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PRIMO CENTENARIO DELLA TRASLAZIONE DEL CORPO DI SANT'AGRIPPINO VESCOVO DA LENNO A DELEBIO NEL 1785 Quarto giorno <Lezione> Sollecitudini pastorali del vescovo Agrippino |
<Lezione>
Sollecitudini pastorali del vescovo Agrippino
[45]Il genitore cristiano nella famiglia egli è per natura e per grazia sollecito dei figli che gli appartengono. Il padre spirituale nella famiglia di una parroc<c>hia è maggiormente sollecito sia per ministero che per grazia. Il vescovo, che è padre degli stessi padri in una diocesi e pastor dei pastori, padre dei pastori insieme e dei fedeli, egli è sopra tutti sollecito e provvido. Miriamo nella persona del padre e del pastor santo Agrippino. Prima sua sollecitudine è di ordinare appieno le passioni proprie alla ragione, la ragione a Dio. Agrippino guarda all'alto e poi china lo sguardo intorno a sé, e sé sprofonda in un abisso di confusione [46]e grida: "O Signore, se non mi porgete aita a sollevarmi da terra al cielo, misero, che fia di me giammai?". Intanto attende a voler per sé l'ultimo posto nelle umane comparse, il luogo più opportuno ai patimenti, i disagi più sentiti nella povertà. Egli non vuol dimettere l'umile abito del religioso benedettino, e conforme all'abito vuol che in cuore regnino sovrane le virtù del santo monaco. Ed alle buone qualità di monaco aggiunge le virtù del pastore prudente. Scorgetelo Agrippino. Quanta modestia ha nel suo portamento, quanta soavità nei modi, quanta unzione nelle parole! Il suo volto brilla di uno splendor di grazia, la sua fronte sfavilla di un'aureola di santità.
I ministri e domestici nella sua casa, attratti da tanta bontà, gli sono spesso incontro come figli al padre e fanno a gara per ricopiarne le doti di scienza, le virtù di perfezione.
La famiglia religiosissima del vescovo è [47]come un monastero di pietà e di studio. Di frequente escono sacerdoti egregi, che poi occupano uffici importanti in più sedi della diocesi e di altre fuori. I ministri ed i domestici di Agrippino, ilari e solleciti nella persona, s'odono spesso ripetersi a - 401 -vicenda: "Quale gioia e quanta a trovarsi con un santo quaggiù! E se stare con un santo del Signore è sì pura gioia, quanto maggiore non sarà trovarsi al cospetto di Dio e con Dio in paradiso!".
I sacerdoti sparsi sui monti e nelle valli della vasta diocesi confortavansi in ricordare che omai eseguivano i voleri e le inspirazioni di un santo. Obbedire ad un santo è peso leggero, perché egli ben sa compensare il peso del dovere con la dolcezza del comando. I fedeli discorrevano di un personaggio illustre, di un gran vescovo, di un santo che il Signore con atto [48]di molta misericordia aveva suscitato a guida di tante pecorelle in una vasta giurisdizione. E quand'egli, il pio e sollecito pastore, veniva in visita della diocesi, i popoli traevano in folla a lui e chiedevano umilmente d'essere benedetti. Fortunati quando molti di loro potevano versare il proprio cuore nel cuore del santo vescovo! Nei più era viva la brama di ricevere, con la benedizione, la Comunione santissima dalle sue mani. I sacerdoti di un territorio dovevano più spesso passare la notte intiera a ricevere le Confessioni dei fedeli perché eglino allo indomani volevano ad ogni modo comunicarsi dalla destra del santo pastore. Ed egli era tutto a tutti34, a confortare, a consolare, a benedire. Egli veniva per isvellere i vizii detestabili, per piantare le virtù sante. Volge il guardo a tutti i figli di un gran popolo ed esclama: "Quale filicità per [49]me ed insieme quale angustia! È contento sommo essere padre spirituale dei figli buoni e guida alle anime che si salvano. Ma è uno strappo al cuore essere pastore alle pecorelle che non odono ma fuggono, ed è crudo lavoro porre in mano la lucerna nel cammino a chi non vuol riguardarvi punto". E qui confondendosi vivamente sclamava: "Gli è perché Agrippino è ministro poco fervido, per questo avviene che i fedeli non si ravvedono; Agrippino è strumento troppo imperfetto nelle mani di Dio, gli è per colpa mia che molti non si correggono e non si salvano".
E qui gemeva profondamente e pregava il cielo a sollevarlo
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dall'enorme peso del vescovado. Ha perfino chi assevera che, ricordando le delizie spirituali della vita monastica e confrontando la sicurezza del cenobio con il pericolo dell'episcopato, egli in fine della vita vi rinunciasse decisamente [50]e si ritraesse con la sorella Domenica nell'Isola Comacina per attendere più di proposito al grande affare della santificazione propria. Stando vescovo, non cessava di ripeterlo: "Io sono pastore dei buoni e devo essere salvatore dei cattivi; tutti mi appartengono perché Gesù Cristo, il quale è morto per tutti, egli me li ha affidati".
Intanto alle preghiere aggiungeva le veglie, alle veglie le macerazioni della carne. Ed egli aveva cura di trattare con i peccatori con quella benevolenza che è propria del pastor buono per eccellenza, Gesù Cristo. "Preghiamo e speriamo -- diceva frequentemente -- Noi gettiamo il frumento e questo poco a poco rinasce e cresce. Così la grazia del Signore nel terreno dei cuori umani. Chissà che una malattia non faccia rinsavire i più perduti, che un'ispirazione non li converta, che al fine della vita non gridino: Salvatemi, o Signore!". [51]Ai cristiani buoni faceva buon animo dicendo: "Suvvia, fratelli, viviamo quaggiù come i viandanti e incamminiamoci alla patria, il paradiso". Ed ai più diletti, i cristiani più fervidi, aggiungeva: "Pellegrini, pellegrini, muoviamo più solleciti il passo, che allo indomani di questa notte noi rivedremo la patria sospirata".
Il cuore di Agrippino era in un colmo di gioia vivissima ed in un martirio continuato. La gioia era in vedersi da Dio costituito padre di tanti figli spirituali, ma l'angustia era viva in dover provvedere a tutti, in confortare quanto si deve i buoni, nello incoraggiare quanto è bisogno i freddi, nel correggere i cattivi. Queste cure oh come pesavan sull'animo del santo vescovo! Talvolta scorgevasi a guisa del divin Salvatore nell'orto e sospirava dicendo: "Fino alla morte io porto un peso di alto duolo". E in dirlo come un pellicano [52]pietoso apriva il suo cuore per offerirlo a Dio, e il sangue lasciavalo sgorgare perché bevendone quei del popolo ne avessero vita le anime, come i pulcini in succhiare il sangue del genitor pietoso.
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Ripetevalo sovente: "La mia vita, o figli, è per voi; per voi questo sangue che scorre nelle vene mie, ma ahimé, quae utilitas in sanguine meo? Che giovamento può dare il sangue di me, misero?" 35. Ma il popolo della diocesi di Como teneva dietro ai discorsi del santo vescovo, ne spiava gli esempi illustri, ne ascoltava i gemiti sospirosi e molti di numero; molti di fermo proposito abbandonavano la via dello scisma che straccia per congiungersi al centro di unità che salva.
Buon Dio! Voi mandate la grazia di Spirito Santo nella Chiesa vostra [53]e la vivificate e la santificate, voi mandate la grazia di Spirito Santo nel pontefice che tiene le vostre veci in terra ed egli in nome vostro guida le anime al cielo. Mandate la grazia di Spirito Santo nell'animo di un cristiano illustre e per esso ravvivate un popolo intiero! Qual grazia per noi, o Signore, che ne abbiate inviato nella persona di Agrippino un vescovo santissimo! Per esso noi siamo entrati nell'arca della salute, per esso noi siamo salvi.
Santo Agrippino, guardateci sempre pietoso dal cielo. O voi che molto potete appo il trono dello Altissimo, abbiate pietà di noi!