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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II LII. Intorno ad una tomba |
LII.
<1.> [350] E' caduto il forte. I secoli deplorano intorno alla tomba di Carlomagno. L'eroe in adagiarsi nel suo sepolcro aveva detto: “Lascio imperatore il figlio maggiore Lodovico; a - 415 -lui come sovrano subalterni obbediscano gli altri due figli e così si conservi nei secoli avvenire il regno che per mio mezzo il Signore volle adunare”.
Nella Carta dell'817 e 822, Lodovico alla sua volta tenne lo stesso discorso con Lotario, il primo nato, e l'assemblea del popolo confermò con plauso il consiglio dell'imperatore. Ma i fratelli non vi si acconciarono per lunga pezza. Morto il padre, dissero i figli minori: “Dunque Lotario sarà superiore a noi?... E noi e i popoli che ci sono obbedienti dovremo dipendere dal volere di Lotario?... Non sopportiamo questo...”. Il pontefice stesso si infram<m>ise per conciliarli, ma non ottenne.
Carlo il Calvo che dominava in Francia e Lodovico che reggeva nella Germania porsero a Lotario modi di pacificazione che non accettò. Allora compaiono alla testa di due eserciti nel campo di Fontaneto e intimano a Lotario: “Una delle due: o tu ti arrendi ai nostri consigli, o ti sfidiamo in aperto combattimento”. Lotario rifuggiva da ambedue le proposte, ma i fratelli, assalitolo con forte nerbo, lo disfecero in un combattimento disastroso.
Lotario fuggì e l'un dei fratelli disse: “Lo inseguiremo noi?...”. “Non mai -- rispose l'altro -- egli è fratel [351] nostro. Meglio è che, adunati i vescovi, noi e l'esercito nostro ci riconciliamo con essi”, e rivolti ai soldati dissero: “Noi deponiamo qualsiasi mal volere che per caso in combattere avessimo potuto concepire nei cuori nostri”. E chinatisi ai vescovi continuarono: “Che dite, o pastori e padri nostri?... Non abbiamo noi fatto male veruno in accondiscendere ai popoli che vollero ciascuno indipendente il proprio re?...”. I vescovi confortarono i sovrani e il popolo. Da questo punto una tomba si aperse in Fontaneto. Entro discese il regno di Carlomagno e vi riposa da oltre mille anni senza speranza che fuori presto ne esca ricoperto di novello splendore. L'impero dei franchi scomparve.
2. Or si chiama Francia il popolo dominato dal re Carlo e francesi i sudditi, che adottano costumi propri e una lingua propria composta dell'idioma teutonico e del latino.
I tre fratelli scelsero poi 300 arbitri per eseguire una partizione equa dello impero. Toccarono dunque a Carlo il Calvo - 416 -la maggior parte della Francia e della Spagna. A Lodovico toccò la Germania. Lotario poi si prese l'Italia e la parte orientale di Francia detta poi Lotaringia o Lorena. Floro di Lione in un carme accreditato deplora: “Tre provincie, tre regoli”.
Ma quei re non erano barbari. Ricomposti come buoni fratelli giurarono: “Per l'amor di Dio e del popolo e per la nostra comune salvezza promettiamo dinanzi allo Altissimo perfetta alleanza, in modo che se uno volesse romperla non sia giammai aiutato dall'altro”. Erano di mezzana statura, ma di bell'aspetto, valorosi, benefici, accorti, eloquenti. Addestravano sé, i figli, il popolo alle corse di cavallo ed ai [352] maneggi delle armi, ma abborrivano nei circoli dal sangue.
Nondimeno Carlomagno, l'eroe dei secoli, giaceva muto entro una tomba. I popoli, che si avevano udita tante volte la voce, or si rimangono a modo di attoniti. La voce o di Carlo o di Lodovico o di Lotario non è già il vigore e la vita della parola di Carlomagno.
3. I sassoni parvero avvedersene. In quel popolo erano i lazzes, la classe dei servi, che insorgendo presero il nome di stellings e minacciarono <di> sottrarsi al dominio del re ed al servizio dei signori. Furono poi acquetati. Ma non così valsero o Carlo o Lodovico o Lotario a difendere i propri sudditi dalle invasioni dei barbari.
I normanni, stanchi di vivere fra le nevi di Svezia e di Danimarca, attesero che Carlomagno morisse. Diedero poi uno sguardo intorno e, trovato di poter guadagnare, discesero in più riprese sotto la condotta di Ragenario, e dall'anno 840 all'845 spogliano la città di Nantes, derubano e bruciano il monastero di sant'Audoeno420; risalgono su Tolosa, sulla Galizia421, sulla Spagna e poi ripiegano fino a Parigi, la capitale, che nel Sabato santo di quell'anno saccheggiano. Spogliano sacrileghi la stessa chiesa di san Germano422 e si provano ad atterrare- 417 - le travi per usarne nelle loro navi. Ma le destre degli uni inaridiscono, gli altri son colti da uno strano malore di dissenteria. Ragenario manda <a> dire a re Carlo: “Dammi settemila libbre d'argento che io me ne ritorno”. Fu ascoltato. Il capitano, restituitosi ad Orico il proprio re, disse: “Nella Francia il paese è ricco, i popoli son di poco cuore; per resistere valgono più i morti che i vivi”.
4. In quest'anno 845, risparmiata la Francia, calarono con orde sfrenate sulla Germania e saccheggiarono più città. Il vescovo sant'Anscario fu intrepido in porre in salvo le reliquie dei santi. [353] Fu spogliato delle sostanze del vescovado e della chiesa, ma ei soggiunse come Giobbe: “Dio ha dato, Dio ha tolto, sia il suo nome benedetto”423.
Ritornando poi nella Svezia cacciarono dal paese Gozberto che ammaestrava con alcuni sacerdoti nella fede quel popolo. I sacrileghi incontrarono male. Il cielo li punì con tal severità di castigo che molti invocando Gesù Cristo crederono poi di cuore.
5. Né tampoco Lotario valse a difendere il popolo d'Italia dalle invasioni dei saraceni. Lotario non faceva né bene né male. Era amante delle caccie. I popoli sclamavano: “Che ne facciamo noi di un re bramoso dei passatempi?...”. I saraceni invadevano da tutte le parti ed egli dormiva. Lotario morì nell'855.
6. Lo scompiglio cresceva nella Francia per la indisciplinatezza dell'esercito e per la dappocaggine di Carlo. I normanni, ritornati a saccheggiare Parigi, dimorarono tranquilli per 285 giorni intorno alle regioni della Senna. Carlo intanto voleva mostrarsi forte in combattere il nipote Pipino ii di Aquitania, forte in attentare alla vita di Bernardo, che d'accordo con Giuditta, la madre, tanto si era adoperato per formare a lui un regno. Si dice che 300 lupi adunatisi in truppa percorrevano il mezzodì della Francia. I normanni nel<l'>846 stesso procedendo da una ad altra devastazione saccheggiavano Marsiglia.
Per tanto malo esempio le rapine credevansi lecite perfino - 418 -dai cristiani. In Francia venne da un vassallo rapita la figlia del re Carlo. Allora Lotario, Lodovico e Carlo si adunarono per dire che non è lecito poi rubare le persone o la robba degli altri.
[354] I vescovi, che sentivansi strappare ora dai barbari ed ora dai potenti del paese i beni della mensa, della Chiesa, dei monasteri, si facevano guerrieri eglino stessi. Qualche volta si rifacevano sopra la persona dei parroci e del clero inferiore. Carlo il Calvo credette di fissare il confine delle loro pretese e ricordar loro che beati sono i pacifici424. <Non sappiamo però con quale competenza si inserisce nei rapporti interni tra vescovi e clero a loro subordinato>425.
Ebbone, arcivescovo di Reims, dopo sette anni di prigionia riprendeva la propria sede, incoraggiato a ciò dal sommo pontefice Gregorio.
Sulla tomba dei re è scritto: Qui giace. Sulla fronte dell'avello scoperchiato del Salvatore si legge: E' risorto. La Chiesa di Gesù Cristo è sempre dessa e non perisce mai. Lo disse Gesù Cristo: “Tu sei Pietro e sopra questa pietra edifico la mia Chiesa; le porte d'inferno non prevarranno giammai”426.
7. I mori nell'843 in più riprese assalirono Monte Cassino e trasportarono in valore di mille trecento libbre d'argento donate dagli imperatori al celebre monastero.
Nell'anno poi 847 i saraceni vennero fin presso a Roma. Saccheggiarono le due basiliche di san Pietro e di san Paolo. Incendia<ro>no le case deserte e da Roma ripassa<ro>no a Fondi427, e da qui fino a Gaeta. Data poi un'occhata a Montecassino, dissero: “Domattina svaligieremo ancora quel monastero”. Ma nella notte scaricò tal bufera, che ingrossò spaventosamente il rigagnolo che trascorreva a fianco. I saraceni dirizzarono lo sguardo alla patria loro, l'Africa, e si accinsero al ritorno. Ma messo il piè in mare, altra bufera sconvolse i loro legni e li ruppe in naufragio. I cadaveri dei saraceni, e con - 419 -questi molta copia delle ricchezze derubate, furono rigurgitate dalle onde.
Così il cielo pareva esemplarmente428 dare castigo ai persecutori di Chiesa santa.
8. [355] I cristiani, compresi da terrore, volgevano le braccia a Roma e la voce al pontefice sclamando: “Salvaci tu che il puoi”. I romani in ispecie si accostarono al palazzo Laterano per baciare il piede al pontefice Leone iv eletto testé e gemerono gridando: “Salvaci, salvaci tu che in terra sei il Vicario del divin Salvatore!” San Leone levossi in nome di Dio e scacciò i saraceni da Roma e da Italia, e così salvò l'Europa intiera.
Incominciò l'opera sua nel nome del Signore ristorando con 216 libbre d'argento l'altare detto Confessione di san Pietro. Di poi a difendere i templi del santo apostolo, e con essi la capitale, pensò <di> edificare intorno una città, che dal suo nome fu poi detta Leonina. Scrisse invocando l'aiuto dei principi allo intorno e, adunati in numero lavoratori, pose principio agli edificii. Egli in persona assisteva per incoraggiare nell'impresa. Era la vernata assai fredda, ma nessuno si ritrasse. Elevò due torri alle sponde del Tevere e riparò le mura dell'antica città. I saraceni mai più osarono avvicinarlesi. Leone benedisse alla nuova città, sparse in copia doni al popolo e invitò tutti a lodarne Iddio!
Leone attese in egual modo a rifabbricare le città di Porto e di Centocelle, or Civitavecchia, che per timore degli assalti saraceni erano state dagli abitanti abbandonate e dai mori distrutte. Roma fu salva in quella che minacciava <di> addivenire una borgata dei musulmani, e l'Italia fu libera prima che diventare provincia dei mori.
9. Era in Roma certo Graziano, principe nobilissimo, il quale fu da cotal Daniele accusato che avesse tentato di dar Roma in mano ai greci. Il pontefice giudicò il Daniele, che confessò essere stato male intenzionato di rovinare Graziano, il pontefice e Roma per insinuazione dei tristi. San [356] Leone - 420 -ringraziò Dio d'averlo liberato ancor da questo pericolo e attese al retto ordinamento della Chiesa.
Avevano preceduto san Leone con esempio di fortezza i pontefici Sergio e Gregorio iv, che fabbricò la città di Ostia. Nella elezione di quest'ultimo accadde questo fatto. Era costume invalso che il pontefice, avanti essere consecrato, giurasse di conservare nei principi i loro diritti. Lotario mandò ambasciatori a ciò e ne incaricò sovrat<t>utto il figlio Lodovico d'Italia, che si accostò a Roma con forte esercito. Lodovico entrò nella città, ma fuori l'esercito spandevasi in guasti orrendi alla campagna. Venne una bufera accompagnata da fulmini e da procelle che uccise molti di quei sfrenati.
Ora il pontefice incontrò bensì onorevolmente Lodovico, ma chiuse le porte di San Pietro e interrogò: “Vieni tu come amico o come nemico?...”. Lodovico mostrossi sommesso. Allora il sommo pontefice lo incoronò re dei longobardi.
Drogone, vescovo di Metz, della real famiglia e adulatore di Lotario, mosse contesa tra i vescovi e con il pontefice per dichiararsi indipendente dalla Santa Sede. Al quale Sergio soggiunse: “Chi è come il Vicario di Gesù Cristo?” In dire umiliollo profondamente.
10. Più facile è piantare la virtù che svellere i vizii da un popolo. I pontefici nondimeno vi attesero e riuscirono mai sempre. Anche in questo periodo di tempo si trovarono confessori intrepidi e martiri invitti, i quali porsero altrui conforto di buon esempio.
I vescovi adunati in concilio a Beauvais istituirono canoni per appianare le pendenze che erano fra il re Carlo e Incmaro arcivescovo di Reims. Altri concilii per la riforma dei costumi furono [357] adunati a Meaux ed a Parigi. Un concilio di Magonza scomunica gli oltraggiatori della reale maestà e gli usurpatori dei beni ecclesiastici. Infine delibera doversi celebrare tremila cinquecento volte la santa Messa e recitare mille settecento volte il Salterio per la reale famiglia. Un Tiota429, che in - 421 -questo tempo spacciava essergli stato rivelato il finimondo, fu condannato.
11. Scrittori illustri porgevano pure servizio importante alla Chiesa. Rabano Mauro, discepolo di Alcuino, fu creato vescovo di Magonza e scrisse Dell'universo e Delle lodi della croce. Valafrido dettò un Trattato delle cose ecclesiastiche. Pascasio Radberto, che dicevasi la spazzatura di tutti i monaci, scrisse di ciò che è vero e solido e che unicamente si trova nelle Scritture e nei Padri.
Spargevansi voci contrarie al parto purissimo della Vergine. Dal celebre convento di Corbia il monaco Ratramno430 scrisse utilmente Del parto della Vergine431 e Cristo è nato dalla Vergine. Un monaco, Gotescalco da Fulda, uscì forzatamente dal proprio monastero e predicò novità spiacenti. Professava che salvi sono tutti i redenti dal sangue di Gesù Cristo, che chi è destinato al paradiso o che è predestinato allo inferno, non importa che facciano o bene o male, perché quel che è fisso sta. I sacramenti per gli eletti sono fonte di bene, per i reprobi sono non altro che una figura. I buoni ne inorridirono. Venilone, arcivescovo di Sens, tolse a confutare in un libro di 19 capitoli il mostro di quell'eresia, che più tardi fu ancor predicata da Giansenio e da Lutero.
In un sinodo di Valenza si giudicò intorno a delitti apposti al vescovo di quella città. Nella chiesa di san Benigno in Digione erano [358] certi corpi reputati santi, dinanzi ai quali le donne del volgo anzitutto e di poi le stesse patrizie cadevano in moti convulsivi ed eccitavano il popolo a sensi di meraviglia e di sorpresa. Le indegne furono scacciate come trafficanti sacrileghe.
Nella chiesa di Reims fu scoperto il vero corpo di san Remigio. In quest'occasione furono operati prodigi non pochi. La principessa Alpaide, sorella di Carlo il Calvo, nel sarcofago - 422 -del santo adattò un cuscino prezioso sotto al capo e sul volto un velo che si trovò tuttavia intatto in altro scoprimento che seguì nel 1646.
12. Nei concili nazionali di questo tempo è fatta memoria dell'acqua lustrale con cui nelle domeniche il sacerdote aspergeva il popolo; è fatto cenno che il popolo, recando alle proprie case di quell'acqua, benediceva432 sé e le cose proprie. Si impone non doversi tollerare spettacoli buffoneschi coll'orso, con ballerini o figure di demoni dette talamaschere, oggidì maschere.
Ai sacerdoti è fatta ingiunzione di riferire se lavano essi primi i lini sacri detti corporali, se conservano in luogo decente l'olio santo, se la tavola di marmo o di ardesia pel santo Sacrificio è consecrata dal vescovo, di quale metallo sieno le campane e simili. Alcuni vescovi bretoni in consecrare sacerdoti ricevettero doni e per questo si ebbero fermo rimprovero dal pontefice.
Di quest'anno 850 una carestia desolante invase sovrat<t>utto nella Francia. Una madre in stendere la mano per domandare l'elemosina cadde sfinita e morì. Un padre, tolto il figliuoletto, disse: “Meglio è che tu muoia, perché delle tue carni ci pasciamo io e la madre tua”. Si scostò dalla consorte per trucidare il giovinetto, e intanto s'abbatté in un lupo che divorava una cerva. L'uomo fugò la [359] belva e recò di quella carne alla moglie che per duolo era svenuta, e ringraziò il cielo.
13. Molte discordie scompigliarono i bretoni, i quali nell'epoca dell'829 presero il nome di inglesi ed al proprio regno diedero il nome di Inghilterra. Fra i re di questo stato, illustri furono Egberto, cresciuto alla scuola di san Svitino, e san Etelvolfo, che nell'854 diede alla Chiesa romana la decima parte dei redditi del suo regno. Ne presentò il dono in persona allo altare di san Pietro, e per accrescere la dote di una scuola inglese ivi fondata dai suoi antecessori.
I protestanti, usi ad obbedire ad una donna assoggettandole- 423 - le proprie persone e la coscienza propria, insultano alla Chiesa calunniando che in questo tempo una papessa Giovanna si fosse intronata sul solio pontificio.
In oriente le turbe cristiane si mettono riverenti dinanzi alla tomba di un monarca cristiano, Carlomagno redivivo, nella persona dell'imperator Michele e della madre Teodora. Era l'anno 842.
14. I monaci di Studa si accostarono a Michele fanciullo e infermo, che reggeva sotto la tutela della genitrice Teodora. Gli dissero poi: “Noi pregheremo che tu guarisca dalla infermità tua, ma a condizione che, ristorato tu nel corpo, abbia a guarire altresì nell'anima e curare che il culto delle sacre immagini sia pubblicamente rinnovato”. Promise Michele e fu guarito. Teodora alla sua volta disponeva decreti favorevoli alla fede ed al culto delle sacre immagini. Giovanni, patriarca iconoclasta, infuriò. Posesi a letto e si tagliò in modo non grave il ventre a mezzo e sparse di sangue le coltri, e intanto gridò: “Aiuto, che Teodora mandò per assassinarmi!...”. La impostura fu presto riconosciuta e Giovanni fu deposto ed incarcerato. Fu eletto a succedergli san [360] Metodio, che procurò con Teodora affinché il culto delle sacre immagini fosse dovunque ristaurato. Inaugurò una festa solenne, detta dell'ortodossia, che innondò di giubilo la città di Costantinopoli.
Intanto Giovanni nella sua prigione riusciva a persuadere alla vedova madre di san Metrofane di pubblicare che il patriarca Metodio avevala ingiuriata. Venne perciò scompiglio in Costantinopoli. La donna si confessò rea e fu punita, i calunniatori furono obbligati <ad> accompagnare in ogni anno la processione delle sante immagini. Giovanni si meritò 200 sferzate. Con festa recavansi tra via le immagini di san Teodoro e di san Niceforo. San Gioannicio433 che si era convertito dall'eresia iconoclasta, recava al mento una fascia per sostenere la mandibola inferiore statagli rotta in tempo di persecuzione434.
- 424 - La sede di Costantinopoli fu rallegrata da altro santo di nome Ignazio che succedé a san Metodio. Teodora imperatrice conchiude la pace con Bogori, re dei bulgari. San Cirillo e san Metodio vengono al Chersoneso o Crimea e vi fanno brillare la luce del santo Vangelo. Vengono fra i moravi, vi introducono la civiltà cristiana e con questa l'alfabeto della lingua slava.
Tefrica435, città edificata sui confini musulmani dagli eretici pauliciani cacciati da Costantinopoli, era divenuta un covo di ladroni dissoluti. Teodora invia il fratello Petronas perché distrugga la città e ne sbandisca gli assassini.
15. In quest'epoca molti cristiani illustrarono la Chiesa col martirio. Nell'anno 836 il califfo Motassem436 alla presa di Amorio fece schiavi 40 generali che imprigionò in oscurissimo carcere. Giorni di poi mandò gente con elemosina di vitto per dir loro: “Amate voi i figli vostri?...”. “Sì, sì”, risposero. “Ebbene -- replicò il [361] califfo -- fingetevi musulmani e vi libereremo”. Risposero i generali: “In caso eguale che fareste voi?” E quelli: “Noi per esser salvi fingeremmo”. Aggiunsero i capitani: “Noi non mai; partitevi, che punto non siete convinti della vostra fede; noi lo siamo vivamente”.
Altra volta mandò <a> dir loro: “Credete in Maometto che è mandato da Dio per alleggerire il giogo dato da Gesù Cristo?” Risposero i generali: “Meglio il giogo di Gesù che rende liberi, anziché il giogo vostro che incatena la mente, che costringe il cuore colle passioni”. Aggiunsero i musulmani: “Iddio ci prospera”. Ed i generali: “Non furono più volte prosperati i persi idolatri? Noi saremo al tutto benedetti quando delle colpe nostre ne avremo fatta penitenza condegna”.
Furono condannati nel capo. Mentre si affrettavano, si incontrarono in Teodoro, prete che si era reso apostata. “Che fai tu qui?”, gli dissero. E questi: “Misero me! Voi al martirio pel cielo ed io al supplizio per l'inferno? Vi vo' seguire”. Accompagnolli- 425 - ed egli il primo consegnò il capo per essergli troncato.
Un cristiano, Badize437, apostata applaudiva. Indignossi il giudice saraceno. Chiamatolo a sé disse: “Tu sei indegno di vivere, perché hai rinnegato la tua fede”. In dirlo gli spiccò il capo dal busto.
16. Altri martiri illustri sparsero il sangue sotto ai mori in Ispagna.
Riceverono la palma del martire due vergini, Nunilo ed Alodia. San Perfetto e san Giovanni mercante, sant'Isacco e san Sancio ebbero con più altri mutilate le orecchie, il naso; cavaron loro gli occhi e furono percossi poi di scure nel capo. Santa Flora patì in Cordova.
Un vescovo, Reccafredo438, accusava il vescovo di Cordova stessa perché infervorasse i cristiani al martirio. Il metropolita non solo non desisté, ma [362] con libro pubblico, Esortazioni al martirio, traeva tanti a cogliere una palma che omai tutti i sacerdoti e molti fedeli ricevevano. Le chiese erano vuote di fedeli e prive di ministri sacri.
Patirono pure in Cordova santa Flora, san Gumesindo439, san Giorgio di Betlemme440, che fuggito per timore di là per ripassare a Spagna ed a Francia, si arrestò quando incontratosi in sant'Aurelio, nobile patrizio, scorse la fortezza di lui e di Natalia, consorte, con la quale viveva a modo di sorella.
Sostennero il martirio san Cristoforo e Levigildo, Rogelo441 e Servadio, sant'Anastasio, santa Colomba. Il vescovo di Cordova per la seconda volta sosteneva la prigionia.
Abderamo califfo temé che tutto il mondo non divenisse cristiano. Raddoppiò dunque il furore di persecuzione. In questa gravissima prova i vescovi adunati in concilio dissero non convenire offerirsi al martirio, e interrogati della fede potersi- 426 - rispondere ambiguamente per essere salvi. Sant'Eulogio442 disapprovava vivamente questo modo di intendere.
17. Molti vennero meno alla prova. Ma in loro vece sorsero i popoli della Danimarca e della Svezia, che seguendo l'esempio dei loro re Olavo443 e Orico crederono alla predicazione di sant'Anscario.
Claudio nella sede di Torino si infinse a lungo e poi uscì bestemmiando contro le immagini sacre. I vescovi di Francia si adunarono in concilio per allontanare l'errore. Eginardo e Valafrido Strabone stesero trattati intorno alla croce. I popoli franchi si infervorarono vieppiù nel culto delle immagini e delle reliquie sante. In tempo di pioggie e di carestie ricorrevano a straordinarie feste di pietà, trasportando con giubilio le immagini e le reliquie dei santi.
Nella Svezia, in Islanda e nella Groenlandia444, che guarda di prospetto all'America settentrionale, mercé gli auspici dell'imperator Lodovico, i missionari [363]penetravano a predicar la fede e vi istituivano chiese e vescovadi.
Lodovico re e Gregorio pontefice adunano concilii per isbandire abusi e rinnovare nel clero lo spirito di pietà e di scienza, nei laici lo spirito di fede e di carità.
Radberto Pascasio aiutò con scrivere la Vita di Adalardo e Trattati del Corpo e del Sangue del Signore. In essi discorre delle Messe di tutto l'anno, delle ordinazioni del clero, dell'uffiziatura diurna e notturna.
Avvenivano pure <in qualche tempo e in qualche località>445 usurpazioni vicendevoli delle due autorità, ecclesiastica e civile. Il celebre monaco Vala si fa a interrogare: “Chi ruba dallo altare che peccato commette?... E noi ci dorremo se Dio manda suoi castighi?...”. Intima poi a tutti la penitenza e la restituzione. Un concilio adunato a Parigi descrive un libro con il titolo Instituzione reale e Instituzione dei laici, descritto - 427 -in ispecie dal vescovo Giona d'Orleans, per ricordare ai principi e ai popoli i loro doveri insieme con i diritti propri.
Così i popoli dell'occidente, lamentando sulla tomba di Carlomagno, consolavansi in guardare al monumento di Cristo che solo dà vita. Occidente ed oriente a rifarsi da immensi danni patiti guardavano al sepolcro del Salvatore e si confortavano in leggere su quello l'epitaffio: Cristo è risorto.
1. Carta di Carlomagno stracciata in Fontaneto.
3. Ribellioni nei sassoni. Normanni invadono la Francia.
5. Lotario non sa difendere l'Italia.
6. [364] Dappocaggine di Carlo in Francia.
7. I mori saccheggiano Roma.
8. San Leone e la città Leonina.
10. Buoni vantaggi dei concilii.
11. Rabano Mauro e Pascasio Radberto scrivono contro Gotescalco.
12. Memorie liturgiche e consuetudini.
13. Sconvolgimenti in <Gran> Bretagna.
14. Michele e Teodora a Costantinopoli.
15. Martiri illustri sotto il califfo Motassem.
17. Fervore di fede in Francia. La fede nel settentrione d'Europa.