Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Primo centenario della traslazione...
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PRIMO CENTENARIO DELLA TRASLAZIONE DEL CORPO DI SANT'AGRIPPINO VESCOVO DA LENNO A DELEBIO NEL 1785

Nono giorno <Lezione> Solenne traslazione dei corpi di sant'Agrippino e di santa Domenica da Lenno a Delebio

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Nono giorno

<Lezione>

Solenne traslazione dei corpi di sant'Agrippino

e di santa Domenica da Lenno a Delebio

  [89]Giuseppe ii, che era pur tanto intimo di quelle due figure a noi niente benevoli, il cesarismo che tutto assorbe per lo Stato, il giansenismo che tutto intirizzisce i cuori per divorarseli; Giuseppe ii, che vantavasi di aver fatta la guerra ai frati ed alle monache e di aver con ingente sforzo di penna e di armi vinti ormai e spopolati ventiquattromila conventi, quasi fortezze nemiche nel suo impero; Giuseppe ii, che spopolò in tanta parte e chiuse i conventi ed i monasteri allora tuttavia numerosi ed egualmente benefici nella diocesi nostra e nella Valtellina sovrat<t>utto; insomma Giuseppe ii, il grande imperator [90]sagrestano, ebbe l'occhio anche al monastero dell'Acquafredda, dove erano otto monaci sacerdoti e quattro laici di Cistercio. Disse adunque: "Eccoli gli inimici dello impero. Sieno schiantati!". Ma non sono già i monaci cisterciensi fedeli del gran Bernardo, del santo taumaturgo che già commosse Europa intiera a virtù, a pace, a prosperità? Non importa. Rispondono quei grandi del mondo che la gente di convento non può esser utile a veruno... che è passato il tempo de' frati e delle monache... In dire, Giuseppe ii li cassò e permise per gran favore che alienassero quel tanto che sapevano possedere e si ritraessero poi a Pavia con altri che ve li attendevano, raccolti in un sol luogo e per una volta sola dalle regioni circostanti quei fanatici stolti che ripudiavano <di> ritornare al godimento del secolo. E i buoni cistercensi pregarono all'ara del santo lor padre e confratello [91]Agrippino e si rassegnarono ai voleri del cielo. E intanto quei di Lenno a confortarli si facevano incontro a dire: "La salma di Agrippino la custodiremo noi. Guai a chi osa profanarla! Vivete in pace e pregate per noi sempre, o padri nostri. Il ciel vi prosperi".

 

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  Ma quei di Delebio giungevano in pari tempo con ambasciata del'onorando Capitolo, della magnifica comunità e dei nobili Peregalli, e ossequiati i venerandi religiosi recaronsi nella chiesa vicina a fin di riverire i corpi santi di Agrippino e di Domenica. Pregarono dunque divoti e levandosi animati da viva luce parlarono con un cuore di figli tenerissimi: "I santi Agrippino e Domenica ci aspettano perché sono nostri ed or noi non ci ritrarremo finché non ci abbiate concesso i corpi loro". Intanto seguiva una contesa tenera di parole, una gara pietosa di affetti con quei di Lenno, che mal soffrivano. [92]Ma quei di Delebio la vinsero e riferirono per intanto in patria la fausta novella. Disposero solleciti per una festa solenne di traslazione, e <con> la illustre ambasciata, arric<c>hita di più altri personaggi distinti e di divoti non pochi, ritornarono a Lenno addì 20 gennaio 178547 e regalata generosamente la chiesa di santa Maria all'Uliveto e pregati gli illustri religiosi a ricevere in oblazione per un triduo solenne la somma di cento filippi, ottennero che si inaugurassero le feste per il solenne trasferimento.

  Il vescovo che allora reggeva la diocesi ne aveva accordato il permesso con gioia e prescrisse il rito della traslazione... I nostri delebiesi e il buon pastore di Lenno, in ossequio al consiglio dell'ordinario, per isfogo di filiale affetto, mossero in tripudio di festa tre giorni continui stando intorno ai corpi santi che si esposero al maggior altare. Durante la notte vegliavano muta a muta [93]presso ai sacri depositi, come figli intorno al genitor diletto. Finché al mattino del giorno ventitré si abbracciarono con più viva gioia ai corpi santi e pregavano: "Ritornate, o padre, che i figli v'attendono alla patria Delebio". E mentre le campane dei contorni suonavano a festa di accompagnamento, e con sparo dei mortaretti salutavano sant'Agrippino e santa Domenica, il nobile corteo fu alle rive di lago ed entrò in magnifica navicella ornata a festa e svolazzante di sacri vessilli. Salì poi le onde del massimo Lario e fu la sera a Pianello, dove i corpi santi, ricevuti con festa, furono

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per tutta la notte visitati da mute di popolo che si succedevano con pia gara.

  Allo indomani poi ripartirono, accompagnando gli applausi dei pianellesi, e furono a Colico, dove un popolo assiepato di Delebio e dei paesi circonvicini attendevano con innalzare stendardi, con elevar croci [94]da processione e far risuonar di lodi l'aere intorno. Quando furono a vicinanza dei corpi santi, caddero ginocchioni come un uomo solo e giugnendo le mani supplicarono: "Sant'Agrippino e santa Domenica, pregate per noi!", e vollero essere benedetti con le reliquie sante.

Di poi si ordinarono drappelli a drappelli, torme a torme le genti del popolo. I più fervorosi si strinsero in regolare processione e ripetendo le davidiche salmodie giunsero in vicinanza di Delebio. I sacri bronzi da lunga ora eccitavano a festa e gli spari moltiplicati di mortaretti, ripercuotendo l'eco dal vicin Legnone, annunziavano ai popoli del trivio valtellinese l'incominciamento delle feste solenni che costì si aprivano per l'incontro del padre con i figli suoi, di sant'Agrippino vescovo con i suoi delebiesi. I quali allora come sempre sclamano: "Le gioie spirituali accontentano il cuore cristiano. Oh come è [95]buono ricongiungersi dopo lunga serie di secoli i figli spirituali con48 un padre santo!". O buoni delebiesi, i santi fratelli e parenti Agrippino e Domenica sieno fiduciosa caparra di benedizione per tutti noi.

  Le tradizioni raccolte in più luoghi dallo scrittore Ughelli e la viva voce del popolo di Lenno riferiscono che nel sarcofago con gli avanzi del beato Agrippino erano pure le reliquie di santa Domenica. Il Cantù aggiunge: "Da antichissimo quei di Lenno festeggiano santa Domenica il 13 maggio; e il Carafino, i bollandisti, l'Ughelli ed i nostri cronisti scrivono che fu riposta col fratello sotto l'altar maggiore dell'Acquafredda... Ben a Delebio vi è antico il culto, poiché fin dal 1329 trovo una carta nell'archivio di quella collegiata in cui Filippo abate dell'Acquafredda dice come la era chiara colà per gran miracoli di morti risuscitati,[96] di c<i>echi, di storpi, di muti guariti".

 

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Orazione

  Molti infermi di mente e di corpo tuttavia ha in mezzo a noi. O Signore, date gloria ai vostri santi e nostri parenti venerati Agrippino e Domenica. Guarite le nostre menti, commovete i nostri cuori, e la gente cieca degli avversari scorgendo saran costretti <a> dire che voi siete onnipotente, che vi è cara l'invocazione dei santi vostri, beati comprensori del paradiso. O giusti tutti della terra, rallegratevi che buono e misericordioso è il Signore. Egli ha congiunti i cuori dei figli con il cuore di un padre santo, Agrippino, di una madre benedetta, Domenica. Siate sempre con noi, o parenti santi, e continuate sopra noi tanto aiuto da alto, finché i figli col padre giungano a beatitudine in paradiso per effondersi in affetto di ammirazione, di lode, di tripudio eterno.

  <Tre Pater, Ave, Gloria.>





p. 420
47 Originale: 1885; cfr. ed. 1932, p. 103.



p. 421
48 Originale: di; cfr. ed. 1932, p. 106.



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