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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II XXX. La Chiesa e l'impero |
XXX.
1. [137] Eccoci finalmente ad un accordo. La Chiesa parla allo impero così: “Io ti sono madre e tu mi sei figlio. Sia tu sempre figlio docile e, quando sii chiamato, aiuta la madre tua”. Il figlio china lo sguardo, sorride in volto alla genitrice e le soggiunge: “Madre, tu sei sì pia. Guidami a salute che io ti son figlio”. Mirabile accordo! Ne esulta la famiglia dell'uman genere.
Madre e figlio si uniscono in affetto; par che si assimiglino nella virtù per essere di conforto vicendevole. Benedetta quella madre e quel figlio!
2. San Basilio il Grande, che tanto aveva sospirata questa congiunzione santa, or che la vide posesi <a> sclamare: “Or mandatemi pur la morte, o Signore”. In dirlo chiuse gli occhi quaggiù e li aperse al paradiso dei santi. Era l'anno 379. Il mondo dei cristiani si affollava intorno alle venerate spoglie di lui. Non pochi in premere per giungere alla sua bara morirono. Alcuni vennero meno di tenerezza. I gemiti ed i pianti delle turbe coprivano il canto dei salmi. Terminate le pietose esequie, i fedeli si diedero ad imitarne di Basilio perfino il modo di vestire e di parlare. Gli scritti suoi leggevansi con immenso affetto. La memoria e i libri di Basilio erano la delizia dei cristiani.
Sant'Efrem a consolarsene di sì gran perdita componea elegie, inni e canzoni che in recitare commoveva sé e gli astanti fino alle lagrime. Volendo poi imitare almeno una delle molteplici opere di zelo di Basilio, venne in Edessa e dispose trecento [138]letti per i poveri che spesso serviva colle sue mani. Morì in duolo e in spirare pregò che non gli facessero punto onore perché ei sapeva troppo di essere colmo di demerito.
Basilio col suo esempio aveva tratto alla santità i suoi fratelli ed i genitori. Emmelia, la madre, era morta in concetto di santità come Basilio, il padre. San Gregorio, vescovo di - 229 -Nissa140, gli era fratello e Pietro, piissimo vescovo di Sebaste, parimenti.
Santa Macrina era loro sorella141. Gregorio da otto anni non la vedeva, e pensò di venirla <a> visitare nel suo convento ad Ibore. Pervenuto alla chiesa del monastero, pregò Dio, interrogò della sorella e la seppe inferma e moribonda omai. Giaceva in un letto formato di tavole con un cuscino di legno incavato. Coprivasi con un sacco superiormente e sotto alle membra poneva uno strato a forma di cilizio. Teneva il volto verso oriente a fin di pregare con le sorelle. Era la superiora del monastero. Passò la notte in colloquio santo con il fratello e intanto gli disse: “Scendi e prega per la sorella tua”. Appena Gregorio si fu partito, Macrina chiuse gli occhi e si affrettò allo Sposo celeste.
I monaci e le vergini accorsero da lungi, sfilarono in lungo corteo, mossero lentamente e con mestissima salmodia. Brevissimo era il tratto a raggiungere il sepolcro di Basilio e di Emmelia, pure vi impiegarono l'intiero dì. San Gregorio discoprì i corpi dei defunti genitori e li ricoperse poi tosto di bianca tela. Vi adagiò accanto la sorella Macrina e ricoprì con alto duolo il monumento.
Amicissimo a san Basilio era sant'Anfilochio, che per isfuggire al sacerdozio si nascose, ma non valse, che discoperto fu consecrato vescovo. [139] Gli era amico diletto a Basilio142 sant'Eusebio, che fu vescovo e martire.
E san Gregorio, detto di Nazianzo, che tratto da Basilio da Atene alla solitudine e poi trascinato egli stesso al sacerdozio ed al vescovado prima di Sasimi e poi di Nazianzo, inconsolabile per la perdita dell'amico Basilio143, si faceva mesto per le vie di Costantinopoli. Veniva curvo nella persona, con il capo calvo, con il volto solcato dalle lagrime e scarnato dalle macerazioni; povero, mal vestito e senza denaro, egli riteneva qualche cosa di rozzo e di straniero nella favella. Il popolo - 230 -proclamò Gregorio stesso a vescovo a Costantinopoli, e <questi> fu costretto <ad> aderire.
Or quei della nobiltà il guardarono con occhio di disdegno, il fugarono a sassate ed ei venne in casa di un amico, dove incominciò <a> predicare a pochi e poi ai più. Quella casa fu presto convertita in chiesa che si disse Anastasia, “risurrezione”, perché Gregorio fece risorgere in quella città la fede ormai spenta. Molti venivan da lungi ad ascoltarlo e san Girolamo stesso, al quale scherzando Gregorio disse: “Se non applaudite come tutti fanno, diranno che voi solo nulla intendete”.
Buonissimo di cuore, Gregorio non s'avvide delle mene con cui un Massimo, filosofo cinico, tendeva <ad> abusarsene di lui. L'ipocrita tanto seppe infingere che Gregorio l'ebbe in reputazione di virtuoso. Massimo intanto teneva accordo con taluni vescovi d'Egitto, che venuta opportunità si affrettassero a consecrarlo in vescovo e soppiantare Gregorio. Non aveva molto denaro e si valse della credulità di un prete dell'isola di Taso per cavargli i danari che tenea a fine di provvedere in copia pietre di marmo a Costantinopoli. Con quella somma giunse a guadagnare più personaggi nella città, quando essendo per qualche dì infermato Gregorio, Massimo già si faceva ordinare nottetempo [140]nella chiesa. Il popolo, tosto che se n'avvide, elevò grida, e il sacrilego pretese <di> compiere le sacre cerimonie in un ridotto vicino, in mezzo ai clamori di gente briaca. Per questo attentato e per i molti acciacchi che affliggevanlo, Gregorio provossi per rinunciare alla sede, ma Teodosio imperatore con più altri si oppose con vive rimostranze.
A giudicar la causa di Massimo e più altre di ordine disciplinare adunossi un concilio in Costantinopoli144, e Gregorio lo presiedette. N'ebbe invero qualche disturbo in ciò. Confessa essersi trovato taluno che, levato dall'officina o dal campo o dal negozio e ricoperto con abito ecclesiastico, era venuto come sacerdote in atto di autorità senza intendersene del criterio - 231 -di dottrina. Li dice leggieri come una foglia, cornacchie in parlare, vespe in pungere, sì che nelle dispute soffocavan le ragioni dei più prudenti. San Martino di Tours querelavasene pure, come Gregorio, di adunanze nelle quali taluno facevasi innanzi con ambizione di comparire. Or Gregorio, disgustandosene, più raro appariva nel sinodo.
Accadde che san Melezio, vescovo di Antiochia, morisse. Era in estimazione presso a tutti e gliene porsero tutti i buoni attestato di affetto tenerissimo. Tutti gli ottimati o del clero o del laicato e una folla di popolo accompagnò la salma oltre Costantinopoli, dove gli antiocheni l'ebbero carissima per sé. Erano in Antiochia Melezio e Paolino e si era fisso che, morendo l'uno, l'altro ne occupasse la sede. Intanto si era ottenuto che Flaviano e cinque altri ecclesiastici autorevoli giurassero di non aspirar punto a quella sede. Ma Flaviano, e per invito del popolo e per desiderio proprio, accettò e fu vescovo successore a san Melezio con quel [141] pericolo per la quiete comune che facile è iscorgere.
Gregorio in Costantinopoli, crescendo negli acciacchi corporali, tanto instò e presso l'imperatore e presso al concilio che finalmente ottenne di dimettersi dicendo: “Io vi prego, eleggete personaggio che abbia pure le mani, eloquente la voce”.
Molti querelavansi che Gregorio fosse poco amante del bel mondo, ma ei rispondeva: “Non ho mai trovato o nel Vangelo o nella tradizione che un vescovo per compier bene il dover suo abbia a coprirsi di bisso ovvero ad abitare in sale dorate od a farsi trascinare da destrieri superbi”. San Gregorio, ritrattosi alla solitudine, tutto si diede alle gioie della preghiera, alle consolazioni dello studio, contento di occuparsi dei bisogni delle Chiese. Diceva: “Io son vergine di corpo, ma non so se il sia anche di pensiero; il mondo è pieno di pericoli”.
Quando ne era più urgente il bisogno, Nettario, pretore in Costantinopoli e neofito, gli fu surrogato. Il concilio mandò lettera sinodale anche allo imperatore Teodosio, e in chiudere le adunanze compié solennemente la traslazione del corpo di san Paolo, vescovo di Costantinopoli stessa e martire.
3. Un concilio generale si tenne a Roma sotto il pontefice - 232 -san Damaso. Erano convenuti da oriente e da occidente i vescovi. Il vescovo sant'Ambrogio veniva da Milano. Accorso dalla Liguria per acquetar i tumulti nella elezione d'un successore ad Aussenzio ariano, il popolo, come si disse, nominò vescovo Ambrogio. Venuto a Roma, si incontrò col vescovo sant'Ascolio145, che conosceva per fama, e con sant'Epifanio, ai quali si abbracciò teneramente.
Due gentiluomini, fingendosi mandati dall'imperator Graziano, si provano per indurre Ambrogio [142]nell'errore di Apollinare, ma gli sciaurati cadono morti improvvisamente. Non era conosciuta la loro maligna intenzione; Ambrogio li accompagna alla sepoltura e scrive intanto il Trattato dell'Incarnazione.
San Girolamo inchinava suoi libri a san Damaso, che alla sua volta incaricavalo di scrivere una corretta edizione del Salterio e poi di tutta la Bibbia santa. La traduzion del santo fu poi approvata dal Concilio di Trento.
Elvidio, benché poco conosciuto, aveva scritto della verginità di Maria. San Girolamo confutò quelle pagine146. Lodò poi a cielo la professione della vera verginità e abbassò fino agli abissi la ipocrisia di quelli che, in abito di chierico o in cocolla da monaco o in velo da monaca ovvero nelle case private in qualità di vergini, pretendevan l'onor della virtù, mentre che secretamente ardevano come mongibelli147 in fiamme impure.
Tanti di numero seguirono gli insegnamenti di san Girolamo, sì che il mondo lagnavasene, ma rispondeva il dottore: “Posso io cancellare il Vangelo?” Moltissimi traevane pure alla verginità sant'Ambrogio, e questi a chi dolevasi che il mondo sarebbe venuto meno rispondeva: “Credetelo, i vergini con il loro buon esempio sono occasione per cui i coniugati, vivendo fedelmente in un sacramento benedetto148, rendano - 233 -popolosa e tranquilla la società dei fedeli”. Seguivano questi insegnamenti o approfondivano la dottrina di san Girolamo e di sant'Ambrogio le stesse dame dei Gracchi, degli Emili, dei Fabi, dei Giuli, dei Marcelli149 e di altre cospicue famiglie in Roma.
Santa Marcella e sant'Asella con la madre Albina appresero in breve quanto san Girolamo poté adunare di scienza in un corso di lunghi studi. Santa Paola seguì san Girolamo nella visita ai Luoghi [143] Santi ed in Betlemme, dove rimase in esercizii di pia contemplazione.
Molti in Roma come altrove censuravano Girolamo, ma ei rispondeva: “Se i tristi non hanno rossore a fare il male, devo io aver paura in manifestar la verità?” Ad un cotale dal naso lungo e dal discorso ampolloso che in ispecie divertivasi in Roma a biasimare il dottore, rispose Girolamo: “Fatti sparire il naso dalla faccia e tieni ben chiusa la bocca, e dopo potrai passare per bell'uomo e bel parlatore”.
4. Condotto a termine felicemente sotto il pontefice san Damaso il generale Concilio di Roma, sant'Ambrogio ritornò a Milano, dove a consolarlo dalle gravi sollecitudini pastorali accadde l'invenzione del corpo dei santi martiri Gervasio e Protasio, ritrovati nella basilica dei santi Nabore e Felice. Ambrogio con solennissima pompa li traslatò. Nella processione trionfale esultavano i vecchi che ne ricordavano il martirio glorioso, i giovani nella folla di popolo sollevavano sulle aste pannolini e con quelli toccavano i santi corpi e conservavanli poi in cara memoria. Un operaio c<i>eco ricuperò la vista e più altri s'ebbero grazie singolari. Ambrogio pubblicava le lodi dei santi martiri; una colomba fu veduta da un ariano scendergli all'orecchio, onde l'eretico battendosi il petto ritornava alla vera fede.
5. Agostino, che era nato in Tagaste d'Africa addì 13 novembre 354, si invischiò in disordini profani a Cartagine, e fingendo <di> accompagnare un amico lasciò la madre e venne a Roma e poi a Milano maestro di rettorica. In questa città - 234 -veniva ascoltando Ambrogio dapprima per curiosità e poi con desiderio di conoscere il vero. Era avvolto [144]nei vizii del senso e negli errori del manicheismo150. Diceva a Dio: “Convertitemi, ma non adesso, ché possa godermela negli anni più freschi”. Ma il discorso di Ambrogio gli era puntura al cuore.
Santa Monica151, la madre, desolata, venne in traccia di lui. Una bufera minacciava <di> avvolgere l'equipaggio, ma ella confortava tutti dicendo: “Non temete, io sarò salva e voi con me, perché io accorro per salvare la vita al figliuol mio. Un personaggio illustre me l'ha assicurato dicendo: Non si perderà il figlio di tante lagrime”. Santa Monica, che già ottenne la conversione del proprio marito Patrizio, venne a Roma e fu a Milano presso il suo Agostino, che trovollo con Alipio e con Nebridio e con più altri amici di lettere, di aspirazioni, di godimento, traendo vita in comune. Agostino s'era allevato un figlio, Adeodato. La madre gli assegnò una giovine sposa, ma ei la rifiutò e non cessò nondimeno dalle sue pratiche riprovevoli.
Quando da un Pontiniano152 convertito udì la vita del monaco sant'Antonio, sorse allora Agostino a dire: “Gli indotti si rapiscono il paradiso, e noi fino a quando, o Signore?...”. Indi intese una voce che gli disse: “Prendi e leggi!” <si> incontrò in questo detto di san Paolo: “Non nel disordinato mangiare e nelle ubbriachezze... ma vestitevi di Gesù Cristo e non vogliate prendervi cura di render contenta la vostra carne nelle sue cupidigie”153. Si affrettò poi ad Alipio e questi continuò <a> leggere: “Accogliete chi è debole nella fede”154.
Le preghiere dei santi avevano salva<ta> omai l'anima di Agostino. Compieva il corso scolastico e rassegnò l'insegnamento e, trattosi alla campagna, scrisse il Trattato della vita - 235 -beata, o dialogo nel suo dì natalizio, il Trattato dell'ordine per discernere se tutto nel mondo è buono. In questo trattasi della gram<m>atica, della musica e poi della [145] immortalità dell'anima, ed i Soliloqui155. Finché addì 25 aprile 387, vigilia della Pasqua, sant'Ambrogio con immenso giubilo rigenerava nelle acque battesimali le anime di Agostino e del figlio Adeodato e di Alipio.
Tosto Agostino scrisse il libro dei Misteri156 e si diresse poi alla volta di Roma, quando Monica, la madre, isvenne e poco stante sclamò: “Dov'era io testé?...”. Un'ora di poi spirò. Agostino nel suo libro delle Confessioni si espande in affetti tenerissimi alla genitrice sua. Per rallegrarsene quanto poté della conversione che gli impetrò, sfogò l'affetto suo in scrivere i libri Della morale e dei costumi della Chiesa cattolica e Della morale e dei costumi dei manichei. Scrisse altresì libri tre Sul libero arbitrio.
Chi loda Agostino loda Ambrogio, perché il figlio di santa Monica secondo la carne fu il figlio di sant'Ambrogio secondo lo spirito. La fama di Ambrogio oltrepassava i confini della Italia e dell'Europa. Toccava gli estremi confini della Persia.
Due saggi di quella nazione vennero e per due giorni si edificarono alla sapienza dello illustre dottore. Dicevano come già la regina <di> Saba di Salomone: “Quello che ne abbiamo scorto è assai più ancora della fama udita”. E rivoltisi al generale Arbogaste che non aveva ancora in molte battaglie provata una disfatta sola, conchiudevano: “Non è meraviglia di tante vittorie, tu che sei amico ad Ambrogio, il quale dice al sole: Fermati, ed esso si ferma”.
6. In quella che Ambrogio e compagni santi illustravano - 236 -l'occidente, san Girolamo con altri fratelli santi confortavano l'oriente.
Venuto dunque Girolamo in oriente, visitò in Alessandria il celebre Didimo, il santo maestro nella Accademia alessandrina, che l'incaricò a compiere un vuoto lasciato da Origene nello studio [146]della sacra Bibbia, o sia i commenti sopra i libri di Osea e sopra quelli di Zaccaria.
Santa Paola, illustre matrona romana, era venuta pure per lagrimare intorno alle sante memorie della vita, della passione, della morte di Gesù salvatore. Girolamo e Paola entrati in Gerusalemme assisterono alla morte di san Cirillo, vescovo della città.
In Antiochia Giovanni Grisostomo a vent'anni aveva lasciato l'avvocatura per darsi alla solitudine. Convertito alla fede, dava occasione a Libanio, pagano, di dolersi e di dire: “Il Cristianesimo ci ha rapita la più bella gloria del secolo nostro, Giovanni Grisostomo”.
Giovanni era amico a Teodoro ed a Massimo, che assisté e accompagnò alla solitudine, allo studio, fino a che l'uno fu vescovo di Mopsuestia e l'altro di Seleucia157. Era il Grisostomo carissimo a san Basilio, al quale aderiva intimamente per consacrarsi alla vita solitaria. Ma <come> Basilio <fu> costretto a ricevere l'ordine sacerdotale, a suo tempo vi fu pure spinto Giovanni Grisostomo. Essendo ancor semplice sacerdote, pure predicava a quei di Antiochia e con rarissima eloquenza li confortava nelle terribili strettezze che li circondavano dopo che la città si ribellò all'imperatore. Aveva molti che burlandosi della vita monastica dicevano: “Che importa andare alla solitudine, quando anche alla città uno può provvedere alla sua salute eterna?” Ai quali rispondeva Giovanni: “Può uno salvarsi alla città, ma quanto difficilmente! Son troppi i pericoli del mal costume”. Compose poi un'operetta, Parallelo fra un re ed un monaco, nel<la> quale prova che il solitario è ben altro tranquillo in vita, e più sicuro in morte. Diceva: “Il solitario Elia non ha salvato il re Acabbo e la nazione ebrea dal - 237 -flagello della sic<c>ità? [147] A quanti altresì ha porto il ristoro dei celesti insegnamenti, mentre altri abbeveravano le plebi a fonti avvelenate dell'errore e del vizio?”
Vero, vero! La Chiesa di Gesù Cristo apporta salute.
Come si avanza gloriosa la Chiesa del divin Salvatore! I sovrani stessi allo incontro di tanta maestra, la Chiesa, si inchinano riverenti.
Venuto essendo sant'Anfilochio ad Arcadio, figlio di Teodosio, dichiarato già imperatore dal padre, salutollo il buon vescovo così: “Buon dì, figliuol mio!” Parve offendersene l'augusto genitore, ma riprese Anfilochio: “E tu ti adoperi con tutte le forze per far rispettare il Figlio di Dio?...”. Teodosio ammutolì e comandò che giammai gli ariani bestemmiatori in sostegno <del loro errore> potessero erigere altro tempio della propria setta.
Indi Teodosio attese per ricopiare più perfettamente in sé le virtù di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Atanarico, re dei goti, era venuto in Costantinopoli, e in vedere la maestà di Teodosio e della sua città e in iscorgere la bontà dello imperatore pianse di tenerezza. Poco stante morì. Teodosio gli rese pomposi funerali, onde molti popoli dei goti si dichiararono affatto per Teodosio.
Ad Aquileia dispose del proprio perché i vescovi d'occidente esaminassero in concilio la dottrina dei prelati Palladio e Secondiano, i due soli che ancora rimanevano sospetti d'arianesimo158. Scoperta la feccia del loro errore, furono esigliati. Nella Spagna gli eretici priscillanisti, accozzando gli errori dei gnostici e dei manichei e movendo corruzion di vizii detestabili, minacciavano <di> invadere, ma furono circoscritti e poi soffocati nel loro alito pestifero. L'ordine d'assalto dei priscillanisti si inchiudeva in questo verso: “Iura, periura, secretum - 238 - [148] pandere noli”. Nel 400 più non rimaneva traccia del loro passaggio.
<7.> San Girolamo, dato uno sguardo al mondo, sclamò: “Crolla l'universo romano”. I confini dello impero al Tigri ed all'Eufrate erano minacciati dai persiani. L'Illirio159 e la Tracia erano disertati dai galli. Il Reno ed il Danubio erano invasi dai germani160. Già in Adrianopoli le milizie dello impero erano state tagliate a pezzi.
Ma venne Graziano benché giovanissimo a 17 anni, il quale indotto da consiglieri tristi fe' tagliare il capo a Teodosio, espertissimo generale delle armate che sempre riconduceva in trionfo. Ma avvedutosi del mal commesso, tosto richiamò da Spagna il figlio <di questi>, Teodosio, e lo assunse compagno nello impero e gli affidò a governare tutto l'oriente.
Il padre di Teodosio morendo aveva chiesto il Battesimo e in spirare disse: “Io perdono!” Graziano con nobilissimo esempio donò metà dell'impero al figlio di lui e ne arricchì i parenti di munifiche elargizioni.
Graziano si inchinò pure ad Ambrogio dicendo: “Confortatemi con un Trattato sulla fede. Lo porterò poi sempre meco per avvalorare lo spirito mio”. Scorse poi che Ambrogio a propagare la pietà cristiana scriveva libri alle vergini ed alle vedove, e che a riparare i danni cagionati dai goti nell'Illirio vendeva perfino i vasi sacri. Graziano imperatore coadiuva in queste opere santissime e promulga leggi savie nelle quali si respira un'aura di verace Cattolicismo. Graziano riverisce Ambrogio come il figlio il proprio padre. Sant'Ambrogio dice Graziano il più cristiano dei principi.
Graziano aveva compagno al trono il fratello Valentiniano. Era Valentiniano infante e per esso governava la genitrice Giustina, la quale invero favoriva gli ariani. Ma Graziano reggeva con fermezza [149]di fede. Scriveva: “Gli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio augusti al popolo della città di - 239 -Costantinopoli... Voglio che i sudditi seguano161 la fede di san Pietro, che i seguaci di questi si chiamino cattolici, eretici gli altri, e questi non voglio che si adunino in verun consesso, pena la vendetta del cielo e poi la deliberazione che ci sarà dal cielo inspirata...”.
Graziano prediligeva gli alani, perché lo accompagnavano prodi negli esercizii della caccia, e per causa di tal affetto parziale incontrò, assalito da nemici, disastro di morte in Francia. Ei se ne difese, ma abbandonato dai soldati del paese fu poi ucciso con alto tradimento nel 383. Massimo fu proclamato dallo esercito imperatore a vece dello sgraziato Graziano.
Giustina in Milano, temendo pel proprio figlio Valentiniano, pregò Ambrogio di recarsi a Massimo in Treveri per ottenerne assicurazione. Il santo vi andò e fu obbligato162 <a> comparire come un privato qualsiasi nella sala della consulta. Disse Ambrogio: “Questo invero non è trattamento che si convenga alla dignità del vescovo”, ma sopportò questa umiliazione per ottenere la buon'opera della salute di un pupillo. Dopo ciò espose l'ambasciata sua ed ottenne.
San Martino di Tours era pure in Treveri e mostrava eguale franchezza alla corte, onde conciliavasi, come già Ambrogio, rispetto163 assai. L'imperatrice, avuto per sommo regalo san Martino in casa, servivalo colle sue mani e piangevane di consolazione.
Sant'Ambrogio poi, ritornando da Francia, recò novelle consolanti a Giustina, ma questa per mal segno di gratitudine più volte si attentò per istrappar dai cattolici la basilica di san Vittore e donarla agli ariani. Riclamò sant'Ambrogio, e venne a custodirla come una rocca e il popolo con lui [150] per più giorni. Valentiniano, per istigazion della madre, giudicò quest'atto di difesa come un delitto di sedizione e ne multò i negozianti delle città. Elevossi pianto altissimo e minaccie di rivolgimento.
- 240 - Valentiniano profittò dell'assenza dalla chiesa di Ambrogio per improntarvi nel tempio di san Vittore le insegne proprie di possesso. Giunto Ambrogio, era accusato di tirannia, ma ei rispose: “I vescovi non sonosi mai fatti tiranni, ma spesso ne hanno trovati”. Ed a Calligono, ministro che lo minacciava, aggiunse: “Io patirò da vescovo, e tu la farai da eunuco... Naboth non volle consegnar l'eredità de' suoi padri, ed io consegnerò l'eredità di Gesù Cristo?” Intanto si stringeva al suo popolo, consolavalo di giorno e di notte con discorsi paterni.
Or accadde ben presto che Giustina abbisognasse ancor di Ambrogio, e questi dimenticando le offese ritornò a Treveri perché Massimo minacciava <di> discendere in Italia. Non poté rattenerlo e n'ebbe tratto poco rispettoso. Rispose Ambrogio: “Vengo in nome di Valentiniano e tratto con te come da pari a pari. Deh, abbia almeno Valentiniano le spoglie del fratello per pegno di pace... Usurpatore sei tu... Io vengo colla pace di Gesù Cristo”. Intanto guardossi a non comunicare con i vescovi che se la intendevano con Massimo e scrisse di subito a Valentiniano: “Sta in guardia contro tal uomo che copre la guerra sotto l'apparenza di pace”.
Poco stante Valentiniano fu assalito. Il giovine principe riparò fino ad Aquileia e poi a Costantinopoli, dove Teodosio per tenerezza pianse e rivoltosi a lui disse: “Figliuol mio! Non la moltitudine degli eserciti, ma la protezion di Dio dà la vittoria”. Valentiniano adorò il Crocefisso, promise [151]non fargli guerra giammai. Allora Teodosio marciò a grandi giornate verso la Pannonia, superò le Alpi e addì 28 luglio 388 con prodigio ruppe le soldatesche di Massimo, il quale n'ebbe troncato il capo da un milite. Poteva Teodosio valersene dei frutti della sua vittoria, ma rassegnò a Valentiniano non sol gli Stati che già possedeva, ma quelli ancora che erano sotto al dominio di Massimo stesso, usurpati allo infelice Graziano. Così Valentiniano s'ebbe intiero l'occidente. Esempio di fede e di generosità! Tanto operano la guida fedele della Chiesa, la sommessione docile dello impero. Pure ha dippiù, come vedremo.
- 241 -Riflessi
1. Accordo fra la Chiesa e l'impero.
2. Alto duolo che cagiona la morte di Basilio. Genitori e fratelli di Basilio: san Gregorio di Nissa, Pietro di Sebaste, santa Macrina. San Gregorio di Nazianzo.
3. Concilio generale sotto san Damaso.
6. San Girolamo, santa Paola, san Giovan Grisostomo.
7. Graziano imperatore e Valentiniano fratello. Sant'Ambrogio viene a Massimo per difendere il pupillo Valentiniano.
Giustina, la madre, s'attenta ad usurpar per gli ariani il tempio di san Vittore, ma s'adopera invano.