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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II XXV. Venite al deserto |
XXV.
Venite al deserto
1. [82] Venite al deserto. Nel deserto è Elia, nel deserto è Giovanni Battista; venite al deserto che ivi nella solitudine è il Signore. Veniamo ai deserti di Palestina o di Egitto o di Siria, suoli convertiti in abitazioni di santi; le case son le celle dei romiti devoti, le città sono i monasteri dei casti e delle vergini pure. A queste spelonche guardava in ispirito Isaia molti secoli addietro e in vedendo sclamava pien di giubilo: “Rallegrerassi la regione deserta e non battuta, e tripudierà la solitudine e fiorirà come giglio; ella germoglierà grandemente ed esulterà piena di contentezza e canterà laude! A lei è data la gloria del Libano, la vaghezza del Carmelo e di Saron72; eglino vedranno la gloria del Signore e la grandezza del nostro Dio... I redenti del Signore ritorneranno e verranno a Sionne cantando laude, coronati di eterna letizia; avran gaudio e consolazione ed il dolore ed il pianto da lor fuggirà”73.
Era l'anno 250 e cruda infieriva la persecuzione di Decio. Un giovinetto, Paolo, rimasto orfano a 15 anni, era possessore di ingenti sostanze. La sorella, allo scopo ingordo di entrare a parte di quelle ricchezze, minacciò <di> denunciare il giovine Paolo, ond'egli si fuggì nella solitudine e poi di là si internò nei deserti della Tebaide, finché si abbattè in una spelonca scavata naturalmente nel sasso. Presso a quella caverna scorreva una limpida sorgente. Or Paolo si raccomandò a Dio e tolse a dimorare in quella caverna, nella quale [83] visse dagli anni 23 fino ai 113 quando morì. Vestiva un sacco di cilizio e un mantello di pelo di camello, e riposava sur una stuoia. Nelle ore di riposo dalla preghiera e dalla contemplazione, componeva cestelli di vimini che poi mandava in dono ai poverelli della città.
Un dì fu veduto Antonio, patriarca dei solitari, che ritornando - 182 -all'eremo erane molto afflitto. Improvvisamente uscì poi in questa esclamazione: “Guai a me, misero peccatore, che sono reputato e chiamato monaco e sono nulla!” Antonio aveva udito in cuore questa voce: “Perché tu non creda d'essere assai, vieni e vedi...” e la voce lo condusse là ad una spelonca. Allo apparire di uomo vivente, disparve una figura veneranda e si chiuse dietro l'uscio entro la caverna. E Antonio si pose ginocchione presso a quello gridando: “Chi io mi sia e donde e perché venuto, tu il conosci; deh, mi apri!” E seguiva di questo modo a supplicare. Paolo gli aperse e i due monaci si abbracciarono e di subito intrapresero discorsi di paradiso. Quando un corvo venne e depositò un pane intiero, disse allora Paolo: “Eccolo il pane della Provvidenza! Da sessant'anni il buon Dio mi recò mezzo pane, ed or che siamo due, intiero mandollo”.
Diceva Paolo ad Antonio che se ne servisse, e questi invitava Paolo, finché ciascuno dalla parte propria tagliò di quel pane e bevé della fonte. Dopo di che Paolo, sapendo di dover morire e non volendo cagionare ad Antonio troppo vivo dispiacere, disse: “Già mi sento vicino alla fossa; io te ne prego, recami il pallio di Atanasio entro il quale tu involga il mio corpo per seppellirlo”.
Antonio si affrettò al monastero e di fretta ritornava a Paolo, quando in alto scorse bellissima cosa, una nube splendida e un coro d'angeli e l'anima di Paolo che si ergeva all'alto. Onde [84] Antonio inginocchiossi e sclamò: “O Paolo mio, come, ti parti, e non ti sei da me accommiatato? O Paolo, perché mi lasci?...”. E corse alla spelonca e trovò colle mani giunte il corpo di Paolo e dolevasene fino all'agonia e non poteva dipartirsene. Due leoni uscirono dal deserto e scavarono con le zanne una fossa e leccavano i piedi a Paolo. Or Antonio seppellì il santo romita e ne portò al monastero la tonaca di lui, e venendo alla città nei dì solenni di festa recava con giubilo quella veste dicendo: “Ecco la tonaca che per tanti anni ricoprì san Paolo nel deserto”.
2. Antonio era nato in Eraclea d'Egitto; per isfuggire le conversazioni del gran mondo contentossi di studiare la lingua materna, l'egiziana. Come poi intese quelle parole del Vangelo - 183 -che dicono: “Chi vuol esser perfetto, venda tutto e dia ai poveri e mi segua, e non sia sollecito di ciò che sarà allo indomani”74, Antonio venne al deserto e quanto scorgeva di virtuoso nella persona dei romiti intorno, tutto procurava di imitare in pro di se stesso. Il demonio tolse a tentarlo così: “Come hai tu lasciato il mondo e i parenti, fra i quali potevi operare tanto di bene?... E come potrai perseverare in queste austerezze?... O se vuoi perfezionarti, il corpo castigalo a morte...”. Così il demonio lo tentava per illuderlo o per istancarlo. Ma Antonio, scorto da lume sovran<n>aturale, ricordava quello di Paolo apostolo: “Quando io sono infermo, allora sono più forte”75 e castigava il corpo e si esercitava con vivo affetto nella preghiera e nel digiuno.
Il demonio, temendo che all'esempio di Antonio il deserto si popolasse di romiti, gli apparve di notte tempo e lo flagellò sì crudamente che Antonio parve morirne, ma con quell'alito di voce che ancor gli rimaneva insultava al demonio dicendo: [85]”Ecco qui, sono io, Antonio; non curai le tue battaglie benché tu le duplicassi”. E il demonio nelle notti seguenti entrò nella figura di molti serpenti, di leoni, di tori, di lupi, di basilischi, di scorpioni, di leopardi e d'orsi. Queste figure si avvolgevano poi intorno ad Antonio e riempivano di ruggiti la caverna. Antonio teneva lo sguardo alla croce e pregava e diceva a Satana: “Vatti, brutta bestia, che io non ti pavento”. Si fece poi intendere la voce di Gesù a dire: “Antonio, qui io era teco presente, ma aspettava di vedere come tu combattessi e fossi valente... Or io ti farò nominare per tutto il mondo”.
Antonio si prostrò col volto a terra, e venne nello interno del deserto, dove in un castello diroccato abitavano le serpi. Scacciolle e vi entrò come in stanza propria e chiuse l'uscio e vi dimorò per anni venti, ricevendo sol due volte l'anno tanto di pane e di acqua che bastasse per vivere. Intanto conversava con Dio, combatteva con Satana e le genti per ismania di vederlo - 184 -battevano alla porta, ond'egli aprì. Videro Antonio in nulla sfigurato per tanto digiuno, pareva non invecchiato per tante austerità. Con volto raggiante e con soavissima parola facevasi a consolar tutti e guariva gli infermi che gli erano portati. Molti supplicavano a riceverli per suoi discepoli e Antonio confortavali a non temere il furor di Satana. Scorgendo poi come il deserto veniva popolandosi di monaci pii, Antonio invitavali tutti a cantare: “Oh come son belli i tuoi padiglioni, o Giacobbe! Oh come son belle le tue tende, o Israele! Belle come valli ombrose, come paradiso sul fiume, come tende piantate dal Signore medesimo”76.
Antonio nel suo deserto dimorava in conversazione con Dio, quasi in un'anticamera di paradiso. Sclamava come gli apostoli al Taborre: “Che bella cosa per me ad essere qui!”77. Ma ne usciva di tempo [86] in tempo, quando allo avvicendarsi di sciagure disastrose udiva l'eco di duolo dei fratelli che gemevano sotto la tortura dei tormenti, ovvero che le urla della discordia religiosa crudamente stracciavano gli animi dei cristiani. In Alessandria s'erano rinnovate le grida: “I cristiani alla persecuzione!” e intanto si disponeva un apparato orrendo di carneficina. Suonò la tromba del combattimento. Il vescovo della città, san Pietro78, con tre vescovi compagni e con molti sacerdoti alla testa di una turba di fedeli vennero incontro all'inimico. Combatterono da prodi. Pietro raccolse una palma gloriosa di trionfo, e con questa salì all'alto. Seguironlo i tre vescovi compagni e più altri sacerdoti o fedeli.
Antonio vide in ispirito la vittoria di quegli illustri e si affrettò su quel campo gridando: “O Signore, usatemi pietà! Concedete ancora a me una palma di vita!” Intanto sollecitava intorno e confortò ognuno, e non ottenendo quanto bramava per sé di patimento, ritornò dicendo: “Non merito di morire per Gesù, perché non ho finora atteso a vivere per Gesù, ma mi voglio applicare”. Intanto si trasse nel più buio - 185 -del deserto e là ponevasi a pregare, e dal tramonto alla levata del sole stavasene cogli occhi rivolti all'alto e pregava come un angelo di pietà.
Pure anche là traevano le genti per vederlo ed egli a tutti additava il paradiso. Venivano a lui filosofi pagani ed a questi diceva: “Una delle due: o mi reputate savio, e perché non mi credete?, o mi tenete stolto, e perché vi siete disturbati a venirmi a visitare? Fratelli, dalla mente levate il fumo della superbia e dal cuore il fango del vizio, e voi vedrete il Signore che io vi addito”. Alcuni gli obbedivano e questi in sommettersi provavano poi felicità.
3. [87] Ilarione, che studiava ad Alessandria, venne ad Antonio e gli parve di scorgergli in viso un raggio di celeste luce. Si diede tosto a seguirlo e divenne patriarca dei solitari in Palestina. Diceva Ilarione: “Antonio è di me assai più virtuoso, eppur teme di conversare col mondo; or io che son meschinello d'assai m'addentrerò dove le macchie del deserto sono più folte”. Indossava un sacco asprissimo e si circondava di una rozza vestimenta di pelle. Per vitto gli bastavano 15 fichi ogni dì e pochi sorsi d'acqua. Dimorò per 20 anni in una capanna di giunchi e poi si innalzò una cella larga 4 piedi, alta 5, e dimorò in quella come in un sepolcro. Ai solitari di Palestina che recavansi <a> visitare Antonio, rispondeva loro il santo: “Rimanete nella solitudine vostra; ascoltate Ilarione che è mio buon figliolo”.
Pacomio, altro giovine pagano, venne ed ammirò. Si fece presso ad una grotta murata e sentissi per tre volte gridare dal di dentro: “Partiti, che questo non è luogo per te. Molti vennero e non poterono durarla”. Era la voce del monaco Palemone, che fra tutti conduceva vita austerissima. Rispose allora Pacomio: “Quello che fai, spero di eseguire io stesso col divino aiuto; deh, ricevimi compagno”. Fu ascoltato. Pacomio divenne il padre dei monaci della Tebaide.
Altra volta Alessandria si trovò nelle strettezze di un crudo combattimento. Ario vi aveva disseminato il mal germe di una eresia diabolica. Sosteneva che Gesù Cristo non era Dio come il Padre e che i cristiani erano idolatri. Orrenda bestemmia! - 186 -Tutti i buoni inorridirono e Atanasio vescovo sostenne l'impeto di una battaglia fierissima.
Or Antonio ritornò nel mezzo della popolosa città e in nome di Gesù, vero Figlio dell'Eterno e [88] Dio come il Padre, operava prodigi d'ogni guisa a prò dei miseri. Pagani stessi correvano in folla a lui e sclamavano: “Uomo di Dio, benediteci”. Antonio sollevava la destra e molti di quelli gridavano: “Vogliamo il Battesimo ed i beni celesti”.
Molti venivano ad Antonio, e Costantino imperatore mandavagli lettere di proprio pugno. Diceva allora Antonio ai suoi monaci: “Che abbiamo noi a fare con gli imperatori di questa terra? Farà uopo rispondere perché non si creda che manchiamo di carità, ma preghiamo Dio che niente ci distolga da pensare a lui solo”.
Scorse in ispirito i gravissimi mali e le persecuzioni che suscitava Gregorio, intruso nella sede di Alessandria. Antonio gli scrisse: “Veggo l'ira di Dio venire su di te; lascia di perseguitare i cristiani, perché il tormento e il furor celeste non ti colga<no>”. Or Gregorio non solo non ascoltò, ma tolse a beffarsene. Tre giorni di poi morivasi miseramente schiacciato dal destriero che superbamente cavalcava79.
Antonio anatematizzava l'eresia ariana e diceva: “Non temete; quantunque dei giudici e degli ottimati del mondo giudichino in favore dell'errore, non pertanto soccomberà la fede santa. Voi guardatevene da tutti gli eretici che sono i ministri di Satana”. Dopo ciò soggiunse: “Io compio ormai 105 anni ed è tempo che me ne parta”. Uscirono gli altri in dirotto pianto, ma egli: “Io godo tanto nello incamminarmi alla patria, e voi ve ne attristate?.. Eccovi il testamento80 mio: lascio una delle mie vesti, o pelli di pecora, ad Atanasio; l'altra che mi rimane a Serapione, vescovo di Thmouis81; il mio cilizio poi lo lascio a questi due miei discepoli” e nominolli.- 187 - In fine disse: “Addio, figliuoli miei, Antonio si parte e più non è con voi”. Morì il 17 gennaio 356.
L'anno seguente e in questo dì anniversario [89] Ilarione era venuto qui <dalla Palestina>82. Si era staccato con molto sforzo dai suoi, ai quali disse: “Sentomi di dovermi partire per riverire i confessori di Cristo e confortarli”. I monaci e una turba di diecimila <persone> si fecero innanzi per impedirlo, ma ei disse: “Non mangerò e non berrò finché non vi accontentiate”. E non mangiò e non bevette per sette dì, finché il lasciarono.
Attraversando tutto l'Egitto ristorò i mali della Chiesa, raccolse il sangue sparso dai martiri di Gesù Cristo e, pervenuto con quaranta monaci alla montagna di Antonio, Ilarione pregò per tutta la notte. Il giorno seguente ripassando intorno diceva: “Ecco dove Antonio pregò tanto; sotto quest'albero guardava al cielo, quelle palme piantolle di sua mano, e quei rialzi di terra e quei canaletti irrigatori e quei campi li seminò in persona per esercitare la carità di Gesù Cristo”. Ilarione compieva miracoli eguali a quelli di Antonio e le turbe traevano anche a lui come ad Antonio, ma Ilarione piangeva dirottamente e dolevasi con dire: “Misero di me, che i popoli mi credono qualche cosa ed io non sono che un peccatore miserabile!” Perseguitato da Giuliano Apostata, Ilarione si rifuggì in più parti d'Egitto e poi in Sicilia ed in Dalmazia. Ilarione ovunque venivasene compieva prodigi d'ogni sorta.
Ebbe discepoli innumerevoli. Venuto a morte, lasciò ad Esichio monaco il libro dei Vangeli, una tonaca di sacco, una coccolla e un vile pallio, dicendo: “Appena spirato, seppelliscimi nella fossa da me scavata, con le mie vestimenta”. Presso ad esalar l'anima, diceva cogli occhi aperti: “Esci di questa carcere, o anima; escine, perché temi? Di che dubiti? Presso a ottant'anni hai servito a Cristo e temi la morte?”
4. Pacomio nello stesso tempo traeva col suo esempio a migliaia le moltitudini al deserto. Erano [90] uomini, giovani, fanciulli, che egli distribuiva in tante tribù con superiori - 188 -propri. Egli poi si faceva servo a tutti e diceva: “L'ubbidienza è la più breve via per condurre alla perfezione”. Quei solitari mangiavano a diverse mense a secondo dell'età e del fervore e si occupavano in molteplici esercizi di preghiera e di lavoro. Molti dei pagani che ponevano mente convertivansi.
Accadde che sant'Atanasio passasse di là in visita delle sue Chiese. Quelle turbe di solitari mossero incontro cantando inni e salmi. Pacomio poi, reputandosi indegno del sacerdozio e pur temendo che Atanasio volesse consacrarlo, nascondevasi fra la turba. Pacomio avanti morire vide in ispirito che i suoi solitari in progresso si sarebbero raffreddati nel fervore, che alcuni avrebbero ambito d'esser superiori, che questi si sarebbero fatto beffe dei buoni e che li avrebbero perseguitati, onde rattristossi vivamente, ma poco stante Gesù Cristo fecegli scorgere la gloria sua, nella quale in passare da questa terra lo spirito eletto di Pacomio entrò con trionfo magnifico.
Ha di quei che dicono: “Che bisogno è dei monaci e dei solitari?...”. Rispondo: lasciateli, che essi pregano per me e per voi tutti. Soggiungono: “Sono inutili alla società”. E loro aggiungete che ogni bello esempio di virtù e di abnegazione e di scienza vien da loro, perché essi conversano assiduamente con Dio.
E se vi dicono che i monaci per ciò solo che sono continenti, che non hanno figliolanza, sono spregievoli, ribadite con ricordare loro il detto di Ambrogio, il dottor santo83, che la verginità molto giova alla moltiplicazione del genere umano, perché [91]i vergini con il loro esempio purissimo insinuano nei coniugati la castità propria al loro stato e <ad> un sacramento santo84.
Così verissimo è che al deserto si apprende dal conversar con Dio ogni bene lieto e virtuoso.
- 189 -Riflessi