Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Da Adamo a Pio IX (II)...
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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II

XLVII. Uno sguardo alla Chiesa verso la metà del secolo settimo

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XLVII.

Uno sguardo alla Chiesa

verso la metà del secolo settimo

  1. [307] La madre in mezzo a' suoi figli passa i suoi giorni fra le gioie ed i dolori. Così la Chiesa, madre nostra. I giorni della sposa di Gesù Cristo sono altri di gaudio ed altri di amarezza. Intanto l'ammirabile genitrice fortifica l'animo suo e lo perfeziona a virtù santa.

  Zaccaria, pontefice di alta virtù, guidava a salute i figli della terra alla metà del secolo settimo. Luitprando minacciava da Lombardia <di> nuocere ai fedeli di Roma, ed egli, Zaccaria, con cuor di padre viene dinanzi all'usurpatore, lo supplica ad aver pietà de' suoi e mesce alle parole il pianto.

  In perorare dinanzi allo Altissimo la causa de' figli suoi, discioglievasi in affetti tenerissimi. In ordinare vescovi che l'aiutassero nell'opera di salvare le anime, commovevasi alle lagrime. Luitprando, che a patto veruno mostrava di voler cedere Ravenna, non poté non compungersi alla presenza del Vicario di Gesù Cristo.

  2. Carlo Martello, strenuo difensore del pontificato, era morto. A lui succedevano i figli Carlomanno e Pipino. Le Chiese nella Francia erano alquanto decadute. Da circa 80 anni non adunavansi concilii nazionali; Carlomanno chiamò da Germania l'apostolo san Bonifacio perché presiedesse alle adunanze ed alla riforma della disciplina. Bonifazio [308] domanda al pontefice se a tant'uopo lo benedica e intanto nel 742 incomincia le sedute conciliari. Due ipocriti, Clemente ed Adalberto, fingevansi vescovi e percorrendo disseminavano discordie. Bonifacio li sorprende, li condanna in persona propria e del concilio e li fa anatematizzare dal sommo pontefice.

  I laici avevano appreso il mal costume di dirigere i beni di Chiesa. Aveva di quelli che godeansi i patrimonii dei vescovadi durante la vacanza. San Bonifacio si fa a domandare tre pallii per la Chiesa di Francia e li ottiene da Roma, e intanto insedia nelle tre metropoli personaggi invitti.

- 378 -  Carlomanno gli concede il terreno per la fondazione e Bonifazio, con l'aiuto del compagno e discepolo san Sturmio, istituisce un convento ad Hirsfeld e poi a Fulda, dove ha principio una città di questo nome.

  Bonifazio prega la propria parente santa Lioba, direttrice di vergini nella Inghilterra, e questa accorre per aprire in copia monasteri nelle terre di Germania e di Francia. Santa Lioba era molto istruita nei Libri santi.

  Come Carlomanno, così il fratello Pipino adoperavasi per il bene della Chiesa. Ragenfredo, abate di Fontenella375, faceva sostenere cruda fame dai monaci suoi. I monaci ricorsero a Pipino e n'ebbero sollievo. Ragenfredo, tolto di , fu elevato ad una sede vescovile, ma non diè prove di buon cuore.

  3. Nella Inghilterra erano pure vizii di briachezza e di dissipazione delle persone che avrebbero dovuto porgere ben altro esempio. Bonifazio si adopera in pro di quelli, ma dopo aver a lungo faticato si duole con dire: “Quanto scarso è il frutto di salvezza d'anime! Io sono come un cane [309] che latra e che non è curato dai passeggeri nella via”.

  Compagno a lui nelle fatiche si congiunse Egberto il quale ne lasciò libri scritti. In un libro detto Penitenziale descrive la formola di giuramento solita <a> darsi dai re in assumersi il governo di un popolo e che è di questo tenore: “Io prometto in nome della santissima Trinità primieramente di far che la Chiesa di Dio e tutto il popolo cristiano godano sotto il mio governo vera pace; secondo, di reprimere qualunque rapina e ingiustizia in qualsiasi classe di persone; terzo, che in ogni giudizio l'equità vada congiunta alla clemenza, a ciò che l'ottimo e pietosissimo Iddio possa per l'eterna sua misericordia perdonare a noi tutti. Così sia”. Il popolo poi soggiungeva: “Viva per sempre il re. Così sia”.

  Carlomanno aveva emesso questo giuramento, ma poi se ne sgravò. Adunati i principali della nazione disse: “Io non vi sarò più sovrano quinc'innanzi. Sentomi di lasciare il mondo per pensare più davvero all'anima mia”. Salutolli adunque e - 379 -venne a Roma. Porse ricchi donativi alle chiese e si recò poi sul monte Soratte per edificarvi un monastero. Dimorò in quello con molto fervore quando, ricevendo soverchie visite da fuori, trasse segretamente al convento di Monte Cassino sclamando: “Usatemi pietà che sono un peccatore pessimo”. Occupandosi alla cucina e non intendendosene, fu chi gli gettò un pestello al capo. Rispose questi: “Il Signore e Carlomanno ti perdonino”. Fu replicato l'insulto, e allora un fratello che ben conosceva il re gridò: “Né il SignoreCarlomanno ti perdonino, o sciagurato”.

  Anche Ratchis, duca del Friuli, morendo Luitprando gli succedé nel regno di Lombardia, ma egli rinunciò in favor del fratello Astolfo e venne <a> passar sua vita in un monastero.

  [310] Nel monastero di Fulda erano 400 religiosi. Era quel convento unicamente soggetto alla Santa Sede. Bonifazio, affranto ancor egli dall'età e dalle fatiche, bramò <di> ritirarsi in quello a passare gli ultimi giorni del viver suo, ma Zaccaria scrisse incoraggiandolo ai triboli dello apostolato.

  4. Stando in Francia, vide Bonifazio quella generosa nazione correre pericolo di rovina nella elezione di uno fra i molti re pretendenti. Ed egli, guidato da lume e da coraggio, venne a Roma e con il pontefice conchiuse che Pipino, essendo già di real famiglia, questi di preferenza, offerendo le buone qualità di un saggio rettore, lo si dovesse consacrare in re della nazione.

  Ritornato, Bonifazio consacrò dunque Pipino e incoraggiollo finché fosse difensore strenuo della santa Chiesa. Pipino ben corrispose. Vide i fedeli minacciati da oltre i Pirenei dai saraceni, cui ricacciò poi fuori Barcellona. Iscorse che la Cristianità di Francia, scombussolata dalle guerre e dagli attentati di eresia, aveva alquanto perduto nello spirito, ed egli Pipino adunò concilii a Metz per regolare la disciplina del clero e del popolo.

  Il potere del re porgeva la sua destra al sollievo dell'autorità ecclesiastica. Nelle adunanze conciliari i vescovi discutevano e confermavano il re incoraggiandolo al bene. Nelle adunanze civili i vescovi stessi, personaggi d'ogni altro più retti ed illuminati, porgevano aiuto per dirigere secondo il vero progresso - 380 -del bene le pub<b>liche cose dello Stato e delle persone. In questo modo la Francia addiviene la figlia primogenita della Chiesa e si dispone per ottenere la preponderanza religiosa sopra le nazioni d'Europa.

  5. La facella della cattolica fede illanguidiva in Nortumbria di <Gran> Bretagna, e perché veniva meno [311] il lume di vera vita, i nortumbri da lunga pezza si dibattevano in guerre civili, nelle quali in un periodo di secolo mutano quaranta regnanti. Il trono di quel popolo era divenuto quasi ammazzatoio dei regnanti, poiché fra quaranta un solo morì di morte naturale.

  6. La fiammella della fede era vicina <a> spegnersi fra' greci e moriva fra i musulmani. Fra questi ultimi vennero però disastri spaventosi.

  Il monarca de' turchi è re nello stesso tempo e pontefice. A quest'alto onore molti ambiscono con ansia febbrile. Caduto Maometto, i più potenti si creano una dinastia a fine di perpetuare in quella il comando. A quest'epoca Moawiah376 si costituisce capo della dinastia degli ommiadi. Alì, cugino del gran profeta, pretendeva maggiori diritti. Si accende pertanto una guerra nella quale si versa in copia il sangue cittadino, né potendosi comporre amichevolmente le parti, si ha ricorso al Corano, che Moawiah spiega secondo il proprio capriccio e se ne vale poi con tradimento, eleggendo Amrou al governo. Di qui una scissura per cui i capi degli ommiadi malediranno ai seguaci di Alì, e questi a quelli come a scomunicati e come a scismatici fino ad oggidì.

  Presto gli succede Valid, d'indole fiacca e di consiglio incerto. Nondimeno venute circostanze favorevoli, estende l'impero all'Armenia, alla Cilicia, alla Cappadocia, alla Galazia e fino a Spagna, alla Corsica, alla Sardegna ed alle isole Baleari. Verso levante estende i confini sino alle frontiere della Cina e giunge per altro lato fino alle porte di Costantinopoli, dove morì.

- 381 -  Solimano ne ottiene lo scettro, e questi si rende famoso per la voracità con cui consumava per una colazione al mattino tre pingui agnelli, per una refezione tra via un capretto con 70 melagrane[312], seguite da sei polli arrostiti e da quantità enorme di uva secca. Dopo aver divorato in un giorno cento libbre di carne, crepava per mezzo.

  Omar ii califfo, ossia re e pontefice, essendo devoto al Corano, inviava al re di Costantinopoli un compendio del Corano stesso, dicendo: “Esamina e scorgi se appieno non ti convenga lasciare la religione cristiana per la musulmana”.

  Poco stante, scherzando in sedere a mensa, gettò un acino d'uva nella strozza di altra delle regine. Questa morì e Omar per alto duolo parve accompagnarla alla tomba. Nutriva tanto odio alla dinastia degli ommiadi che, per livore a quella, fece uccidere nel regno tutti gli animali quadrupedi ovvero volatili che recassero un tratto di color bianco, indizio della bandiera degli ommiadi377. I discendenti di Abbas, zio di Maometto, dispongono assai sovente insurrezioni che lasciano poi larghe traccie di sangue.

  Questi sono i re ed i pontefici dei musulmani. Tanto è difficile trovare fra' pontefici romani un personaggio solo meno che onesto, quanto a gran stento fra i musulmani si può tra tutti incontrarsi in un califfo buono. Il Vicario di Gesù Cristo ci salva. Se non fosse appo noi il sommo pontefice, o se questi non fosse, Europa sarebbe, a' nostri, quale dura ad essere Algeria o sia la Barberia d'Africa.

  7. Costantino Copronimo a Costantinopoli consumava eccessi atti a disonorare un seguace stesso di Maometto. Il Copronimo aveva smarrito il lume della fede più rovinosamente che il persecutore delle immagini sacre Leone Isaurico. Lo stolto proibiva che i beati del cielo si invocassero con il titolo di santo. La Vergine stessa bestemmiava doversi chiamar santa in quel periodo in cui portò entro di sé il Salvatore e non in - 382 -verun tempo posteriore. Si applicò poi a profanar chiese, a rovinare conventi, ad avversare tutto e tutti. Suoi [313] intimi erano i maestri di magia e di superstizione, dai quali pendeva come uno scolaretto diligente dal proprio maestro.

  Ma Artabazo378 sollevasi incontro al Copronimo e si fa gridare imperatore. A questo scopo getta l'impero in una guerra civile che continua per due anni, nei quali i turchi intanto percorrono saccheggiando in ogni luogo di villaggio e di città.

  8. Verso la metà del secolo settimo si manifestò pure un contagio misterioso. Invase la Sicilia, la Calabria, la Grecia. Scoprivansi sul corpo delle persone macchie quasi in color dell'olio in forma di croce. La gente diveniva stupida. A mo' di pazzi fuggivano per iscansare le figure di spettri e di demoni che dicevano inseguirli con furore. Morivano in sì gran numero che tutto il Pelopon<n>eso rimane<va> deserto. Continuò per anni tre. I cadaveri si ammonticchiavano nelle città. In Costantinopoli s'erano riempiuti di cadaveri i pozzi e molte case. I vivi più non bastavano a seppellire i morti. I cavalli cadevano colti dallo stesso malore.

  9. Il lume della fede si era spento nella Cina. Misero un popolo di pagani che viene brancicando fra gli orrori di notte tenebrosa! I chinesi con frequenza assai superiore a quella di un popolo cristiano vengono alle insurrezioni ed alle guerre per intronare un re. La pietà figliale è principal virtù fra i chinesi. Cionondimeno raro non è che un figlio si rivolti contro al padre, o non lo uccida comec<c>hes<s>ia per rapirgli il trono.

  Nel serraglio del re Taitsong son dieci mila persone. Una Wouchè379 con astuzia finissima si guadagna l'affetto del califfo e dei maggiorenti dello impero. Nelle sedute di Stato ella si nasconde dietro cortina e fa intendere suoi desideri. Poco [314] stante compare ella medesima. E' insanguinata dell'assassinio dei personaggi più cospicui della China. Ha le mani tinte del sangue dei proprii figli. Ma nulla vale, ella è assunta al - 383 -governo universale. Assume abiti virili e offre sacrificii e si intitola Wouchè la potente, la maestra di civiltà e di progresso.

  Kouotsey380 nel 781 riforma e la corte e l'impero della Cina381. Ma egli è cristiano fervoroso che edifica chiese, che innalza altari, che aduna cristiani dispersi. Kouotsey dopo aver faticato come un prode illustre dice: “Io sono servo inutile. Chi opera è la virtù di Gesù Cristo salvatore”.

  <10.> San Giovanni Damasceno continua le sue fatiche di guerra contro agli eretici del tempo. Rivolge le forze più poderose contro ai musulmani. Scrive suoi libri: Fonte della scienza, Della fede ortodossa, Paralleli, o ragguaglio delle sentenze dei Padri colla Scrittura. Il Damasceno con la scorta delle scienze di filosofia e di dialettica illustra il valore e la forma delle definizioni, le quali diversamente interpretate porsero fatica poderosa ai vescovi ed alla Chiesa per confutare ed abbattere gli errori in numero di 180, che san Giovanni nel suo libro Delle eresie attesta avere insegnato altrettanti maestri di iniquità.

  Nella Siria, con il titolo di pauliciani, rinascevano gli eretici manichei e si propagavano alla Bulgaria con il nome di bogomili382. Questi sciagurati appariranno più tardi coll'appellativo di albigesi e di patarini.

  San Giovanni Damasceno, scrittore di esuberante erudizione e di meravigliosa acutezza, oppugnò sino alla morte gli eretici di qualsiasi appellazione.

  11. Alla metà del secolo settimo gravi mali premevano sopra Roma. Astolfo, fratello del monaco Ratchis383, rimasto al governo dei longobardi, occupò [315] Istria e Ravenna e la Pentapoli, di ragione della Santa Sede. Il pontefice, allora Stefano ii, mandò al re longobardo preghiere con donativi, inviò supplicazioni e minacce, ma ancor non ottenendo si discioglieva in lagrime dinanzi a Dio e faceva pregare da tutto il - 384 -popolo. Istituì processioni per ogni sabato della settimana. Egli, Vicario di Gesù Cristo, si cingeva di cilizio la persona e versava la cenere sul proprio capo.

  Roma senza il pontefice avrebbe d'un tratto perduto il decoro proprio e la propria virtù. Scrive un protestante, Jean de Muller: “La paterna mano dei pontefici fu quella che innalzò la gerarchia e a lato di questa la libertà di tutti gli Stati”.

  Stefano ii in un frangente gravissimo imitò quello che già fecero i due Gregori, ii e iii, e il santo pontefice Zaccaria. Scrisse al re Pipino così pregandolo: “Aiutate san Pietro”. Scrisse parimenti ai principi ed ai duchi di Francia sclamando: “Soccorrete al pontefice!”

  Era il 14 ottobre 753. Il pontefice Stefano era venuto in Pavia alla presenza del re Astolfo. Supplicava con queste parole: “Cessate da contristare il cuore del pontefice. Ricevete i doni che vi offro; restituitemi Ravenna e le altre città toltemi, od io sarò costretto per la salute de' miei figli di invocare la protezion del sovrano di Francia”. Non credevalo il re dei longobardi.

  Ma Stefano partissi e a gran passi valicò le Alpi e pose piede nel terreno di Pipino. Allora si inginocchiò ringraziando Dio. Gli vennero incontro principi e duchi di quella generosa nazione. Incontrollo con pompa regale lo stesso sovrano e si fece festa in tutto quel .

  Allo indomani si scorse spettacolo di immensa tenerezza. Il pontefice, ritornato al reale palazzo e postosi in atto supplichevole dinanzi a Pipino, ripeteva: “Io non mi leverò finché mi abbiate promesso [316]per san Pietro l'aiuto vostro”. Il re dei francesi si abbracciò al pontefice e volle da lui essere benedetto.

  Viveva nel monastero di Monte Cassino Carlomanno, fratello del re Pipino. Astolfo, temendone, pregollo a correre in Francia per dissuaderne il reale fratello. Ed egli se ne venne, espose semplicemente l'ambasciata sua, finché ammalando presto morì. Il pontefice medesimo colto da gravissimo malore fu creduto morto. Ma rinvenne e riaprendo gli occhi sclamò: “Lodiamo Dio; io sono salvo mercé l'aiuto di - 385 -san Pietro apostolo e di san Dionigi martire, che mi sono apparsi”.

  Stefano mandò novelle ambasciate al re Astolfo, ma non ottenendo, Pipino discese con un nerbo di prodi. Fu nelle pianure lombarde e d'un tratto costrinse Astolfo a giurare che avrebbe restituite le città usurpate. Intanto disponevasi <a> ritornare, malgrado che il pontefice supplicasselo a soffermarsi, finché in effetto il re avesse eseguite le restituzioni di dovere.

  Ora Astolfo non solo non mantenne il giuramento di restituire Ravenna, ma adunato un forte esercito venne intorno a Roma e la cinse d'assedio per 55 giorni. I romani soffrivano di fame e di stenti, le campagne erano state devastate. Astolfo minacciava: “Consegnatemi il pontefice o Roma sarà rovinata”.

  Non è a dire quanto i romani ne fossero in angustie; difendevansi con gagliardissimo sforzo. Stefano, sempre primo nel pericolo, confortava tutti. Aveva scritto supplicandone novellamente Pipino e questi ritornò, e circondata Pavia, la capitale del re longobardo, la costrinse <ad> arrendersi. Astolfo accorse, e per scampare da peggiori mali restituì le regioni usurpate e vi aggiunse del proprio la città di Comacchio. Obbedivano al pontefice le città di Ravenna, di [317] Rimini, di Pesaro, di Fano, di Cesena, di Sinigalia, di Iesi384, di Forlimpopoli, di Forlì, di Bobbio, di Comacchio, di Narni e di altre fino al numero di ventiquattro.

  Roma era come la Gerusalemme nuova ed era priva affatto dello aiuto dei greci. Il pontefice da lunga pezza dirigevala. In momenti di turbolenze gravissime avevano supplicato i popoli al pontefice che li salvasse. Come la Gerusalemme di Palestina e del mondo, minacciata di rovina, difendevasi con il sangue dei prodi Maccabei, così la Roma d'Italia e di tutta la terra meritava che fosse sostenuta dai prodi invocati. Solo la Francia poteva in questo periodo salvar Roma, ed essa liberolla.

  12. In Costantinopoli l'imperator Copronimo volgevasi con ira crescente contro alle immagini sante. Sclamava l'insensato: - 386 - “Come è possibile che il pittore con il suo pennello richiami entro la tela la divinità?” “Stolto e cattivo -- rispondevagli il Damasceno -- Qual cristiano mai intese che la immagine del crocefisso sia egli Gesù Cristo nella persona adorabile del Verbo?...”. Di poi tolta una immagine di Copronimo soggiunse: “Godrai tu che io calpesti la im<m>agine del tuo volto?” In dirlo calpestavane la figura. Si rese furente l'imperatore, ma il santo continuò: “Quanto più si dorrà l'Altissimo di te, di te il quale con tanto sacrilegio ne estermini le immagini di lui?...”. Costantino Copronimo si diè a percuotere sul volto a Giovanni, e questi replicava: “Obbrobrio d'un re cristiano!... Arrivederci al giudizio del Signore!...”.

  Così il demonio, ruggendosi di rabbia, volgeva il suo furore contro alle im<m>agini per distogliere i cristiani da guardare a Gesù Cristo Dio. Così, alla sua volta, Gesù Cristo salvatore incuorava alla vittoria i figli suoi.

  [318] Questa che abbiamo descritta è in ogni secolo la battaglia della Chiesa. La Chiesa di Gesù Cristo soffre, combatte e prega. Le vittorie della Chiesa sono trionfo certo. Fortunato chi prende parte alle lotte della Chiesa. Egli ne godrà presto i trionfi.

Riflessi

1. Gioie e dolori di una madre pia, Chiesa santa.

2. Carlomanno re richiama san Bonifacio perché ristori in Francia la disciplina ecclesiastica.

3. San Bonifazio s'adopera pure nella Inghilterra. Carlomanno si fa monaco.

4. San Bonifazio fa eleggere Pipino.

5. Rivoluzioni nella <Gran> Bretagna.

6. Scissioni e guerre fra le dinastie musulmane. Solimano, Omar ii.

7. Costantino Copronimo ereticante.

8. Un contagio misterioso.

9. Assassinii nella Cina, Wouchè.

- 387 -10. San Giovan Damasceno e sue opere.

11. Astolfo minaccia Roma; il pontefice chiama in difesa Pipino.

12. Il Copronimo perseguita il culto delle sacre immagini.





p. 378
375 Originale: Fontanella; cfr. Rohrbacher VI, p. 21.



p. 380
376 Originale: Moaviah, ripetuto nel paragrafo; cfr. Rohrbacher VI, p. 38.



p. 381
377 In Rohrbacher VI, p. 42, gli episodi qui riassunti (Poco stante [...] bandiera degli ommiadi.) sono riferiti al successore di Omar, Yezid, invece che allo stesso Omar II.



p. 382
378 Originale: Artabago; cfr. Rohrbacher VI, p. 46.



379 Originale: Wouches; cfr. Rohrbacher VI, p. 49.



p. 383
380 Originale: Koutsey, ripetuto nel paragrafo; cfr. Rohrbacher VI, p. 54.



381 Diversamente in Rohrbacher VI, p. 54: «[Kouotsey] venne a morte l'anno 781».



382 Originale: bagomili; cfr. Rohrbacher VI, p. 71.



383 Originale: Rachis; cfr. Rohrbacher VI, p. 29.



p. 385
384 Originale: di Sinigaglia, di Jesi; cfr. Rohrbacher VI, p. 91.



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