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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II LX. Un periodo del Medio evo dal 1024 al 1054 |
LX.
Un periodo del Medio evo dal 1024 al 1054
1. [438] Veniamo per un'ora a scuola dai nostri antichi del Medio evo. Troveremo di che soddisfarci e ne avremo contentezza all'animo. La scuola ci viene impartita in questo dì dagli avvenimenti che accaddero dall'anno 1024 al 1054. In quell'anno 1024 era morto l'imperatore sant'Enrico. Tutti nell'occidente lo compiansero.
Gli succedé poi Corrado ii detto il Salico perché discendente da Clodoveo, il re illustre che esordì nel reame di Francia. Or accadde che Corrado si ricongiungesse con Gisela, nobilissima donna che gli era parente in quinto grado di consanguineità. Il popolo sclamò: “Lasci il re la sua sposa e noi lo applaudiremo imperatore”. Rispose Corrado: “Ritenetevi voi il vostro impero, ché io mi accompagno alla sposa mia”. A quei tempi anche il quinto grado di consanguineità era impedimento al matrimonio. I vescovi persuasero facilmente Corrado di ottenere dispensa dal pontefice e così piacque a tutti. Lo condussero in trionfo nella cattedrale di Magonza per essere coronato. Nella via Corrado si abbatté in un servo, in - 493 -una vedova, in un orfanello, che gli s'accostavano per esporgli la propria indigenza. Corrado li accontentò appieno e li rimise festanti. Intanto al limitare della chiesa lo incontrò Aribone, arcivescovo, che gli disse: “Ricevi l'autorità che Dio ti commette... Siane per sempre meritevole... Perdoni tu a chi ti attenta [439] del male?” “Perdono”, rispose Corrado. Allora santa Cunegonda, la consorte dello imperator defunto Enrico, uscì <a> dire: “Corrado al governo della pubblica cosa bramò che fosse eletto il compianto mio sposo. Or io a Corrado rassegno i tesori della nazione”. Dopo ciò Cunegonda si trasse in un monastero, finché svigorita dalle assidue mortificazioni passò al cielo nel 1040.
Corrado venne in visita a' suoi e fu accolto con trionfo quasi novello. Poneva sua cura in beneficare a' suoi popoli. Provvide che i sudditi fossero distribuiti in tre classi: di vassalli, di conti e di marchesi che furono incorporati nella reale famiglia, di vassalli inferiori i quali potevano trasmettersi per eredità i propri beni; in questa classe entravano tutti quei del popolo i quali potevano adunare qualche fortuna. Gli altri erano servi.
Dopo avere visitati suoi stati nella Germania, Corrado volse l'attenzione sua all'Italia.
2. Ma questo popolo per caso non era divoto come l'alemanno. Gli imperatori di Germania solamente poche volte in vita discendevano a guardare le cose, onde i conti, i vescovi, i patrizii si erigevano signori nelle città e disponevano a lor talento. Le città di Genova, di Pisa, di Pavia, di Milano, di Como, come le altre città italiane, appena riconoscevano di dipendere dai sovrani tedeschi. Però quando venne a morte l'imperatore sant'Enrico, i pavesi distrussero gli imperiali palagi in questa capitale, si unirono alle città sorelle per tener lontano il forastiero. Ma fu vano, Italia era troppo scissa da costumi e da opinioni. Appena sarebbe stato possibile che, unendosi in confederazione, le italiane città avessero pensato ad eleggerne in capo il sommo pontefice. Però a questo non si provvide mai. Porgevano gli italiani invito a Roberto e ad Ugo di Francia perché eglino stessi assumessero il governo d'Italia. Ultimamente [440] si diressero al duca Guglielmo d'Aquitania- 494 - dicendo: “Muovete in nostro soccorso a combattere i vescovi e noi vi incoroneremo re d'Italia”. Guglielmo rispose: “Tolga il cielo che io faccia quello che voi dite”.
Corrado discese e fu accolto da Eriberto567, arcivescovo di Milano. Quei di Pavia lo respinsero, ma poi si esibirono per riedificare fuori città gli imperiali palazzi. Vi pugnò Corrado, ed entrando commise in città e nei contorni stragi degne di saraceni. Dopo ciò si mosse alla volta di Ravenna, che gli aprì le porte. Ripassò a Milano e per due mesi dimorò nei piani della Brianza, dove Eriberto di Milano trattollo regalmente.
Eriberto possedeva nella sua sede tesori di ricchezza; quando per otto anni venne una carestia a desolare i suoi diocesani, Eriberto faceva distribuire ogni mattina al popolo di campagna ottomila misure di pane, altrettante staia di fave o di legumi cotti e in fin d'ogni mese denari e vestimenta.
3. In questo frattempo Benedetto viii, pontefice di non comune virtù, venne a morte. Si dice che una persona santa ne scorgesse l'anima di lui toccare nondimeno le fiamme di purgatorio. Giovanni xix, che vi succedé, d'un tratto si vide innanzi alcuni legati di Costantinopoli che dissero: “Comandate, o Santo Padre, che come voi vi denominate pontefice universale nel mondo, così il vescovo della sede di Costantinopoli sia detto patriarca universale in oriente”. Inorridì il pontefice. I vescovi da Francia o da Italia o da Germania scrivendo o presentandosi in persona sclamarono: “Santo Padre, custodite il deposito della autorità che Dio vi ha conferito”. Soggiunse allora il pontefice a quei legati: “Avete inteso; partitevi pure e riferite che non è lecito tentare il Vicario di Gesù Cristo”. I vescovi, rallegrandosene, si strinsero [441]a lui applaudendo con dire: “Un sol Dio ed un sol pontefice”.
4. Partiti questi, gli viene innanzi la figura di un monaco carissimo, Guido d'Arezzo, che fuggendo l'invidia de' suoi era venuto a Roma per tenere a Giovanni questo discorso: “Una spranga di ferro riscaldata dà sette suoni e sette gradi di luce, e coprendola di uno strato di minuta sabbia offre il disegno delle - 495 -sette principali figure geometriche. Mistero! Studiando intorno all'inno di san Giovanni, io ho trovato sette note graduali di una scala musicale”. Soggiunse il pontefice: “Porgimi intorno a ciò una lezione che io la vo' apprendere”. Guido incominciò e rallegrò non poco l'animo del suo illustre scolaro.
5. Il cuore di papa Giovanni era ancora più consolato in tener dietro ai passi di san Romualdo. Questo pio monaco era sempre in lagrime di tenerezza. Allo imperatore Ottone aveva detto: “Disponiti, perché la morte è alla porta di casa”. Ai viaggiatori che parevano naufragare in due navi risponde: “Non temete, che nessuno di voi incontrerà male”. Venuto in quel dì a Camerino, ivi eresse un monastero per sé e suoi, ma a Ranieri568, signore del luogo, pagò annualmente un tributo, dicendo in cuor suo: “Questo padrone non è assai affezionato ai religiosi; meglio è che non gli domandi molti favori per non essergli poi dipendente”. I peccatori tremavano alla sua presenza. Specialmente Romualdo inveiva con petto di bronzo contro ai simoniaci.
Tutto il mondo dei buoni correvagli dietro. Romualdo, fuggendo, venne per cercare in Pannonia569 il martirio con 24 suoi compagni, ma non ottenne. Grado a grado che progrediva, sentivasi venir meno le forze ed ammalare. Romualdo, piangendo, disse: “Le mie colpe mi impediscono da ottenere una palma gloriosa”. Si [442] chiuse nella solitudine di Sitria570 e vi dimorò per anni sette, pascendosi di poche erbe cotte nell'acqua pura. Castigava in sé e ne' suoi una semplice parola oziosa. Quando i peccatori traggono a turbe per dire che al suo esempio si ravvedono, ei ne porge lode a Dio. Quando i normanni barbari si fanno a strappare per divozione alcuni peli della sua vestimenta caprile, ei si duole dicendo: “Ingannati! Ingannati!” L'imperatore sant'Enrico si fa a visitarlo e Romualdo parla con vivo zelo della Chiesa, delle sue lotte, de' suoi trionfi.
- 496 - Romualdo, venuto in quel di Arezzo, istituì altro monastero che disse Camaldoli. Camaldolesi furono poi chiamati i seguaci suoi. Questi dividevansi in tre classi: di cenobiti cioè, di eremiti e di solitari. Due illustri pontefici a noi più vicini, Pio vii e Gregorio xvi, furono camaldolesi.
San Romualdo visse in molta austerità fino ad anni 120 e poi prese il volo alla volta del paradiso. Il suo sepolcro fu convertito in altare. I fedeli supplicano ancora oggidì: “San Romualdo, prega per noi” e ne ottengono benedizioni celesti.
Nel 1027 Corrado parte da Ivrea ed entra in Roma. Spoglia del suo marchesato di Toscana Ranieri per conferirlo a Bonifacio, padre della celebre Matilde. Corrado con Gisela sua consorte vengono incoronati. Il popolo era così <mal> disposto che due mercanti, contrattando una pelle di bue, eccitarono rumore che poi scoppiò in una sedizione. Ciò diede motivo a che fossero chiamati in adunanza tutti i principi cristiani d'Europa.
6. Un re illustre rallegrava in questo tempo l'Inghilterra, Canuto il Grande. Questi, che fu già per buona pezza e crudo e ingiusto, venuto poscia ai piedi di san Pietro in Roma si convertì. Sentissi ripieno di giubilo spirituale. Nell'impeto della gioia scrive a' suoi dicendo: “Ho conosciuto la verità. Sono cristiano. Vengo per felicitarvi tutti”.
[443] I grandi del regno l'incontrarono con acclamazioni ed egli salutolli dicendo: “I miei antenati per un secolo depredarono questa misera nazione, ma io non sarò più ingiusto”. Edelnoto, arcivescovo di Cantorberì571, che a Pavia aveva redento con molto prezzo un braccio di sant'Agostino, edificò nella sua giurisdizione un tempio illustre. Da questo tempio Edelnoto aveva fatto intendere a Canuto una di quelle parole che salvano. Canuto si diè tosto a sbandire fattuc<c>hieri, indovini, rimestatori che formicolavano. Procurò ai svedesi un santo re, Olao, che per il bene de' suoi amministrati e della fede diè la vita.
7. In questo tempo (1038) passava da questa terra al cielo - 497 -il re santo Stefano d'Ungheria. In morire consegnò al figlio Emerico572, insieme al trono, l'arte a ben governare. Emerico consacrò sé e la nazione alla Vergine benedetta. Visse in verginità con la sposa che gli fu data573 e si dispose per cambiare presto il soggiorno di questa bassa terra con il gaudio dei santi in cielo.
Nella stessa Ungheria avvenne questo di mirabile. San Gottardo574 si incontra con Gontiero575, illustre patrizio, e gli intima: “Una delle due: o ti rendi monaco od altrimenti tu ti danni”. A Gontiero spiacque dannarsi e bussò alla porta d'un monastero. Gontiero fu bene accolto, ma nella pratica intanto dolevasi ad obbedire. Imposegli il superiore: “Una delle due: o piega il collo ai servizi ancora più umili o ti licenzio da questo asilo”. Gontiero si addentrò nelle foreste di Boemia e si applicò ad austerissima penitenza. Anni di poi Bradislao576, duca di Boemia stessa, venuto a caccia in quelle solitudini scorge entro una caverna un vecchio venerando che pareva fuggire il consorzio umano. Bradislao l'arresta <e il vecchio rispose>577 dicendo: “Accostati, ché io stesso son quegli che ti levò dal sacro [444] fonte”. Gontiero si abbracciò al suo duca e spirò essendo l'anno 1045.
8. Nel tempo che ciò accadeva, governava in Roma il sommo pontefice Leone ix, che incominciò una catena di pontefici illustrissimi. Nato a Nancy nel 1002, ebbe nel battesimo il nome di Brunone578. Studiò il corso trivio e quadrivio di letteratura, finché il popolo di Toul579, abbisognandone, - 498 -l'ottenne580 in proprio vescovo. In passare da Roma a Francia attraverso l'Italia, allora dominata da fiere fazioni, venne con dignità al cospetto di tutti. Era bellissimo nel portamento e in pregare il più delle volte si faceva in lagrime. Viveva di contemplazione. Brunone da Toul venne con 500 personaggi pellegrino a Roma. Avendo incorso un contagio nel suo seguito, Brunone curavali a mezzo delle reliquie sante che stemperava in pozioni d'acqua.
Nel 1030 continuavano per tre anni le pioggie dirotte, sì che pareva un finimondo. Venne altresì una carestia che si sentì sovrat<t>utto in Grecia, nella Italia, nelle Gallie, in Inghilterra. Si disseppellivano i cadaveri per mangiarne le carni. Il vescovo Brunone spogliò se stesso per soccorrere i miseri. Il suo nobile esempio ottenne in ispecie appo i monasteri. San Guglielmo581, entrando ne' suoi conventi e trovato che ancor conservavano il necessario, sclamò: “Ubi est charitas? Dov'è la carità?” E volle che mettessero in comune ogni cosa con i poverelli, ed ebbero poi messi abbondanti. I vescovi si adunarono in concili per infervorare i cuori dei credenti, intimarono le punizioni di Core582, di Caino, di Giuda agli usurpatori dei beni sacri.
9. In Francia i re valevano sì poco, che i popoli erano lasciati in balia di sé, né ottenevano giustizia di sorta. I vescovi a riparar tanto male fecero cosa che Gerardo di Cambrai a stento poté accettare. Assembrato il popolo, gli intimarono: [445] “Per amor di Dio non portate armi, non chiedete ragioni di beni o di fama violata. Chi verrà meno, non sia perdonato neppure in morte”. Si chiamò questo giuramento pace di Dio e poi tregua di Dio, perché rinnovavasi di cinque in cinque anni. Si fissò che in alcuni giorni della settimana non si commettesse ingiuria di sorta al campo od all'abitato del contadino, che il tempio santo e per venti passi in circuito fosse asilo inviolabile.
- 499 - Di questo modo si istituì la cavalleria. Il vescovo in cingere di spada il cavalier suo diceva: “Sii guerriero pacifico, valoroso, fedele e devoto a Dio”. Si circondava poi di una tunica bianca sopra veste vermiglia o saio nero. Si dava il cingolo, segno di castità, e in porgere la spada diceva: “Bada che i santi non già colla spada, bensì con la fede han vinti i regni. La pace sia teco”. Compievano poi il proprio tirocinio presso ai duchi, ed i figli dei duchi si meritavano presso le famiglie reali.
10. Cessata la carestia di cui si disse testé, i popoli si affrettarono in pellegrinaggio a Gerusalemme. Quei della campagna si affrettarono i primi. Vennero poi i ricchi e le signore del ceto nobile. Riccardo di Verdun ne condusse 700. Incontratosi con Simeone583, monaco illustre in Antiochia, il volle seco nella Francia, dove il popolo, ammirando il suo stranio modo di vivere, non sapeva se dirlo santo o demonio. La Chiesa lo canonizzò.
Un borgognone venuto al luogo della Ascensione morì in effusion di dolcezza, pensando al paradiso che Gesù Cristo da quel luogo ascese per disporre a' suoi. Roberto, duca di Normandia, più che gli altri trasse con folla di popolo alla volta di Gerusalemme, dove aspirava <a> rimanere sino al termine di vita. Avanti partirsene, fece generose donazioni, e per segnale al contratto stipulato dava schiaffi sonori o tirava le orecchie ai figli dei nobili dicendo: “Voi che siete giovanetti [446]ricorderete per un pezzo ciò che ora abbiamo conchiuso”.
Venendo meno l'autorità regia, le fazioni spicciolate si imponevano per eleggere un vescovo od il pontefice medesimo a prezzo di denaro. Per questo orrendo abuso Burcardo, figlio di Corrado, nella sua sede di Lione fu sol utile quando morì. I lionesi si ebbero poi a pastore il grande Odilone.
Per queste gare di imporsi, fu attentato alla vita del pontefice Giovanni xix. Scacciato di poi, gli fu per intrigo sostituito Teofilatto, figlio di Alberico, a 10 o 12 anni, che cresciuto a vita libertina, per tre volte ricevendo denaro rinunciò al papato e per tre altre fiate vi ritornò colla forza dell'armi. Ma - 500 -se fu successore indegno alla cattedra di Pietro, non fu però maestro d'errore.
11. A quella vece in Germania, nella Sassonia, nella Francia vescovi e abati illustrissimi riformavano il pubblico costume.
In Polonia, dopo sette anni di rivolgimenti accaniti, i maggiorenti s'accordano per venire al monastero di Clunì e domandare in proprio re Casimiro, che si era reso monaco. Risponde il giovine religioso: “Io dipendo dal mio superiore”. E questi alla sua volta: “Io dipendo dal sommo pontefice”. Gliene scrissero adunque e ottennero che Casimiro ritornando ricomponesse lo Stato e lasciasse figli per la successione. Fu imposto al re, e come a lui ai maggiorenti della nazione, che portassero capelli corti, che nelle solennità recassero al collo, quasi a mo' di stola, una fascia bianca.
Lo sgoverno era proprio appo molti popoli di allora. Nella Italia dominavano gli imperatori di Germania, ma raro venivan <a> visitare i lor popoli. Onde i più esperti fra questi si erigevano a giudici ed a potentati e sommettevano i priorati e le città al lor dominio. Stando le cose così, i vassalli [447]del Milanese insorsero contro Eriberto, arcivescovo di Milano, che a Pavia ebbe la peggio. Corrado discese, ma ritornando, i popoli si rivolgevano novellamente all'anarchia.
San Pier Damiani, interrogato dal pontefice sopra un soggetto meritevole a destinarsi per la Chiesa di Fossombrone, rispose sé non conoscerne alcuno degno di tal onore. La simonia invadeva spaventosamente. In Roma stessa il pontefice era circondato da pericoli. Gregorio vi è accusato egli stesso di simonia ed egli si presenta dicendo: “Vi piace che io rinunci?” Rispondono gli ottimati: “Ci piace ciò che piace a voi stesso”.
Succedendo Leone ix, il santo vescovo di Toul, grida: “Sono asceso a quest'alto onore per la pace, e per la pace io ridiscendo se fa uopo... Desidero che la Chiesa sia ristorata di tanti danni”. Dopo ciò attese e per lettere e in persona a provvedere ai più urgenti bisogni della Chiesa. Rallegrossi in Pavia nello incontrarsi con Giovan Gualberto, che da cavalier rinomato si era convertito in monaco tanto più fervoroso, - 501 -dopo avere in giorno di Venerdì santo concesso perdono all'uccisor di suo fratello. Giovan Gualberto adunò compagni intorno a sé e costituì un istituto rinomato, che fu detto dei vallombrosani dal nome della valle in cui incominciarono lor vita di povertà, di studio, di umiltà, di penitenza.
Non fu poi regno cristiano che il santo pontefice Leone ix non visitasse: nella Germania, in Francia, in Inghilterra. Il pontefice trovò che in Ungheria la fede era per ispegnersi. Nella Inghilterra, Emma, la madre di sant'Edoardo, accusata di reo commercio sostenne le prove del gran giudizio; passò sana e salva sopra dodici aratri arroventati. San Gerardo nella Ungheria sostenne il martirio e con ciò ravviva<va> la fede nei fratelli cristiani. Il re Pietro fu acciecato e morì di cordoglio. Il cugino, duca Andrea, [448] occupando il trono intima: “Ritornate cristiani o morrete”.
Un errore funestò la Chiesa, quello di Berengario, che nega<va> la reale presenza e che fu imitato a suo tempo dai protestanti e dai filosofi francesi. Il monaco Fulberto di Chartres morendo diceva: “Scacciate quella bestia”, accennava a Berengario. Questi, eccitato da superbia di mente, da vaniloquio nel dire, buttò fuori il mostro dell'error suo. Confutollo Lanfranco584 monaco dottissimo, ma non si trova che di cuore l'eretico si sia ravveduto, benché l'error suo per intanto non ottenesse. Si riferisce a questo tempo il suon delle campane pei morti e le preghiere che a Gesù nel Santissimo Sacramento si innalzano per i moribondi.
Il pontefice san Leone ix, ritornato d'aver scorte le piaghe della simonia, disse che essendo mal generale si dovessero sol punire i delinquenti più gravi. San Pier Damiani in dar questa notizia scrisse il libro al quale diede per titolo Gratissimus.
12. Confortava<si> altresì l'animo del pontefice san Leone in guardare alla veneranda figura di Domenico Loricato. Incedeva severo nella persona, fu vergine e condusse sempre austerissima vita. Non beveva vino, non mangiava carni, non assaporava vivande cotte e se ne stava a piedi nudi nelle rigide - 502 -stagioni invernali. Portava una camicia a maglia di ortiche e recava più carichi di ferro intorno al corpo. In recitare il Salterio genufletteva mille volte e flagellavasi quando con verghe e quando con nervi di bue. Nelle solennità pascevasi di pane e di finocchio. Come è commovente quella figura di pietà! Quanti ne ridusse dal peccato a penitenza!
San Leone non mai egli stesso si svestiva il cilizio e dormiva sopra un tappeto. Con spirito di fede e di umiltà accompagnava le sorti dei popoli nelle guerre che pisani e genovesi incontrarono nello scacciare i saraceni da Sardegna. Con questo regolò le cose tra tedeschi [449]e normanni, dopo che questi ultimi a Dragonara585 nel 1053 rimasero vincitori, benché con prezzo di copioso sangue.
San Leone ix guardò all'Africa e tristossi in sentire l'addio che questa Chiesa gli dava. Un giorno erano 205 vescovi ed or son cinque, sempre in lite fra loro. Gemeva Leone in pregare: “Chi rialzerà Giacobbe dalla piccolezza cui è ridotto?”586.
13. Costantinopoli pure minacciava <di> diventar la capitale dell'islamismo. Costantinopoli era decrepita omai. Romano587 Argirio, chiamato al letto del moribondo Costantino viii, sentissi tal discorso: “Orsù, una delle due: o tu prometti di sposar mia figlia Teodora o tosto qui ti faccio cavar gli occhi”. Teodora rifiutò perché Argirio aveva già moglie, ma consentì la sorella Zoe, che così divenne imperatrice. Quando, invaghitasi di Michele, fa trucidare Argirio, induce588 il patriarca Alessio a congiungerla con Michele issofatto. Michele ristorò chiese e conventi; per i monaci affettava tal rispetto che non di rado acconciava la sua persona perché servisse loro di origliere in dormire. Il nipote Michele Calafate operò da sconoscente e da dissennato, perché ucciso lo zio lasciò cader l'impero in dissoluzione.
San Leone considerava e dolevasi in cuor suo. Gli faceva<no> pena altresì le pretese di Michele Cerulario, che inveiva - 503 -contro ai latini perché mangiavano soffocato, perché digiunavano nel sabato e consacravano nel pane az<z>imo. Il pontefice san Leone gemendo sclamò: “Chi osa distruggere o attenuare l'autorità della romana Sede?” Ma due grandi provincie, questa di Costantinopoli e quella dei russi, prendono589 pretesto per giurare scisma contro alla Sede romana.
14. Il pontefice san Leone si vide presso al termine del suo pellegrinaggio quaggiù. Si fa portare [450]alla basilica di san Pietro, mira il proprio sepolcro che si era disposto e sclama: “Qual meschina dimora ci resta! Lasciatemi pregare”. Supplicò un istante e spirò. Era l'anno 1054.
Abbiamo percorso un breve cammino con la Chiesa nostra madre. Che vi par dunque? Compatiamo alla meschinella, che è santa e pur dolente cotanto.
1. Esempio di fede in Corrado e nei popoli che gli dipendono.
2. Guerre di Corrado in Italia. Eriberto arcivescovo di Milano.
3. Il patriarca di Costantinopoli non ottiene il titolo di patriarca universale.
7. Santo Stefano d'Ungheria. San Gottardo e Gontiero.
10. Movimento verso ai Luoghi Santi.
11. Riforma in Germania. San Casimiro monaco e poi re.
13. Costantino viii. Michele Cerulario.
14. Passaggio del pontefice san Leone.