44.
Ed ora, per venire ai singoli punti, cominciamo dal dominio o diritto di
proprietà. Voi conoscete, venerabili Fratelli e diletti Figli, come il Nostro
Predecessore di f. m., abbia difeso gagliardamente il diritto di proprietà
contro gli errori dei socialisti del suo tempo, dimostrando che l’abolizione
della proprietà privata tornerebbe, non a vantaggio, ma a estrema rovina della
classe operaia. E poiché vi ha di quelli che, con la più ingiuriosa delle
calunnie, accusano il Sommo Pontefice e la Chiesa stessa, quasi abbia preso o
prenda ancora le parti dei ricchi contro i proletari, e poiché tra i cattolici
stessi si riscontrano dissensi intorno alla vera e schietta sentenza Leoniana,
Ci sembra bene ribattere ogni calunnia contro quella dottrina, che è la
cattolica, su questo argomento, e difenderla da false interpretazioni.
a) Sua indole
individuale e sociale
45.
In primo luogo, si ha da ritenere per certo, che né Leone XIII né i teologi che
insegnarono sotto la guida e il vigile magistero della Chiesa, negarono mai o
misero in dubbio la doppia specie di proprietà, detta individuale e sociale,
secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune; ma hanno sempre
unanimemente affermato che il diritto del dominio privato viene largito agli
uomini dalla natura, cioè dal Creatore stesso, sia perché gli individui possano
provvedere a sé e alla famiglia, sia perché, grazie a tale istituto, i beni del
Creatore, essendo destinati a tutta l’umana famiglia, servano veramente a
questo fine; il che in nessun modo si potrebbe ottenere senza l’osservanza di
un ordine certo e determinato.
46.
Pertanto occorre guardarsi diligentemente dall’urtare contro un doppio scoglio.
Giacché, come negando o affievolendo il carattere sociale e pubblico del
diritto di proprietà si cade e si rasenta il cosiddetto
"individualismo", così respingendo e attenuando il carattere privato
e individuale del medesimo diritto, necessariamente si precipita nel
"collettivismo" o almeno si sconfina verso le sue teorie. E chi non
tenga presente queste considerazioni va logicamente a cadere negli scogli del
modernismo morale, giuridico e sociale, da Noi denunciati nella Nostra prima
enciclica (Enc. Ubi arcano, 23 dic. 1922). E di ciò si persuadano coloro
specialmente che, amanti delle novità, non si peritano d’incolpare la Chiesa
con vituperose calunnie, quasi abbia permesso che nella dottrina dei teologi
s’infiltrasse il concetto pagano della proprietà, al quale bisognerebbe
assolutamente sostituire un altro, che con strana ignoranza essi chiamano
cristiano.
b) Doveri
inerenti alla proprietà
47.
Per contenere poi nei giusti limiti le controversie, sorte ultimamente intorno
alla proprietà e ai doveri a essa inerenti, rimanga fermo anzitutto il
fondamento stabilito da Leone XIII: che il diritto cioè di proprietà si
distingue dall’uso di esso (RN n. 19). La giustizia, infatti, che si dice
commutativa, vuole che sia scrupolosamente mantenuta la divisione dei beni, e
che non si invada il diritto altrui col trapassare i limiti del dominio
proprio; che poi i padroni non usino se non onestamente della proprietà, ciò
non è ufficio di questa speciale giustizia, ma di altre virtù, dei cui doveri
non si può esigere l’adempimento per vie giuridiche (cf. RN ivi). Onde a torto
certuni pretendono che la proprietà e l’onesto uso di essa siano ristretti
dentro gli stessi confini; e molto più è contrario a verità il dire che il
diritto di proprietà venga meno o si perda per l’abuso o il non uso che se ne
faccia.
48.
Per il che compiono opera salutare e degna di ogni encomio tutti quelli che,
salva la concordia degli animi e l’integrità della dottrina, quale fa sempre
predicata dalla Chiesa, si studiano di definire l’intima natura e i limiti di
questi doveri, coi quali o il diritto stesso di proprietà ovvero l’uso o
l’esercizio del dominio vengono circoscritti dalle necessità della convivenza
sociale. S’ingannano invece ed errano coloro che si studiano di sminuire
talmente il carattere individuale della proprietà, da giungere di fatto a
distruggerla.
c) Poteri dello
Stato sulla proprietà
49.
E veramente dal carattere stesso della proprietà, che abbiamo detta individuale
insieme e sociale, si deduce che in questa materia gli uomini debbono aver
riguardo non solo al proprio vantaggio, ma altresì al bene comune. La determinazione
poi di questi doveri in particolare e secondo le circostanze, e quando non sono
già indicati dalla legge di natura, è ufficio dei pubblici poteri. Onde la
pubblica autorità può con maggior cura specificare, considerata la vera
necessità del bene comune e tenendo sempre innanzi agli occhi la legge naturale
e divina, che cosa sia lecito ai possidenti e che cosa no, nell’uso dei propri
beni. Anzi Leone XIII aveva sapientemente sentenziato: "avere Dio lasciato
all’industria degli uomini e alle istituzioni dei popoli la delimitazione delle
proprietà private" (RN n. 7). E invero, come dalla storia si provi che, al
pari degli altri elementi della vita sociale, la proprietà non sia affatto
immobile, Noi stessi già lo dichiarammo con le seguenti parole: "Quante
diverse forme concrete ha avuto la proprietà dalla primitiva forma dei popoli
selvaggi, della quale ancora ai dì nostri si può avere una certa esperienza, a
quella proprietà nei tempi e nelle forme patriarcali, e poi via via nelle
diverse forme tiranniche (diciamo nel significato classico della parola), poi
attraverso le forme feudali, poi in quelle monarchiche e in tutte le forme
susseguenti dell’età moderna" (Alloc. Comit. A.C.I., 6 maggio 1926). La
pubblica autorità però, come è evidente, non può usare arbitrariamente di tale
suo diritto; poiché bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto
naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni,
diritto che lo Stato non può sopprimere, perché "l’uomo è anteriore allo
Stato", (RN n. 6) ed anche perché "il domestico consorzio è
logicamente e storicamente anteriore al civile" (RN n. 10). Perciò il
sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato non essere lecito allo Stato di
aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti la proprietà privata da
renderla quasi stremata. "Poiché non derivando il diritto di proprietà
privata da legge umana, ma da legge naturale, lo Stato non può annientarlo, ma
semplicemente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune (RN n. 35). Quando
poi la pubblica autorità mette così d’accordo i privati domini con le necessità
del bene comune, non fa opera ostile ma piuttosto amichevole verso i padroni
privati, come quella che in tal modo validamente impedisce che il privato
possesso dei beni, voluto dal sapientissimo Autore della natura a sussidio
della vita umana, generi danni intollerabili e cosi vada in rovina; né abolisce
i privati possessi, ma li assicura; né indebolisce la proprietà privata, ma la
rinvigorisce.
d) I redditi
liberi
50.
Non sono neppure abbandonate per intero al capriccio dell’uomo le libere
entrate di lui, quelle cioè di cui egli non abbisogna per un tenore di vita
conveniente e decorosa; ché anzi la Sacra Scrittura e i santi Padri chiarissimamente
e continuamente denunciano ai ricchi il gravissimo precetto da cui sono tenuti,
di esercitare l’elemosina, la beneficenza, la liberalità.
51.
L’impiegare però più copiosi proventi in opere che diano più larga opportunità
di lavoro, purché tale lavoro sia per procurare beni veramente utili, dai
principi dell’Angelico Dottore, (cf. S. Th. II-II, q. 134) si può dedurre che
non solo ciò è immune da ogni vizio o morale imperfezione, ma deve ritenersi
per opera cospicua della virtù della magnificenza, in tutto corrispondente alle
necessità dei tempi.
e) Titoli della
proprietà
52.
Che la proprietà poi originariamente si acquisti e con l’occupazione di una
cosa senza padrone (res nullius) e con l’industria e il lavoro, ossia con la
"specificazione", come si suol dire, è chiaramente attestato sia
dalla tradizione di tutti i tempi, sia dall’insegnamento del Pontefice Leone
XIII, Nostro Predecessore. Non si reca infatti torto a nessuno, checché alcuni
dicano in contrario, quando si prende possesso di una cosa che è in balia del
pubblico, ossia non è di nessuno; l’industria poi che da un uomo si eserciti in
proprio nome e con la quale si aggiunga una nuova forma o un aumento di valore,
basta da sola perché questi frutti si aggiudichino a chi vi ha lavorato
attorno.
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