operator di miracoli a guisa di Mosè. Morendo trovò che soli dicias<s>ette [70] rimanevano tuttavia pagani e che tutti gli altri della vasta giurisdizione si erano convertiti alla fede di Gesù Cristo.
9. Altre eresie funestavano la Chiesa del Salvatore. Sabellio rinnovava le eresie di Noeto e di Prassea61, con negare credenza alla Trinità augustissima.
E Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia, venne al vescovo san Dionigi dicendo : “Io voglio insegnarvi la verità... or vi confermo che in Gesù Cristo son due persone, quella di Dio e la persona d'uomo”. Inorridì tutta la Chiesa a tanta bestemmia. San Dionigi papa con san Dionigi vescovo e con più altri condannavano Paolo, e valendosi del braccio civile lo scacciarono dalla sua sede in Antiochia.
Manete venne egli stesso da Persia e, giunto in Mesopotamia, si presentò al vescovo di Carri62, Archelao, e disse: “Il Paracleto del Signore sono io stesso, ed or vi insegno la verità, che è di due principii, l'uno del bene e l'altro del male in questo mondo”. Archelao di leggieri lo confuse. Manete assai riappiccava disputa, premettendo tante volte le particelle se... ma... Però non ottenendo, si volse a far l'istrione. Si offerì <di> curare il figlio del re di Persia, ma lasciatolo morire, Manete fu scorticato vivo e le sue carni furono date ai cani da divorare.
Archelao63, che vivo avevalo scomunicato, maledisse agli errori di Manete ancor morto e ritornò alla buon'opera di riscattare dai romani 7700 pellegrini cristiani, che postisi in cammino supplicavano per ottenere la pioggia.
Di questo modo avveniva fra i cristiani del secolo terzo. Molto bene operavasi e personaggi illustrissimi guidavano alla virtù perfetta. Nel mezzo erano alcuni deboli e pochi colpevoli.- 172 - Noi impareremo a magnificare Iddio per tutto il meglio di lode che gliene danno i fedeli suoi. [71] In quel di male che gli stessi seguaci di Satana talvolta commettono, noi impareremo a temere per noi stessi ed umiliarcene, allo scopo che da uno stesso male, la colpa, ne venga un bene utile, la virtù e la umiltà nostra.
1. Iddio permette le persecuzioni perché i dabbene sieno perfezionati.
2. Le pubbliche calamità di Roma pagana si attribuiscono ai cristiani.
3. Imperfezioni dei cristiani descritte da san Cipriano.
4. Libellatici.
5. I caduti.
6. Martiri illustri nella Chiesa di Roma e altrove.
7. Nuove calamità a Roma e più accanite persecuzioni.
8. San Cipriano conforta con molti suoi libri. San Gregorio, sant'Alessandro.
9. Eresie di Sabellio e di Manete condannate.