IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II XXXVIII. L'umanità cristiana |
<1.> [219] Noi, che viviamo nella umanità cristiana e che facciamo parte di essa, non inganniamoci in credere altrimenti di quello che ne insinua lo stesso santo Evangelo. Dice Gesù Cristo: “Il regno dei cieli è simile a quella donna che pone il lievito in tre misure di farina per farne del pane”237. Quella farina è l'umanità, le tre misure sono le tre razze della umanità stessa, quella donna è la Chiesa, il lievito il Cristianesimo.
Nel Cristianesimo sono molti buoni bensì, ma che non sono senza qualche loro imperfezione. Sono alcuni cattivi con molte iniquità e con pochi atti virtuosi. Come la pasta disposta per il pane deve essere scossa, così i fedeli cristiani, - 299 -perché diventino pane santo, meritevole d'essere presentato al trono dello Altissimo.
Ogni popolo del Cristianesimo ha il suo elemento buono. Il popolo romano trovollo eccellente nel pontefice; il popolo greco trovò di frequente un bene negli imperatori; il popolo barbaro ne trovò nel rampollo degli ostrogoti.
2. Ostrogoto era Teodorico re, e questi governò con senno e con fortuna migliore che non s'ebbero gl'imperatori di Costantinopoli. Imparentato con seconde nozze al santo re Clodoveo, ebbe altresì ministri eccellenti.
Teodorico in presentarsi agli italiani disse: “Io voglio esservi padre e non tiranno. Intendo regolarvi colle savie leggi degli antenati vostri. [220] Vengo con il buon pensiero di farvi felici”. Teodorico parlava sinceramente. In Italia regolò le cose interne come un sollecito padrefamiglia la sua casa.
Al di fuori, nella Pannonia, intese che quei popoli erano facili alle contese e che per decidere in esse tosto avevano ricorso al duello. Inorridì Teodorico e mandò suoi ministri perché ammonissero con buone ragioni e castigassero con severe pene. Impose loro: “Quando una lite si può troncare con qualche offerta di denaro, esibite voi stessi una somma di convenienza e fate intendere che troppo preziosa è la vita d'un uomo da volersi spegnere in un atto di rissa frenetica”.
Un diacono cattolico era ai servigi di Teodorico ariano. Ora reputando il ministro che in mostrarsi ariano potesse maggiormente piacere al re, vi si provò, ma Teodorico avvedutosi disse: “Vile! Tu non sei degno di vivere” e gli fe' troncare il capo.
Onorarono e resero fortunato il regno di Teodorico due sommi personaggi, Cassiodoro e Boezio. Il Cassiodoro, oriundo da Squillace, fu segretario e sostegno a Teodorico. Fu benefattore d'Italia e modello dei grandi ministri. In patria fondò un monastero, nel quale dimorando quanto poteva in studio ed in orazione morì a cent'anni. L'amico Boezio era nato a Roma. Il pontefice mandollo <a> studiare in Atene. Boezio tradusse e commentò gli scienziati antichi. A trent'anni fu patrizio. La moglie Elpide componeva inni ad onore dei santi apostoli. Tre volte console, fu condotto in trionfo in - 300 -Roma e proclamato principe dell'eloquenza. Non frequentava circoli, non teatri, non bagni. Fu l'oracolo di Teodorico e della nazione.
Nel 500 Teodorico entrò pure trionfante in Roma. Era costume che ad un ingresso cosiffatto del re [221] si imbandisse un lauto pranzo ai soldati ed anche a quei del popolo. Quando Boezio s'avvide che nulla ancora era disposto, tosto si affrettò in persona e pagò del proprio, con quella soddisfazione al re, quando seppe, come facile è indovinare. San Fulgenzio sclamava: “Quanto bella esser dee la Gerusalemme celeste, se tanto è lo splendor di Roma terrena!”
Ma in Roma venuta la morte di sant'Anastasio, un consolo Festo moveva brighe per far eleggere un arcidiacono Lorenzo, a vece di Simmaco che i più volevano. Teodorico s'adoperò perché Simmaco fosse elevato al trono suo, e con lui dispose che in avvenire nessun potesse disturbare la elezione alla prima dignità del mondo.
3. San Fulgenzio soprad<d>etto cresceva onore della Chiesa. Nato a Cartagine da illustre famiglia, si ritrasse nel convento eretto da Fausto e vi diresse le coscienze dei confratelli, in quella che Fausto attenevasi alla direzione esterna238.
Quando un prete Felice, tristissimo ariano, venne sopra al convento e ferì e disperse i monaci, venne poi sopra a Fausto ed a Fulgenzio con animo di tormentarli al sangue. Allora diceva Fausto: “Ti prego, Felice, percuoti più duramente sul mio dorso e risparmia quello di Fulgenzio, che egli è di me più delicato”. Ma Fulgenzio rispondeva: “Non sia questo. Ognuno s'avrà la parte sua”. Sommise dunque le spalle, e perché il barbaro Felice non l'uccidesse, di tempo in tempo - 301 -interrompeva il battere con dirgli: “Ascolta ché io ho cosa troppo importante a manifestarti...”. Il vescovo di Cartagine, benché ariano, voleva tradurre a morte Felice, ma san Fulgenzio perorò e il volle poi a mensa propria.
Temendo poi nol facessero vescovo, fuggì in Siracusa dove fondò un monastero. Ma scorto che [222] il vescovo Eulalio avevalo in concetto di santità, riparò in Africa e fondò altro convento nella Bizacena.
Quei di Ruspa non avevano vescovo e vennero a pressare tanto Fulgenzio, finché accettò di essere loro pastore. Non omise però veruna delle austerità solite e volle che Illustre e Gianuario239 con pochi altri abitassero seco per continuare in casa vita monastica.
San Fulgenzio prestava la sua penna ai vescovi confratelli, presiedeva qualche volta ai concili, fondava monasteri in ogni luogo in cui, sotto Trasamondo, fossero vescovi esulati o cristiani perseguiti. Era la gioia dell'occidente non meno che dell'oriente. Nel cammino dell'esiglio, i vescovi africani recavano seco in Sardegna il corpo di sant'Agostino.
4. A Roma avvenne cosa che fece inorridire tutti i buoni. Il tristissimo consolo Festo, volendo suscitar torbidi in questa città, scrisse che il pontefice Simmaco era caduto in delitto pessimo e che alienava i beni di san Pietro, <e che> Teodorico dovesse tosto mandare un vescovo visitatore. Questi sollecitò e Festo240, subornatolo, privò Simmaco dell'uso dei vasi sacri e delle suppellettili. Per questo si adunò un concilio e fu invitato Simmaco a difendersene. Rispose il pontefice: “Restituitemi nell'onor di mia dignità e poi sarò a voi”. Molti dei vescovi sclamarono: “La prima sede da nessuno può esser giudicata”. Il pontefice, sicuro della sua innocenza e bramoso di porgere un esempio di umiltà e di mansuetudine, si disponeva alla difesa, quando i vescovi della Gallia più che gli altri sclamarono: “La prima sede da niuno deve esser giudicata. Ne sia lasciato il giudizio a Dio”. Intanto formularono - 302 -un canone per impedire che mai più le pecorelle osassero accusare il pastor supremo.
5. [223] Ritornati in Francia, il vescovo san Remigio propose a santo Stefano di Lione che, unendosi i vescovi cattolici, cercassero di <far> ritornare alla unità i vescovi ariani e Gondebaldo241, re di Borgogna. Profittarono della festa di san Giusto in Lione stessa, e sant'Avito con gli altri si presentò nel giorno di vigilia a Gondebaldo. Questi differì allo indomani una conferenza a tenersi, nella quale l'ariano Bonifazio uscì d'argomento con proporre stranezze a sciogliere, e Gondebaldo non ebbe la franchezzza per mantener l'ordine. Accomiatò i vescovi dicendo: “Pregate che Dio mi illumini”. Non ancora era venuta l'ora della grazia.
Il barbaro Gondebaldo aveva ucciso due fratelli e la moglie Clotilde del terzo, Godesigilo242. Però questi scrisse a Clodoveo che, venendo con armi, ei l'avrebbe aiutato. Uscirono in campo. Gondebaldo, avvedutosi del tradimento di Godesigilo, lasciò Clodoveo e marciò contro il traditore e l'uccise. Reputando poi che non sarebbesi sostenuto se non regolava il regno con il criterio delle leggi cattoliche, adottò il codice teodosiano che fu accettato anche da Alarico.
A Clodoveo troppo spiaceva che tanta parte della Gallia fosse lacerata dagli ariani. Però avutane causa, si incamminò incontro ad Alarico. Pervenuto nel territorio di Poitiers, disse a' suoi soldati: “In questo passaggio per onore a san Martino non fate danno di sorta”. E giunto in quello di Poitù soggiunse: “Nemmeno in questo luogo movete guasto se volete che sant'Ilario ci protegga”. Era un monastero diretto dal santo abate Massenzio. Questi uscì <ad> incontrarli dicendo: “Figli miei, non nocete a questo santuario di orazione”. Un soldato gli vibrò un dardo e n'ebbe inaridito il braccio. Massenzio il guarì benignamente.
Clodoveo trasse poi dalla fortezza al campo Alarico e lo - 303 -disfece. Per gratitudine a Dio mandò [224] corona d'oro al sommo pontefice e in Parigi edificò un tempio a san Pietro.
Contuttociò Clodoveo non aveva ancor corretto il carattere barbarico. Indusse Sigisberto ad uccidere il proprio padre, il re dei franchi di Colonia, e poi Clodoveo pose mano ad uccidere Sigisberto stesso243 per farsi incoronare ancora in quella regione.
Clodoveo ammalò e fu guarito dall'abate Severino con sovrap<p>orre il proprio mantello alle spalle dello illustre infermo. San Severino entrando in Parigi guarì pure un lebbroso ed Eulalio vescovo, che da un anno era sordo e c<i>eco.
6. A crescere il fervore nella Chiesa, san Cesario in Agda di Linguadoca adunò un concilio di 35 vescovi.
Cesario aveva dato la cura delle temporali cose ad un diacono ed egli attendeva al ministero delle anime. Fondò monasteri, eresse ospedali. Accusato d'aver atteso per consegnare la città di Arles ai borgognoni, si difese con un miracolo. Accusato altra volta a Teodorico in Ravenna, venne e suscitò il figlio d'una vedova, onde Teodorico all'atto di accomiatarlo lo colmò di ricchi donativi.
Il santo vescovo si valse altresì di Cesaria, la propria sorella, per edificare un monastero di vergini. Abitavano presso Marsiglia, vestivano in bianco e osservavano stretta chiusura, occupandosi spesse volte in ricopiare manoscritti. Digiunavano tre dì in ogni settimana. I falli si punivano con imporre separazione dalla preghiera pubblica e con la flagellazione.
San Cesario era chiamato arbitro nelle contese fra popoli e popoli. Accusato per la terza volta di delitto di Stato, si ebbe in compenso della calunnia sopportata con rassegnazione otto mila monete d'oro, che egli corse a versare poi nelle mani dei poveri.
[225] Un santo romita, Giacomo, era il rifugio dei tribolati in Armenia. Cabad244, re di Persia, muoveva guerra agli - 304 -armeni, quando si incontrò in una gabbia entro la quale genuflesso stava un uomo. I soldati gli vibrarono le lor freccie, ma nessuna ferì. Cabad volle castigarne i soldati e Giacomo si pose mediatore e disse voler egli pregare per tutti. Cabad si ritrasse da far male veruno.
7. Le virtù di santi personaggi salvarono pure Costantinopoli. Perocché l'imperator Anastasio, fattosi persecutor della Chiesa, cacciò il patriarca Eufemio e vi surrogò Macedonio, che invero firmò l'enotico, miserabile decreto di Zenone, ma non volle rifiutare il Concilio calcedonese. Anastasio245 minacciò <di> uccidere Macedonio, ma il popolo gridò: “Cristiani, è questo il tempo del martirio! Non abbandoniamo nostro padre!” E si rovesciarono addosso ad Anastasio, il quale riparò ne' suoi palagi e allo indomani, mentre il popolo attendeva per eleggere altro imperatore, Anastasio comparve scoronato e dolente, onde i sudditi lo riconfermarono.
Gli eretici intanto trassero in inganno Macedonio a firmar la nullità del Concilio calcedonese, ma avvedutosi protestò. Fu invaso l'archivio e bruciate le carte del concilio, ma non fruttò a Timoteo ed ai seguaci suoi, che con tante scissure preparavan la via a Maometto. Macedonio si mostrò intrepido.
Anastasio poi, eccitato sempre da odio contro alla fede cattolica, volse il suo mal animo incontro alle sedi di Alessandria e di Gerusalemme. Depose e cacciò in esiglio il vescovo Flaviano di Antiochia ed Elia di Gerusalemme, perché a costo veruno non vollero disapprovare il Concilio di Calcedonia o la deposizione di Macedonio.
Il santo abate Saba, splendore dell'oriente, venne con più vescovi ad Anastasio. Saba pareva un [226] paltoniere e i cortigiani non l'ammisero. Intanto egli si esercitava in preghiera pia. Fu domandato, e allora si presentò dicendo: “Io voglio dimorare in Costantinopoli tutta la vernata e ti verrò visitando più volte”. Attese la parola. In conversare con Anastasio e con - 305 -Arianna imperatrice accomodò molte pendenze, sì che partendo poté benedire all'uno e all'altra.
Voleva l'imperatore che Saba s'adoperasse per rinnovare in Gerusalemme un tributo antico, ma il monaco gli rispose: “Basti fin qui, o ti accadrà gran male”. Anastasio non si acquietando, mandò il ministro Marino, il quale fu ucciso in una sedizione.
Altra volta ripudiato Anastasio, minacciarono <di> eleggersi altro imperatore. Anastasio, continuando ad infierire contro la fede, eccitò a ribellione i popoli della Mesia e della Scizia, i quali gridarono imperatore Vitaliano, che poi con sessanta mila uomini venne presso a Costantinopoli e sbaragliò l'esercito di Ipazio composto di 65 mila.
A tanta sconfitta Anastasio trattò di pace, volle richiamati Flaviano ed Elia246 e Macedonio stesso. Pregò poi il pontefice sant'Ormisda247 a presiedere un concilio ad Eraclea. Ormisda, sempre dubitando della mala fede greca, mandò suoi legati con lettere piene di urbanità. Diede altresì istruzioni scritte per sapersene regolare in tutti i casi che per ventura avrebbero potuto accadere.
8. Di questo anno dugento vescovi orientali scrissero al pontefice così: “Al santissimo e beato patriarca di tutta la terra...” ed esposero le sedizioni, le guerre civili, gli incendi alle case ed ai conventi che spesso accadevano per i torbidi suscitati da Pietro Fullone intruso in Antiochia, da Mongo248 intruso in Alessandria, e da Acacio stesso. Intruso era pure Severo in Antiochia e [227] Timoteo in Costantinopoli. Il pontefice scrisse lettere molteplici in molte parti, esortò a pazienza i perseguitati, minacciò di castigo i persecutori e giunse pietoso le mani al cielo. Iddio inviò ancor qualche punizione e poi fece discendere il ben della pace.
Nella Dardania un terremoto spaccò in grosse fenditure larghe fin 13 piedi e profondissime per lo spazio di dieci - 306 -leghe, subbissando piani e dividendo monti. Scupe, la capitale, fu interamente sommersa, benché gli abitanti abbiano avuto campo a riparare altrove. Ventiquattro altre città furono quasi per intero distrutte. Venne<ro> altresì e carestia e fame desolante. Indi piombarono i barbari. Anastasio per contenerli dové incontrarli con migliaia di libbre d'oro.
In questo periodo di tempo morì Anastasio, che fuggendo come un Caino dall'una all'altra sala del palazzo, in ora che diluviava, fu percosso da un fulmine e trovato morto. Perirono Marciano, gli intrusi di Costantinopoli e di Antiochia e Acacio stesso. Poco stante morirono anche i santi Flaviano, Elia e Saba, onde pare che Dio li volesse tutti in confronto al giudizio presso di sé249.
Nella Tracia erano tre contadini che, stanchi da coltivare il suolo, scesero con un pane fino a Costantinopoli e si resero soldati. L'un d'essi, Giustino, fu capitano e poi senatore. Infine fu gridato imperatore con la sposa Eufemia imperatrice. Giustino era di cuor retto e fu buon cattolico.
In Costantinopoli era patriarca Giovanni, che con lagrime incessanti supplicava per la unione fra scissi popoli. Quando il popolo nella maggior chiesa gridò: “Unione, unione!”, Giovanni si rivolge attonito e gli altri continua<ro>no: “Predicalo a tutti... Persuadi: unione, unione!, e tu non partirai di qui finché non abbia provveduto”. Allo indomani fu festa solennissima pel Concilio [228] calcedonese. Si scrisse a Gerusalemme, ad Antiochia e altrove; si adunò un concilio e si gridò: “Benedetto il Signore che all'oriente mandò il ben della sua carità”.
Il pontefice sant'Ormisda mandò a mezzo de' suoi un formulario di unione, che fu firmato da duemila cinquecento vescovi. In esso si ripeteva quello di Ambrogio e di Agostino: “Dov'è Pietro, ivi è la Chiesa”. I legati pontificii furono incontrati a dieci miglia dalla città con pompa festosissima. In - 307 -tutte parti d'oriente si sclamò: “Amen! Amen!” Molti non potendo frenare la gioia uscivano in dirotte lagrime.
I vescovi d'occidente, e in ispecie quelli della Gallia, usciti in concilio a Borgogna, a Girona e altrove, applaudivano con giubilo vivissimo.
Nel concilio di Borgogna erano sant'Avito, san Vivenziolo250, san Silvestro, sant'Apollinare, san Claudio, san Gregorio, san Prammatico, san Massimo, san Florentino. Questi santi eccitavano un sacro fuoco di carità in cuore agli occidentali ed ai galli in ispecie. L'accento di lor voce risuonava festoso lontan lontano.
L'umanità cristiana, la Chiesa di Gesù Cristo nel petto de' suoi fedeli eruppe in questa esclamazione che risuonò a tutte le parti della terra: “Amen! Amen! Gloria a Dio nel cielo, il quale ha dato il ben della sua pace agli uomini quaggiù”.
1. Parabola applicata all'umanità cristiana.
2. Teodorico ostrogoto. Gli sono ministri Cassiodoro e Boezio.
5. Si attende alla conversion degli ariani. Clodoveo vince Alarico.
6. San Cesario. Il monaco Giacomo.
8. Tremuoti spaventosi in Dardania. Anastasio imperatore muore. Si firma un decreto di unione.