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PRIMO CENTENARIO DELLA TRASLAZIONE DEL CORPO DI SANT'AGRIPPINO VESCOVO DA LENNO A DELEBIO NEL 1785 Primo giorno Lezione Sant'Agrippino e san Benedetto |
Sant'Agrippino e san Benedetto
[12]Agrippino, personaggio piissimo e sapientissimo, stava a custodia della civiltà cristiana appo di noi, quando vide appressarsi due figure egualmente minacciose e terribili. La prima era coperta in ammanto cortigianesco, aveva in capo corona imperatoria, talvolta impugnava il pastorale e tal altra vestiva la cocolla. Moveva viso pietoso e si diceva protettrice dei popoli. Pretendeva <di> appellarsi difenditrice di Chiesa santa, in quella che inviava traditori e vili a percuoterla minacciosamente nel capo, a ferirla nel costato. E poscia ritraendosi, l'ipocrita discioglieva il crine e faceva sgorgar lagrime e [13]giugnendo le mani pregava: "Il ciel t'aiuti, o benedetta, tu sei la mia diletta madre. Vieni che t'abbracci...", e le porgeva il bacio del tradimento. Chi è dunque la perfida? È la civiltà raffinata d'oriente, o meglio è la barbarie che eretica si mostra a supplantare la civiltà cristiana. Lassi noi, ché la barbarie in guanti gialli da levante è venuta in occidente e signoreggia oggidì fra noi! A' suoi tempi Agrippino scorse altra figura di spavento.
Una persona terribile e potente come i giganti, irta ne' capegli, accesa negli occhi, burbera nel viso. Viene armata nella destra, fiera nel portamento. Ha denti di ferro e dilacera colle unghie la preda che è stanca di sbranare colla bocca. La cruda e insanguinata viene per intridersi nella civiltà cristiana d'Europa e inghiottirla e dominare <come> dea suprema. Voi ben
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la conoscete questa furia, è belva che viene a noi, la5 barbarie del settentrione. [14]E Agrippino che stava alle frontiere dell'invasione in Colonia6, antica città nella Valtellina fra la borgata attuale di Delebio e il castello di Fuentes, Agrippino, in iscorgere fiso, si colmò d'alto spavento e giunse le mani e pregò di cuore: "Buon Dio, salvate me, aiutateci tutti!".
Ed eccogli l'angelo del buon consiglio che gli addita certo uomo di nome Benedetto che, figlio già illustre di Eutropio e di Abbondanzia, patrizii doviziosi in quel di Norcia appo Spoleto, era venuto per ragion di studio a Roma. Ma qui scorto avendo che la colluvie di male straboccava eccessivamente, ei salutò agli studi e venne ai suoi 15 anni di età a seppellirsi in una spelonca presso Subiaco. In questo luogo vestì l'abito da monaco e fu cercato superior di monaci; però non trovandosi al sicuro, era salito sul Monte Cassino e, sfidate ivi le battaglie del mondo e dello inferno, avea posto ferme basi [15]ad una società di monaci che dal nome del fondatore si dicevano benedettini. Agrippino s'accostò e vide che personaggi illustri, deposto ogni fasto, attendevano allo ingresso del monastero.
Vide uomini d'ogni età e di tutte condizioni, ricchi e poveri, che aspettavano quali da due e quali da sei mesi. Intanto Benedetto aveva detto ai primi: "Attendete ed esperimentate la voce del vostro cuore". Ed ai secondi soggiungeva: "Or eccovi la disciplina del monaco benedettino: sommettere intieramente il capo a chi è da Dio chiamato pel comando. Un abate viene eletto dai monaci ed è consacrato dal vescovo.
L'abate ha sotto di sé un priore e decurioni per sopraintendere ciascuno a dieci religiosi. Ma nessuno impone un castigo al novizio che sorpassò i 15 anni senza dipendere dall'abate. I
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negozii di qualche interesse si trattano in generale congregazione, nella quale anche gli [16]ultimi arrivati devono esporre il proprio voto. Il monaco benedettino deve vivere in castità perfetta e non può possedere cosa di sorta; proibito il possesso, proibite le protezioni, per allontanare liti qualsiensi. Il religioso è contento di una tonaca bianca con cappuccio <e> coccolla. Ei si cinge di cintura ai fianchi. Poche tavolette e un punzone per iscrivere, un ago per cucire l'abito proprio, un fazzoletto da naso, un coltello per servizio nei lavori, ecco il tutto che è commesso in uso al benedettino".
Il monaco benedettino, alleg<g>erito così dalle terrene cose, attende a diverse mansioni. Molte volte egli siede a trascrivere manoscritti. Allora curva il dorso alle pergamene, aguzza l'occhio sui caratteri antichi e per non istancarsi alla fatica si lega con una catena allo scrittoio. Povero monaco! Trascrive e compone e in far ciò vien meno e muore avanti il suo [17]tempo. Ma egli spira con il sorriso del giusto e con la contentezza in cuore di chi ha la soddisfazione di poter dire: "Ho faticato per allontanare la barbarie d'Europa, ed or muoio per condurre le menti che sospirano alla cristiana civiltà". Più spesso ancora il benedettino si sparge ai piani di malaria o si solleva ai monti deserti o si interna nelle valli abbandonate, e suda bagnando il suolo, e sfida egualmente il calor del sollione come i rigori dei geli e delle brine, perché egli ha fisso in mente un gran proposito: dissodare un territorio e renderlo all'agricoltura a fine che sia poi coperto da un popolo di gente che in assaporare i frutti della carità imparino <a> dar gloria a Dio e perfezionare il cuore a cristiana virtù.
In quella stessa che il benedettino suda alla coltivazione della terra, egli con lo spirito è in conversazione con [18]Dio.
Molte volte nel dì erompe in slanci di supplicazione, di lode e di ringraziamento e fa risuonare il canto dei salmi davidici dov'egli è, o nella chiesa o nel viaggio od al campo. Dato sfogo così al cuore, tosto subentra il silenzio e allora in un territorio sparso di indefessi lavoratori non altro s'ode allo infuori dell'eco del colpo della scure o il mormorio degli aratri e delle vanghe che si maneggiano. Il benedettino lavora indefesso finché la fronte si curva verso terra, le ginocchia tremano
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ed egli si sente assorbire. Allora s'apre una fossa, il superiore la benedice e il benedettino chiude gli occhi e vi riposa entro sospirando: "O terra, ricevimi come genitrice benevola. Io t'ho dissodata perché servissi di mezzo ad educare le menti d'Europa alla scuola del santo Evangelo". Il benedettino nel circuito del suo monastero ha tutto ciò che è strettamente necessario, le arti ed i mestieri,[19] e non scrive o riceve lettere di comunicazione col mondo. Se uno ceda alla tentazione e si allontani e poi che ritorni, egli è ricevuto, ma si fa sottostare a delle prove di fedeltà. I piccoli falli si correggono issofatto con disciplina esemplare. Chi poi commette disattenzioni troppo rimarcate, si scomunica dalla mensa in comune, dalla7 preghiera in comune, finché ravveduto appieno e disciolto in lagrime di tenerezza non ritorni ad edificare in bene la comunità. Ma se uno cade ammalato, lo si trasporta nella comune infermeria dove è scritto: "Gli infermi son da curare con rispetto, come membra di Gesù Cristo. Chi poi è servito con tanto onore, questi per non contristare i fratelli domandi8 soprat<t>utto ciò che è necessario, e non molto in là".
Agrippino, figlio illustre di genitori potenti, in vedere e nello intendere tutto ciò pianse di tenerezza. Sclamò [20]fra se stesso: "La mia vocazione sovrat<t>utto! Sentomi tremar la terra sotto ai piè. Vo' farmi monaco benedettino. Sento che Dio mi chiama ed io m'affretto. Addio parenti! Addio patria! Io pregherò per tutti voi. O Olonia9, o Valtellina, potessi io recarti tanto pro quanto mi sento in cuore di procacciarti".
Partissi adunque lietissimo nell'animo e fiducioso in Dio.
Maurizio Monti scrisse non ha molto10: "Sant'Agrippino, di cui abbiamo alcune certe notizie, ci si manifesta uno di quegli uomini che sono dotati di una straordinaria forza d'animo e ancora risplende fra le tenebre di quella lontana
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età. Nato da alta stirpe e forse principesca, la quale aprivagli la via ai primi onori dello Stato, rinunziò magnanimamente alle umane speranze e ricchezze e si acconciò a servire Iddio in umile abito di fraticello"... I moderni diconlo benedettino.
[21]Abbiamo scorto Agrippino che in partire per il monastero salutava la patria dicendo: "Possa io ottenerti quel bene per cui sospira il cuor mio!". Or troviamo che la preghiera e l'opera di Agrippino non tornò vana. I religiosi benedettini vennero per tempo presso a Chiavenna, nel luogo detto Prata, e vi istituirono un monastero, che crebbe in celebrità e fu l'abbazia più considerevole in tutta la diocesi di Como. I tempi e le alluvioni ruinarono poi questa gigantesca istituzione, della quale rimane tuttodì una chiesa e pochi avanzi di fabbricato che si dicono ancor testé all'ab<b>azia in Dona. Poi si estesero con altre istituzioni a San Fedele presso Novate, a Monastero ed a Mantello per prosciugare quei terreni infetti. I bendettini recarono il buon frutto di loro opere sante a Postalesio ed a Sondrio e nel Bormiese. Né solo i religiosi, ma anche le [22]religiose di san Benedetto ebbero più case in molte località di Valtellina, con lo stesso intento santo di procacciare alle figlie del popolo l'industria del lavoro, l'educazione della mente e del cuore.
Oh, un umile fraticello come è grande al cospetto di Dio e degli uomini! Agrippino oh quanto si è reso caro dappoiché mutò la toga con la tonica, lo scettro con la vanga e il libro del codice umano con il libro del codice religioso! Principi di imperial sangue seguirono l'esempio di Agrippino. E principi piissimi nel secolo studiarono poi assiduamente nello stesso codice di san Benedetto per imporre ai popoli leggi di utilità e di soavità grande. Quale esempio per le plebi del popolo e per i potenti del secolo oggidì!
[23]O glorioso santo Agrippino, voi siete nato testé alla vita spirituale e già rifulgete a guisa di stella lucente. Qual mente e qual cuore è in voi, Agrippino beato! Benedetti i
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vostri passi! Essi ci hanno fruttato in copia benedizioni. Benedetta sia la vostra destra. Essa è poderoso sostegno alla nostra fiacchezza. Oh, la vostra presenza come ci rinfranca il cuore! Noi vorressimo risorgere perché per colpa nostra il cielo ci ha ritolto quello che era suo dono da voi impetratoci, il buono spirito di Gesù Cristo e degli apostoli nelle istituzioni monastiche. Fummo orbati, ed or ne comprendiamo l'amarezza di tanta privazione. O Agrippino, siateci novellamente padre e benefattore. Otteneteci quello che per nostra incuria abbiamo sciaguratamente perduto.