Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Le glorie del pontificato...
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LE GLORIE DEL PONTIFICATO DA ADAMO AL GIUBILEO SACERDOTALE DI SUA SANTITÀ IL PONTEFICE LEONE XIII

XLVI. Gioac<c>hino Pecci prelato

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- 1082 -

XLVI.

Gioac<c>hino Pecci prelato

  Gregorio xvi fu già pontefice sapientissimo. Eppure i centomila carbonari che, direttamente od indirettamente, nella Italia osteggiavano in ispecie il Cattolicismo, già braitavano come tuttodì che i preti sono ignoranti, inetti al governo e retrogradi.

  Onde Gregorio, chiamato a più riprese il novello sacerdote Gioac<c>hino, sì gli parlò: "Voi intraprenderete la carriera della prelatura e sarete anzitutto governatore nella città di Benevento". Gioac<c>hino vi s'affrettò. Benevento è luogo di confine fra lo Stato romano ed il napolitano, luogo di contrabbando, nido di rivoltosi, l'antico principato dello apostata Talleyrand.

  Or il prelato Pecci seppe sì ben disporre che, con soavità e fortezza pari, trasse [173] tutti i cuori a sé e li condusse all'ordine ed alla verità, rendendo profondamente cattolico il com<m>ercio, le arti, le industrie, le magistrature, i comuni medesimi. Onde i popoli, ben sì avvisando che la religione rende felici gli animi, prendevano ad amare ed a riverire più profondamente il ministro di Dio, il governatore e padre. Il quale oppresso da gran cumulo di sollecitudini, contrasse poi malattia gravissima. Ma fortunatamente ne fu guarito mercé le preghiere di san Francesco di Geronimo e di quelle molteplici che lo stesso sommo pontefice fece innalzare da cuori fervidi.

  Intanto passarono tre anni e Gregorio xvi, richiamatolo da Benevento, il mandò governatore a Perugia. Perugia è città principale nell'Umbria; venne edificata sul monte dal genio del Medio evo ed è patria del Perugino, il maestro di Raffaello. Gioac<c>hino Pecci fu accolto con applausi universali ed egli ben si meritò di tutti, perché a meraviglia promosse il ben essere corporale e spirituale di quei popoli. Attese a rialzare il principio di autorità, onde il pontefice sommo venendo in visita agli Stati diceva: "Ha dei luoghi nei quali son ricevuto - 1083 -come un frate e in altri come un cardinale, ma in Perugia son condotto in trionfo come un sovrano".

  Nondimeno come il pontefice, così il prelato Pecci penetrando fisamente, scorgevane la società a guisa dei vigneti e dei campi che stanno allo intorno del Vesuvio. Sembrano rallegrare e sono feraci, ma sono alla vigilia di venire coperti dalle lave di fuoco. La [174] rivoluzione vi era latente e disponevasi a scoppiare con fragore universale. I buoni perugini se n'avvedevano parimenti e serrandosi intorno al prelato dicevangli: "Voi ci amate e noi vi amiamo. Solo voi e la Chiesa potete287 salvar la società da un abisso od almeno ritardarne gli eventi funesti".

  Gregorio valevasi assai di buon animo dei servigi del prelato Pecci. Mirò poi al Belgio e s'avvide che quella nazione, la più generosa dopo Irlanda in religione, la più industre senza comparazione fra le sorelle in Europa nell'arte e nello studio, meschinello il Belgio, era poi disturbato dai latrati e dai morsi di un cagnolino importuno, il liberalismo, che aizzato dallo stesso re Leopoldo, protestante di religione e di costume massonico, produceva inquietudini e danni non pochi a quella Chiesa.

  Ora il sommo pontefice pensò che non altri meglio del Pecci, colla bontà del suo cuore, colla argutezza de' suoi modi, con la sapienza della sua mente, avrebbe ammansata quella bestiolina, epperò creatolo nunzio mandollo fra quella gente. La quale di subito fu presa non solo da stima, ma da venerazione al personaggio inclito.

  L'università di Lovanio gli applaudì vivamente; la regina, cattolica esemplare, versava il suo cuore nell'animo del nunzio e tutta si profondeva in servizio alla santa religione. Lo stesso re Leopoldo congratulandosene diceva: "Invero, monsignore, ella è altrettanto esperto nelle cose politiche quanto nelle ecclesiastiche".

  Il sommo pontefice, ben apprezzando il merito del [175] prelato Pecci, nel 1843 consacrollo in arcivescovo di Damietta.- 1084 - Nel 1846 poi il richiamò a Roma per conferirgli il vescovado di Perugia. In quella città e nell'Umbria ferveano i moti della insurrezione. Pensò Gregorio che Gioac<c>hino Pecci sarebbe stato più davvicino colonna fermissima alla Chiesa. Nel Belgio se ne mosse<ro> dai più molti lamenti e re Leopoldo in accomiatarlo espose al pontefice il desiderio suo che al giovine prelato non fosse ritardato l'onore del cappello cardinalizio.

  Il nunzio Gioac<c>hino Pecci in ritornare ripassò alla Inghilterra, misurò lo stato dell'Irlanda, conferì a lungo col Wiseman, al quale altresì soggiunse: "Non dubitate che la fede e i patimenti dell'Irlanda non sieno per meritare in breve a tutta l'isola inglese il beneficio dell'unità cattolica".

  Da Inghilterra ripassò alla Francia, considerò come in uno specchio lo stato d'animo dei parigini e se ne dolse profondamente. Pervenuto a Roma, confessavalo al pontefice sommo: "Parigi e la Francia appaiono come quelle piante annose del Brasile che allo esterno danno bellissima mostra di sé, ma dentro sono vuote". Pregò poi un istante, si umiliò al Vicario di Gesù Cristo e si affrettò a Perugia, il novello campo di lavoro assegnatogli dal comune padre di famiglia.





p. 1083
287 Originale: possono.



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