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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO III LXXV. Programma di combattimento |
LXXV.
<1.> [135] La terra che calpestiamo è sempre stata luogo di combattimento. L'esercito di Dio si è sempre trovato d'accanto allo esercito di Satana. Volete voi distinguere i caratteri dei due eserciti armati? Volgete l'occhio allo squadron degli avversari. Son dominati da uno spirito di distruzione, di confusione, di terrore, di paura. La superbia li acceca, il terrore li abbatte. Ma non sono così i militi del Signore. Guardano all'alto, procurano <di> far a tutti quel meglio che desiderano per sé e parlano alla morte confidentemente con dire: "Buona consigliera, porgimi aita tu con impedire che io non faccia atto - 647 -alcuno per cui un dì abbia comec<c>hessia ad arrossire". Benedetto il cuore del soldato di Gesù Cristo!
2. Consideriamo meglio il programma di combattimento con cui si pugnò a metà del secolo decimo secondo, e più propriamente dal 1227 al 1250, fra l'esercito dei buoni guidato dai pontefici Gregorio <ix> e Innocenzo iv non che da Luigi, il santo re di Francia, contro170 all'esercito degli inimici condotto da Federico ii di Germania.
Carlomagno in discendere nel sepolcro aveva detto: "Il popolo radunato sceglierà a succedere sul trono quello tra' miei figli che meglio piace nel Signore". Ai tempi di Carlomagno valeva ferma questa massima di condotta: un personaggio che non è cattolico non può essere imperatore o re; come uno ch'è interdetto, così un re che si professa eretico o scismatico sia deposto. Questa massima era profondamente[136] creduta ai tempi stessi di cui parliamo. Questa massima era la sicurezza dei popoli. Lo stesso protestante Muller scrive: "Senza i papi Roma non sarebbe più. Gregorio, Alessandro, Innocenzo opposero una diga al torrente che minacciava tutta la terra; le paterne loro mani innalzarono la gerarchia, ed allato ad essa la libertà di tutti gli Stati".
3. Francesco, il poverello d'Assisi, al cardinale Ugolino aveva detto: "Voi sarete pontefice". Il cardinale sclamò in cuor suo: "Non lo permetta il Signore che sulle spalle di un povero vecchio ottuagenario prema il peso di tutta la Cattolicità". Era vegeto non solo, ma robusto; i cardinali gli imposero di salvare in tempi procellosi la Chiesa ed egli dovette sobbarcarsi al pontificato. Per consolarsene addì 16 luglio 1228 venne alla tomba di Francesco e disse al cospetto delle turbe accorse: "Carissimo oltremodo ci fu Francesco; come la stella del mattino tra la nebbia e come splende la luna nei giorni di sua pienezza e come rifulge il sole, così egli rifulse nel tempio di Dio". Con il concorso di fra Elia, che chiamò i più abili architetti, e prestando i principi e i popoli del mondo <le> loro oblazioni, si era edificato un tempio maestoso sopra - 648 -un colle d'Assisi che poi fu detto del Paradiso. In quel santuario fu traslocato il corpo di Francesco. Gregorio ne compose inni di giubilo nella traslazione solenne e pronunciò doversi allo illustre poverello tributare l'onore degli altari.
Il pontefice Gregorio volse compiacente il guardo al compagno di Francesco, Domenico, e disse: "Non è punto dubbio che anche Domenico sia un beato del cielo. Io mi prostro a lui dinanzi, e con me il mondo cattolico, a supplicare: san Domenico, prega per noi!" La tomba di Domenico fu trovata olezzante di fragrantissimo odore.
Il pontefice Gregorio ix era egli stesso quasi un angelo in carne. I popoli della Pomerania erano venuti per dirgli: "Noi bramiamo la fede ed il Battesimo di Gesù Cristo che salva". Il principe Daniele di Russia [137] riceveva lettere cordialissime del Vicario di Gesù Cristo in terra. Oh, se Federico ii imperator di Germania avesse nutrito in cuore la fede di Carlomagno! Certo avveniva che tutta l'Europa e con l'Europa il mondo si sarebbe reso interamente cristiano.
Ma Federico aveva maggiormente in animo di tribolare la Chiesa che d'aiutarla. Voleva parere cattolico, ma egli era più musulmano che cristiano. Aspirava ad un programma di superbia ingente, voleva essere imperatore universale per dominare a tutti i principi ed alla Chiesa. Però la guerra, che la rivoluzion di Francia ingaggiò e che Napoleone il Bonaparte ebbe continuato sei secoli di poi, è nello scopo la stessa che all'epoca presente ordinò Federico di Prussia171. Per sembrare amico del pontefice e tenero della fede, aveva promesso di accompagnare suoi eserciti in soccorso di Terra Santa. Ma non si risolveva alla partenza. Il pontefice intimò: "Federico, che più altre volte come oggidì illude la Chiesa, sia scomunicato. Sieno pure interdette le terre nelle quali egli porrà il piede suo". I popoli guardarono a Federico come ad una figura di spavento. Ed egli per riparazione adunò con pompa inaudita l'esercito proprio a Barletta e disse <di> voler partire per libe
- 649 -rare Gerusalemme. Un grido di gioia si sollevò nei cristiani d'oriente, ma l'infinto aveva presa intelligenza con il sultano d'Egitto che, lasciato entrare glorioso Federico nella città, egli poco di poi <glie>l'avrebbe riconsegnata, accagionandone della perdita il patriarca. Così era per avvenire, ma il patriarca che se n'avvide scrisse in occidente dicendo: "Che si può attendere di bene da uno scomunicato? Guardatevi da Federico come da un nemico insidioso della Chiesa".
L'Europa guardò sospettosa e accennando a Federico sclamò: "Ecco l'inimico!" Il pontefice era a Perugia. Nel 1230 il Tevere innondando era asceso fino a lambire le case presso San Pietro ed a San Paolo. In ritirarsi lasciò sul fondo limaccioso gran copia di bisce,[138] che schiacciate ammorbavano l'aria intorno. Federico, reduce da Terra Santa, era venuto in Anagni dove attese per riconciliarsi col papa in seguito <ad> avere scorto le minaccie che l'attendevano.
4. Con altro intendimento marciava Gregorio e l'esercito de' buoni da lui guidato.
Luigi duca di Turingia, venerato come santo da quei popoli, era sposo a santa Elisabetta ed era morto in Otranto. Elisabetta per eccesso di duolo parve uscir forsennata, ma presto si rassegnò. Dispose mestissimi funerali al compianto estinto ed ella stessa vestita a gramaglia non la lasciò più mai. L'imperator Federico, che per la seconda volta era rimasto vedovo della propria consorte, chiese la mano di Elisabetta, ma ella rispose: "Il mio sposo è il mio Dio".
I fratelli del duca Luigi, Corrado ed Enrico, tolsero a maltrattare in orrenda guisa Elisabetta, la quale cacciata da luogo a luogo fu costretta <a> stendere la mano per vivere. Non per questo venne meno alla confidenza in Dio. Venuta alla chiesa dei francescani ne vestì l'abito di penitenza e si offerì vittima per i peccati del mondo. Il pontefice Gregorio, informatone dei molti patimenti di Elisabetta, se ne dichiarò protettore. Il duca Enrico poi ravvedutosene richiamò Elisabetta e colmolla di favori. Questa, niente omettendo dell'usato fervore, fondò a Gotha l'ospedale di santa Maria Maddalena.
Elisabetta voleva essere più povera di santa Chiara. A questa pia figlia aveva detto il pontefice Gregorio: "Volentieri - 650 -io offro quella somma che a voi ed alle sorelle vostre è necessaria per vivere". Rispose Chiara: "Santo Padre, nulla a me è più caro che la povertà del nostro patriarca Francesco. Concedetemi il perdono delle mie colpe e la vostra benedizione, che questo unicamente mi è conforto supremo".
Il mondo in iscorgere tanti patimenti e privazioni così assolute esclamava: "Elisabetta è pazza". Ed ella in estasi di contento replicava: "Ho disprezzato il [139] regno del mondo ed ogni pompa del secolo per l'amore del mio signor Gesù Cristo; lui vidi, lui amai, credetti in lui e l'ho preferito". I meschinelli da molte leghe allo ingiro accorrevano ad Elisabetta e ne ricevevano conforto. Aveva Elisabetta due serventi le quali eranle carissime. Il confessore per esperimentare la virtù di lei dispose che ambedue fossero allontanate. Ed ella anche di questo ne fece sacrificio al Signore e raddoppiò la lena sua in favore degli ammalati miseri. Spesse volte in pro di loro guarigione il Signore per mediazione della fedele sua serva operava prodigi. Elisabetta nella persona dei poveri vedeva la immagine di Gesù salvatore; elevavasi in estasi di contentezza. Addì 19 novembre 1231 volò allo sposo celeste.
5. Era in Ungheria una setta di eretici detti stadinghi. Vivevano d'assassinio. Corrado, il pio confessore di Elisabetta, con altri sacerdoti venne per convertire que' sciagurati, ma fu da quelli donato con tutti i suoi della palma del martirio.
I cognati di Elisabetta, Corrado e Enrico172, abbandonata la via torta del vizio, si applicarono più seriamente al sentiero della virtù. L'un d'essi entrò nell'ordine teutonico e l'altro edificò monasteri ed ospedali, dopo aver supplicato in pubblica piazza che lo flagellassero pure aspramente. In questo momento si trovò una vecchia donna che sulle spalle a Corrado scaricò un rovescio di staffilate.
Sulla tomba di Elisabetta in Marborgo si adunò un milione e 200 mila persone con Federico stesso per traslatarne la salma, che si trovò ornata delle prerogative dei corpi santi. Federigo in sollevarne il feretro sclamava: "Ecco colei che si - 651 -stimava pazza; la sua stoltezza ha confuso la sapienza di questo mondo".
Come sant'Elisabetta in Turingia con la pietà, sant'Edmondo edificava nella Inghilterra con lo zelo. Stava in divota conversazion con Dio nella solitudine sua diletta, quando gli vennero <a> dire: "Voi siete eletto [140] al vescovado di Cantorberì". Edmondo uscì in pianto dirotto e vedendo di non poter isfuggire sottopose le spalle. Era costume che le spose rimaste vedove dessero alla mensa <vescovile>173 una bestia di valore. Una povera donna venne per iscusarsene ed egli l'accomiatò e rivoltosi al segretario san Riccardo174 disse: "Questa legge del paese non è legge di Dio, ma del diavolo".
Pose mano ferma a regolare i sacri riti, a riformare la disciplina ecclesiastica. Vedeva di mal occhio che persone laiche od ecclesiastiche possedessero più di un beneficio. In seduta conciliare volle strappare tanto abuso, ma gli risposero: "Sarà impossibile, scrivetene anzitutto al pontefice". Gregorio rispose: "Differite". Sant'Edmondo ordinò vescovi santi, faticò indefesso, ma trovando di non poter reprimere abusi troppo radicati lasciò Cantorberì e venne in Francia, dove il santo re Luigi mossegli incontro con festa. Sant'Edmondo si ritrasse alla solitudine e scrisse Specchio della Chiesa, ossia <una> introduzione alla vita divota. San Riccardo poi venne ad Orleans appo i frati predicatori.
6. Gravissimi mali pesavano sopra la Cristianità. Crociati francesi pervenuti in Gerusalemme si volsero a mal fare, e ritornando poscia in Europa sollevavano tumulti.
In Costantinopoli il trono di Baldovino ii era minacciato da Vatace175, imperator greco a Nicea, e da Asan re dei bulgari. Nella città di Costantino avvenivano lutti di carestie, lotte di sangue. Giovanni di Brienne176 in difesa del regno latino operò prodigi di valore. Venuto a morte, indossò l'abito di san Francesco. A Venezia si erano adunate truppe di gente per - 652 -venire in soccorso di Terra Santa, ma non avendo guide si dissiparono mestamente.
Federico ii si era assunto a difendere Sicilia e Sardegna contro ai musulmani, ma per rettore a quel regno diè un figlio bastardo, e Selvaggia, la propria figlia, la diede sposa ad Ezzelino da Romano, crudissimo [141]tiranno, che divertivasi a mutilar gli uomini, a straziare gli infanti, a far perir di fame nelle carceri le donne imbelli.
Se non era l'autorità della Chiesa, l'imperator tedesco avrebbe rovinata l'intera umanità. La Chiesa operava la salute mercé le esortazioni private e la predicazione pubblica.
Antonio da Padova era dal pontefice salutato Arca del Testamento. Predicava alle turbe e queste, uditi i suoi discorsi, accostavansi per tagliare un lembo della sua veste quasi reliquia preziosa. Clero e popolo incontravanlo con giubilo vivo. Predicava ai potenti così: "Siate padri e non tiranni, o proverete che i potenti sono più gravemente crucciati"177. Ezzelino tolse a fargli guerra, ma poi si mutò in penitente e disse: "Antonio è un uomo di Dio, lasciate che quinc'innanzi dica quanto stimerà a proposito". Era il 13 giugno 1231. I fanciulli uscivano per le strade gridando: "E' morto il santo, è morto il santo!" Antonio dalla terra era passato al paradiso.
I compagni di Antonio insieme con i religiosi domenicani e francescani percorrevano l'Italia predicando la pace. Le città della penisola erano in discordia le une colle altre. Fra Giovanni nella pianura di Paquara appo Verona aduna dalle principali città nostre 400 mila e apre il discorso con le parole colle quali il divin Salvatore salutava i suoi: "Io vi do la mia pace, io vi lascio la mia pace"178 e termina con ottenere che gli uni gli altri s'abbraccino gridando: "La pace, la pace!" E per ottenere che il mondo tutto goda la pace del Signore, si promovono ivi stesso le imprese di Terra Santa.
7. Tanto valeva a scorno dello imperatore Federico ii, il quale disseminava le discordie con impedire le elezioni dei vescovi- 653 - e il procedere contro agli eretici albigesi. Il tiranno usurpavasi i beni delle chiese e dei conventi, invadeva il potere temporale del pontefice. Federico aveva bestemmiato essere Maometto [142] migliore di Gesù Cristo ed esser pazzia credere la reale presenza. Bestemmiando così, Federigo era giunto alle porte d'Assisi. Santa Chiara abbracciandosi ai santi altari sospirava: "Non permettete, o Gesù mio, che le vostre spose cadano vittima dei bestemmiatori sacrileghi". Fece poi che si portasse in divota processione Gesù nel Santissimo Sacramento per benedire dalle mura della città. Questo fervor di fede bastò a liberare la città e salvare quell'asilo di vergini sacre.
Il pontefice rovesciò sul capo del superbo il fulmine di scomunica, che pubblicò a suon di campane e con estinzion dei cerei nelle città e nelle chiese di quasi tutta la Cristianità.
8. San Luigi re di Francia si incammina cinto di cilizii, si leva179 più volte di notte a pregare, punisce manichei, i quali si fanno aiutar da Satana per compiere loro imprese di rovina, ed egli il primo ammonisce i francesi suoi gridando: "Guardatevi da Federico, che è maledetto dal Vicario del Signore in terra".
Fra Elia, deposto dal grado di generale dell'ordine francescano nel 1220 e nel 1230 non che nel 1239, si faceva compagno alle iniquità di Federico e fu pure scomunicato da Gregorio pontefice. Il tiranno tedesco con la forza del denaro creò al pontefice in Roma gravi pericoli e tolse a perseguitare i vescovi che da Francia venivano a Roma. Il re san Luigi ne fece rimostranze vivissime. E Federico, sapendo di non aver a fare con le pianete di sagrestia, cessò ben presto dalle vessazioni.
Dalla Tartaria per la Russia movevano in Europa il capitano Bathou180 con 500 mila combattenti. San Luigi confortava i suoi dicendo: "Dio provvederà. Noi li manderemo nel tartaro o che essi manderanno noi in paradiso".
Bela, fermissimo re d'Ungheria, mosse incontro, e molti prelati accorsero parimenti in aiuto della fede [143] e della - 654 -patria. Si attaccò combattimento sanguinoso. I barbari fecero dei nostri soldati, delle donne, dei fanciulli miseranda strage.
In questo periodo di tempo è memoria di quel servaggio che il laicato attentava alla Chiesa con il titolo di libertà gallicane. Si ha memoria parimenti dell'ufficio che predicatori domenicani si assumevano per iscoprire intorno agli eretici. I religiosi nostri furono lasciati in pace finché si attennero a quei del semplice popolo, ma furono cacciati appena si fecero presso ai nobili ed ai potentati. Allora gli illustri perseguitati lasciavano le città cantando il Simbolo degli apostoli e la Salve Regina.
9. Nell'anno 1229 minacciò la rovina della celebre università parigina. Alcuni studenti, incontratisi in un'osteria con gente della nobiltà, vennero dalle parole ai fatti sì che alcuni della università partirono malconci. Allo indomani nella pubblica piazza avvenne una scaramuccia che lasciò più di un ferito. Gli universitari appellarono allo arcivescovo ed alla regina Bianca, ma non ottenendo giustificazione, i più celebri insegnanti con le proprie scolaresche si ritrassero ad Orleans. Il pontefice Gregorio scrisse allo arcivescovo ed alla regina per impedire il totale disfacimento di quella scuola reputata. E come nello insegnamento il fervore di fede cattolica illanguidiva, Gregorio vi provvide.
Caro nella Chiesa di Francia era il vescovo san Guglielmo di Saint-Brieuc181, modello di tutte virtù sacerdotali. E nella Spagna il re d'Aragona con san Pietro Nolasco e con san Raimondo Nonnato muovono in Algeria alla conversione dei turchi e per la redenzione degli schiavi cristiani.
10. In Costantinopoli il pontefice Gregorio promuove un'adunanza dei vescovi col patriarca per richiamare alla unità quegli scismatici. I nostri affaticano con discussioni e si rassegnano a molte prove di pazienza, ma senza pro, perché i greci non posero innanzi che soffismi e fallacie. I cattolici armeni ed i fedeli del [144] Libano e dell'Antilibano essi soli rimasero profondamente uniti alla Chiesa romana.
- 655 - Octai, figlio del Gengiskan, con le sue scorrerie aveva disertato Russia, Polonia, Boemia. Parevano nondimeno <i tartari>182 inclinare alla cattolica fede. Il pontefice mandò al loro capo un'ambasciata di religiosi intrepidi. Questi, superati immensi pericoli, vennero innanzi ad Octai ma non ottennero.
Altra ambasciata di quattro frati domenicani per mezzo alla Persia e paesi affini ritornarono al sovrano tartaro, il quale interruppe: "Come osate dire il papa il più grande degli uomini?... Non sa egli che il kan è figlio del cielo?...". Risposero i legati: "Il pontefice nostro non ti conosce di presenza; solo per mezzo nostro prega <che> ti faccia cristiano". Soggiunse il re: "Avete doni ad offerirmi?" E quelli: "Il papa non l'ha per costume". Continuò il kan: "Genuflettete tre volte dinanzi a me come dinanzi il figlio di Dio...". "Questo non ci è permesso dalla nostra legge. Vi presteremo tutti quegli onori che già tributiamo ai nostri sovrani". Conchiuse il kan in tuono severo: "Il vostro papa non è <che> un cane, e voi tutti tanti cani!...". In dire licenziolli.
Ordinò poi sue truppe per venire a Gerusalemme e manomettere il Santo Sepolcro e sperdere la salma di Goffredo Buglione183, finché il sultano d'Egitto movendo con suoi eserciti disfece le truppe dei corasmiani e incominciò il regno della dinastia ottomana.
11. Federigo di Germania, che doveva salvare la Cristianità in oriente, mostravasi forte in combattere la Chiesa. Agognava per essere salutato re universale, ma in breve il colsero l'effetto delle censure ecclesiastiche. Federico si vede perire miseramente i figli ed i ministri a lui più cari. Accadde che Federico per rallegrare il popolo inaugurasse sulle rive del Reno un torneo. Stando in passatempo, i tedeschi si beffavano della fede e del pontefice, quando venuti sul giuoco a dissensione, si volsero le armi incontro. Trecento di loro caddero morti in combattimento.
- 656 - Da [145] Germania erano penetrati i nomi della parte guelfa, favorevole al pontefice, e de' ghibellini, avversi al papa, ligi allo imperatore. I viterbiesi rivoltosi contro Federico giurarono loro fedeltà al pontefice. Di che l'imperatore infuriando sclamò: "Se già avessi un piede nel paradiso, tosto lo ritirerei per vendicarmi di Viterbo". In dirlo assaltò la città, ma ne fu respinto. Rinnovò l'assalto con riempire di macchine i fossati, ma i viterbiesi poterono per vie sotterranee incendiare gli apparati nemici e volgere in fuga l'imperatore. Uomini, donne, fanciulli, eran disposti a vincere od a morire.
Alessandria, Vercelli, e più altre città del Monferrato abbandonarono Federico. L'imperatore credette <di> vendicarsene sulla persona del pontefice, allora Innocenzo iv della famiglia dei Fieschi in Genova, ma il pontefice poté evadere e ricoverò a Lione.
Il re san Luigi era gravemente infermo. Già credevanlo morto da due dì, quando ridestatosi come da un sonno sclamò: "Io son libero da morte, ma a condizione che mi rechi in Terra Santa". Nol credevano gli altri, ma san Luigi protestò: "Ho fatto voto di portarmi a Terra Santa". Bianca la regina madre appena intese disse: "Mio figlio come già morto lo offro a Dio".
12. Innocenzo iv intimò a Lione un concilio generale. I vescovi d'Ungheria furono impediti dalle irruzioni dei tartari, quelli184 di Germania impediti da Federico. Pier delle Vigne, cancelliere dell'imperatore, disse dolergli che Federigo, per impedimenti insorti, non poteva esser presente.
Innocenzo iv stando dinanzi a 140 vescovi cominciò: "O voi tutti che mi circondate, vedete se è dolore eguale al mio185; i tartari invadono dal settentrione, dal mezzodì i greci minacciano scisma. Federigo ci opprime nel cuore, le sciagure di Terra Santa tolgono il sonno dagli occhi nostri". In dire Innocenzo uscì in dirotto pianto. Porge poi ai cardinali [146]un cappello rosso dicendo: "Quest'è in memoria del sangue che - 657 -voi dovete esser pronti a spargere quandoches<s>ia per la Chiesa".
Il pontefice provvide alle più gravi urgenze della Chiesa. Infine parlò dello imperatore così: "Federico spergiuro e sacrilego, eretico e fellone, sia scomunicato e deposto". Guai al figlio che merita <di> esser maledetto dal padre! Nel giro di 20 anni perì miseramente Federico di morte improvvisa, tutti della sua famiglia vennero meno con fine miserando. Due suoi figli morirono l'uno in carcere, l'altro chiuso entro gabbia di ferro. Ezzelino fu percosso da morte atroce. Pier delle Vigne ebbe tronche le braccia. Altri figli del tiranno, Corrado e Manfredi, furono avvelenati; Corradino, ultimo rampollo, fu impiccato. Alla famiglia di Federico succedé la dinastia di Rodolfo di Asburgo.
Sei secoli di poi si ripetono le stesse vicende sotto la Rivoluzione e Napoleone il Bonaparte186. Come Federico, anche il Bonaparte sarà consacrato dal pontefice, allora Pio vii. Anche Napoleone s'arroga <di> comandare al papa e farsi imperatore universale. Dolevagli non poter esser chiamato figlio del cielo.
Federico, coperto dal peso ignominioso della scomunica e dell'interdetto, più volte fece capo a san Luigi re di Francia per ottener dal pontefice l'assoluzione, ma rispondeva Innocenzo: "Chi potrebbe ricevere nella Chiesa una serpe che attossica anche all'ora medesima che protesta aver deposto il fiele?"
Federico ritornava insanguinato d'aver combattuta Parma ed essere stato vinto. I parmigiani riconoscenti scrissero: "Fuggono i nemici perché la Vergine protegge Parma".
13. In nome del Signore e della Vergine benedetta san Luigi colle sue truppe moveva alla volta di Palestina. Vi s'era disposto con molto apparecchio di digiuni, di macerazioni. I maggiorenti del regno accompagnavanlo vinti dalla soavità del pio sovrano. Molti [147] del clero e della nobiltà seguivano, dopo aver vendute le sostanze proprie e preparatisi come alla via o della morte o dell'esiglio. San Luigi avanti partire si - 658 -frappose mediatore al pontefice per riconciliare personaggi illustri e ottenere che Raimondo fosse sepolto in Terra Santa. Non avendo impetrata la riconciliazione di Federico, disse con voce mesta: "Se la crociata non avesse ad avere esito felice, io me ne sgraverei la coscienza". Luigi contava trentacinque anni di età. Dalle spalle sovrastava a tutti. Aveva i capelli biondi, rasa la barba, una soavità carissima nel viso.
Pervenuti a Cipro, furono forniti di provvigione appo mucchi di grano che, stando al campo, fiorivano alla superficie187. Navigando poscia, presto s'udì un grido: "Damietta! Damietta!" San Luigi pregò, indi gittossi in mare e venne co' suoi su per la rada bassa combattendo nell'acqua sin presso al collo. Luigi e il conte Ugo di Lusignano operarono prodigi di valore. Il conte morì in disperdere un nugolo di saraceni. Luigi si fece innanzi e sbaragliò l'inimico. Damietta fu di leggeri conquistata. La regina, un governatore, un vescovo rimasero a custodia della città, e Luigi rivolto a' suoi disse: "Dio sia benedetto. Ed ora dove rivolgiamo i passi nostri, ad Alessandria per indebolirlo di fianco, ovvero al Cairo per ferire nel cuore l'inimico?" Risposero: "Al Cairo, al Cairo!" Diressero dunque i passi a quella volta. Ma dimorando per alcun tempo in Damietta, una strana corruzione si era infiltrata nello esercito crociato, di che Luigi dolevasi nell'intimo dell'animo.
Pervenuti poi a vista del Cairo si videro dinanzi il fiume Nilo. Valicarlo era pericolo minaccioso. Il conte fratello si fece <a> parlare al re san Luigi così: "Permettetemi che con qualche numero io mi provi al guado; pervenuto al di là, io farò sol quelle mosse che mi permettete e non altre". San Luigi ponderò la cosa e poi l'accomiatò. Malec-Sala188 aveva mandato a dire al re Luigi <che> ritornasse pure a Damietta e da questa città all'Europa. Il sovrano di Francia [148] aveva risposto:- 659 - "Io sono sbarcato in Egitto il giorno che ho fissato; non mi piacque fissar quello della mia partenza".
Il conte d'Artois, fratello del monarca, scontratosi con un drappello di saraceni, li inseguì furiosamente oltre alle condizioni fissate. San Luigi con i suoi valicò le acque e gli tenne dietro. L'Artois, circondato nel mezzo del Cairo da un nembo di saraceni, si difese come un leone finché cadde. Infissero dunque i musulmani il capo di lui in un'asta e additandolo all'esercito gridavano: "Ecco la testa del re di Francia". San Luigi si trovò egli stesso in eguale cimento, ma n'uscì salvo. I soldati seguivano intrepidi, ma per molti cadaveri e dei crociati e dei musulmani che si putrefacevano, le acque del Nilo ne furono infettate. I soldati furono colti da un malore di epidemia e dal disastro della fame. Il re Luigi cadde nelle mani nemiche. Coprivanlo d'un mantello d'ignominia e intanto consultavanlo intorno al modo di mandarlo a morte, quando si offersero a donargli la vita per dugentomila bisanti d'oro che san Luigi versò nelle loro mani.
Il monarca di Francia vinto conservò tutta la dignità del cristiano e del re. Tentato di cosa proibita, rispose: "Piuttosto la morte". Invitato a dar l'abito di cavaliere ad un saraceno, rispose: "Renditi prima cristiano". Gli emiri ammirati a tanta fortezza dicevano: "Costui ci atterrisce colla sua forza d'animo, ci tratta come se fosse egli il vincitor e noi i vinti". Gli si inchinarono perfino rispettosi per eleggerlo sultano d'Egitto. Un vecchio della montagna venne <a> dire al re: "Confortatevi che voi non ancor avete sofferto quello che sostenne il vostro Salvatore". Una vecchia cristiana s'affrettava con una secchia d'acqua e con torcia accesa sclamando: "Vorrei con l'acqua estinguere il fuoco d'inferno e colla torcia rischiarare sino al cielo per indurre gli uomini ad amare Dio".
In Damietta la regina delirava in eccesso di timore. Metteva in luce un figlio che fu chiamato Giovanni, per soprannome si disse Tristano. Temendo l'irruzion dei [149] saraceni, pregò un vecchio soldato così: "Imploro da voi una grazia, che io muoia piuttosto che cadere nelle mani dei saraceni dissoluti". Alcuni dei crociati furono ancor passati a fil di spada.
- 660 -San Luigi guardò al sangue di quelle vittime e gemette profondamente nell'animo.
San Luigi, alle prese coll'infortunio eppure rassegnato cotanto, diveniva carissimo agli angeli ed agli uomini. Propose un programma di combattimento e l'ebbe osservato. Egli salpò dallo Egitto e ritornò in Europa. I popoli l'accolsero con venerazione e il commiserarono. Il pontefice lo paragona agli eroi. Presto gli disporrà la corona con l'aureola dei santi.
1. Il soldato di Cristo al confronto del gregario di Satana.
2. Criterio di governo fra cristiani del 1200.
3. Gregorio ix. Federico si mostra più musulmano che cri
stiano.
4. Patimenti di sant'Elisabetta.
5. Eretici stadinghi d'Ungheria. Sulla tomba di sant'Elisa
6. Avvenimenti a Costantinopoli, a Venezia. Federico ii. Ez
zelino da Romano. Sant'Antonio di Padova.
7. Federico ii vinto da santa Chiara. Federico è scomunicato.
8. San Luigi di Francia. Tartari guidati da Bathou189. Predicatori francescani.
9. L'università parigina minaccia <di> cadere.
10. Armeni e maroniti. Octai figlio di Gengiskan.
11. Federico ii insulta alla Chiesa. E' vinto a Viterbo.
12. Misera fine della famiglia di Federico.
13. San Luigi move alla volta di Palestina, Cipro, Damietta, al Cairo. Carattere di san Luigi vinto.