Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Primo centenario della traslazione...
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PRIMO CENTENARIO DELLA TRASLAZIONE DEL CORPO DI SANT'AGRIPPINO VESCOVO DA LENNO A DELEBIO NEL 1785

Ottavo giorno Lezione Pietà filiale

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Ottavo giorno

Lezione

Pietà filiale

  [80]Giunge da lungi il figlio e si presenta alla madre e l'abbraccia, e intanto si fa acceso in volto e una lagrima gli spunta sul ciglio ed ei domanda: "E il padre mio?...". E la madre frena la commozione e dice: "Tuo padre ebbeti sempre in cuore e sulle labbra. Negli ultimi istanti chiamavati per nome e ti lasciò per ricordo l'amore a Dio, l'affetto ai parenti". Il figliuolo pietoso ruppe in pianto tenerissimo, si affrettò al padre diletto, né potendo stringersi cuore a cuore con lui, si abbracciava all'avello mortuario. La mamma che il seguiva continuò: "Il padre dal cielo ne guarda; ei prega per me e per te efficacemente". [81]In dire levasi da collo un ornamento prezioso e lo dona al figlio dicendo: "Ricevi in questo cordone un caro ricordo del genitore, i capegli del suo capo venerando". E il figlio assume il pegno benedetto e il bacia e trae intanto un sospiro e dice: "Parmi vedere quel capo venerato, quegl'occhi sempre sereni, quel sorriso sempre amorevole; parmi sentir la sua parola sempre soave. Padre! O padre! Voi moriste sclamando: Figlio! O figlio! Ed io finché viva sarò tapinello e pellegrino che compie il suo cammino gridando: Padre! O padre!". Fratello pietoso, vieni45 che t'abbracci. Chi oserà insultarti giammai? Gemono e l'agnellino alla morte della pecora madre e il pulcino alla morte della passera genitrice! Buon Dio, siate benedetto che ne deste a noi uomini un cuore atto per amare e per compatire vivamente.

  [82]Un figlio spirituale di un padre santo, egli è sopram<m>odo devoto allo illustre che lo ha rigenerato alla fede, alla virtù, alla perfezione. Cotal figlio ne spia di tanto padre le intenzioni ed i desiderii, ne redita ogni accento di parola,

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sente dolor vivo in starne lontano, gioia vivisima in vivergli d'accanto. Misero il figlio quando rimanga orfano! Allora è un gemito inenarrabile, è un afferrarsi al feretro che ne rinchiude la salma venerata. All'atto poi di consegnarlo alla terra, un sus<s>urro di voci s'eleva a dire: "Vogliamo vedere il nostro padre!", e conviene <che> si dischiuda loro il feretro perché sul volto al venerando ministro46, che tante cose loro disse di conforto al paradiso, possano ancor fissare lo sguardo e su quella destra che tante volte li benedisse stampare un bacio.

  Buon popolo di Delebio, sei tu desso questo figlio devoto, tu il benedetto dal cielo per un eroe illustre, santo [83]Agrippino, il padre e pastor tuo, il padre e il pastor nostro. Ma specialmente tuo padre e tuo maestro, perché fra le tue terre ebbe i natali, fra te crebbe a virtù e per te in ispecie perfezionossi a santità. Bene sta che tu di Agrippino ne ricordi gli esempi santi, i discorsi ammirabili. Bene sta che attenda l'occhio in quelle fattezze di cristiano eroico, di pontefice invitto.

Popolo di Delebio, mostralo a tutti noi e consegnane un insegnamento di sublime massima cristiana, l'affetto devoto e la venerazione santa alla presenza di un padre benedetto.

  Raro è che il Signore a prò di ogni popolo susciti un santo, e Delebio s'ebbe questa prelazione. Ed egli, per ragion di tempi e di avvenimenti, fu tenuto lontano per lunga serie di secoli, dal 600 al 1700, quando sentendo sempre più vivo il bisogno del cuore, e le espansioni dell'animo ognora più infervorando, vennero alla madre, la Chiesa comense, e domandarono: "E [84]nostro padre sant'Agrippino?". E quella a loro: "Il beato Agrippino vi ebbe nel cuore e sulle labbra tuttogiorno. In passare da questa terra benedisse in ispecie a voi e volossi al paradiso. Or egli prega per voi dall'alto, e la salma sua dal suo avello nella chiesa di santa Maria ad Acquafredda veglia per voi e aspetta la risurrezione gloriosa". Sclamarono allora i delebiesi: "Noi vogliamo il padre nostro! Oh, dateci il nostro padre!". E non avevano termine in sclamare: "Noi non ci partiremo finché non ci sia dato di vivere e di morire

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accanto al padre nostro!". Erano difficoltà frammezzo, ma i delebiesi le superarono.

  Di quei tempi del 1700 erano due figure ipocrite e minacciose. La prima detta del cesarismo, che appariva ornata quando di corona reale e quando di paludamento cortigianesco; spesso vestiva altresì la toga del magistrato e più spesso quella del letterato e del sapiente.[85] Di tempo in tempo non mancava di apparire perfino con il pastorale nella destra e si insinuava dappertutto in segreto e nel pub<b>lico; nelle case e nelle chiese poi con discorsi melati e con infingimento accorto insinuava che il potere ecclesiastico ha un'impresa di peso immenso, curare le anime, e <per> il corpo e tutto ciò che si riferisce al corpo essere economia di divina provvidenza e misericordia del Signore che, in sollievo alla Chiesa, il cielo abbia chiamato il potere laico. Però lo Stato è sopra tutto e le leggi dello Stato sono il supremo dovere del dabben cittadino, e lo Stato egli ha il potere assoluto sulla persona e sulle sostanze dei dipendenti, perché egli, il capo, sia salvo ad ogni modo. E quanto all'anima, quel che è fisso è fisso. Iddio salva chi vuole. Tanto può salvarsi chi spende la vita in dissipazione, come chi la contiene in austerità durissime. La legge del [86]Signore è superiore alle forze umane ed ei comanda cose che noi non possiamo prestare; molto meglio è abbandonarsi ai godimenti e scapricciarsi come uno sa. E tanti pesi che si accollano al cristiano, Confessioni e Comunioni frequenti, venerazione di reliquie, invocazion di santi, esser più spesso parte di un culto superstizioso anziché aiuto a ben credere ed a ben vivere. E in questo ecco la seconda figura di minaccia, il giansenismo, che getta la disperazione nei cuori, lo scherno sulla fronte al cattolico per la fede sacrosanta ch'egli ha abbracciata.

  Le due figure di cesarismo e di giansenismo scendevano su di noi dall'alto in mezzo a spauracchi di nembi, a rombo di tuoni, a minaccie di procelle, a rovina di intemperie. E il buon popolo rimase intrepido. Aveva un pensiero fisso nell'animo, il ritorno del padre e del pastore in patria. [87]E se dopo 1200 anni abbia mutato fattezze, è tanto più caro come l'eroe che ha sfidato in molteplici incontri le vicende de' secoli.

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  Buoni delebiesi, il vostro occhio corre rapido all'Acquafredda ed alla chiesa di santa Maria all'Uliveto. Voi disponete altra abitazione santa, un tempio ottagono nei limiti della vostra, e la disponete come sala d'onore del grande padre che si venera. Bene sta, e n'avrete estimazione dai popoli della diocesi e da altri più lontani. Bene sta, che questa vostra è impresa di figliale tenerezza, ed or tutti ve ne lodano perché la pietà di figlio devoto è virtù che abbellisce soavemente il cuor del cristiano e l'eleva alla grandezza di Dio, bontà infinità per essenza ed ineffabile.

Orazione

  Anche la pietà che un figlio cristiano esercita intorno al genitor pio, [88]anche questa è dono del cielo, ed è virtù consacrata dal mistero di pietà con cui Gesù salvatore apparve infra di noi e si offerì allo Eterno. Grande Iddio, che noi possiamo offerirvi intera la nostra vita! Questa oblazione, e questa sola, ci darebbe prosperità terrena ed eterna. Buon Dio, se intendessimo che bene è essere pietoso verso a voi, pietoso verso ai ministri sacri che ne conducono a voi, pietosi ai parenti stessi che ne educano la vita della mente, che ne allevano le forze della vita! O santo padre Agrippino, voi ci avete impetrato il poter essere attratti inverso a voi ed a Dio. Vivete glorioso in cielo e su di noi miseri avvivate il favore delle benedizioni celesti.

  Tre Pater, Ave, Gloria.

 

 





p. 415
45 Originale: viene; cfr. ed. 1932, p. 94.



p. 416
46 Nell'ed. 1932, p. 95: “maestro”.



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