65.
Ma tale attuazione non sarà possibile se i proletari non giungeranno, con la
diligenza e con il risparmio, a farsi un qualche modesto patrimonio, come
abbiamo detto riferendoCi alla dottrina del Nostro Predecessore Leone XIII.
Orbene, chi per guadagnarsi il vitto e il necessario alla vita altro non ha che
il lavoro, come potrà, pur vivendo parcamente, mettersi da parte qualche
fortuna se non con la paga che trae dal lavoro? Affrontiamo dunque la questione
del salario, da Leone XIII definita "assai importante", (RN n. 34).
svolgendone e dichiarandone, ove occorra, la dottrina e i precetti.
a) Il contratto
di lavoro non è di sua natura ingiusto
66.
E da prima l’affermazione che il contratto di offerta di prestazione d’opera
sia di sua natura ingiusto, e quindi si debba sostituire con contratto di
società, è affermazione gratuita e calunniosa contro il Nostro Predecessore, la
cui enciclica Rerum novarum non solo lo ammette, ma ne tratta a lungo sul modo
di disciplinarlo secondo le norme della giustizia.
67.
Tuttavia, nelle odierne condizioni sociali, stimiamo sia cosa più prudente che,
quando è possibile, il contratto del lavoro venga temperato alquanto col contratto
di società, come già si è incominciato a fare in diverse maniere, con non poco
vantaggio degli operai stessi e dei padroni. Così gli operai diventano
cointeressati o nella proprietà o nell’amministrazione, e compartecipi in certa
misura dei lucri percepiti.
68.
Né la giusta proporzione del salario deve calcolarsi da un solo titolo, ma da
più, come già sapientemente aveva dichiarato Leone XIII scrivendo: "Il
determinare la mercede secondo la giustizia dipende da molte
considerazioni" (RN n. 17). Con le quali parole fin da allora confutò la
leggerezza di coloro i quali credono facilmente, ricorrendo a un’unica misura,
e questa, ben lontana dalla realtà.
69.
Sono certamente in errore coloro i quali non dubitano di proclamare come
principio che tanto vale il lavoro ed altrettanto deve essere rimunerato,
quanto valgono i frutti da esso prodotti, e perciò il prestatore del lavoro ha
il diritto di esigere quanto si è ottenuto col suo lavoro: principio la cui
assurdità apparisce anche da quanto abbiamo esposto, trattando della proprietà.
b) Carattere
individuale e sociale del lavoro
70.
Ora è facile intendere che oltre al carattere personale e individuale deve
considerarsi il carattere sociale, come della proprietà, così anche del lavoro,
massime di quello che per contratto si cede ad altri; giacché se non sussiste
un corpo veramente sociale o organico, se un ordine sociale e giuridico non
tutela l’esercizio del lavoro, se le varie parti, le une dipendenti dalle
altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che
è più, non si associano, quasi a formare una cosa sola, l’intelligenza, il
capitale, il lavoro, l’umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi
non si potrà valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si
tenga conto della sua natura sociale e individuale.
c) Tre punti da
tener presenti
71.
Da questo doppio carattere, insito nella natura stessa del lavoro umano,
sgorgano gravissime conseguenze, a norma delle quali il salario vuole essere
regolato e determinato.
a. Il
sostentamento dell’operaio e della sua famiglia
72.
In primo luogo, all’operaio si deve dare una mercede che basti al sostentamento
di lui e della sua famiglia (cf. enc. Casti connubii, 31 dic. 1930). È bensì
giusto che anche il resto della famiglia, ciascuno secondo le sue forze,
contribuisca al comune sostentamento, come già si vede in pratica specialmente
nelle famiglie dei contadini, e anche in molte di quelle degli artigiani e dei
piccoli commercianti; ma non bisogna che si abusi dell’età dei fanciulli né
della debolezza della donna. Le madri di famiglia prestino l’opera loro in casa
sopra tutto o nelle vicinanze della casa, attendendo alle faccende domestiche.
Che poi le madri di famiglia, per la scarsezza del salario del padre, siano
costrette ad esercitare un’arte lucrativa fuori delle pareti domestiche,
trascurando così le incombenze e i doveri loro propri, e particolarmente la
cura e l’educazione dei loro bambini, è un pessimo disordine, che si deve con
ogni sforzo eliminare.
Bisogna dunque
fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale che
basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Che se
nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la
giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima quelle mutazioni che
assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di
lode tutti quelli che con saggio e utile divisamento hanno sperimentato e
tentano diverse vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza
ai pesi della famiglia, che, aumentando questi, anche quella si somministri più
larga; e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie.
b. La
condizione dell’azienda
73.
Nello stabilire la quantità della mercede si deve tener conto anche dello stato
dell’azienda e dell’imprenditore di essa; perché è ingiusto chiedere esagerati
salari, quando l’azienda non li può sopportare senza la rovina propria e la
conseguente calamità degli operai. È però vero che se il minor guadagno che
essa fa è dovuto a indolenza, a inesattezza e a noncuranza del progresso
tecnico ed economico, questa non sarebbe da stimarsi giusta causa per diminuire
la mercede agli operai. Che se l’azienda medesima non ha tante entrate che
bastino per dare un equo salario agli operai, o perché è oppressa da ingiusti
gravami, o perché è costretta a vendere i suoi prodotti ad un prezzo minore del
giusto, coloro che così la opprimono si fanno rei di grave colpa; perché
costoro privano della giusta mercede gli operai; i quali, spinti dalla
necessità, sono costretti a contentarsi di un salario inferiore al giusto.
74.
Tutti adunque, e operai e padroni, in unione di forza e di mente, si adoperino
a vincere tutti gli ostacoli e le difficoltà, e siano aiutati in quest’opera
tanto salutare dalla sapiente provvidenza dei pubblici poteri. Che se poi il
caso fosse arrivato all’estremo, allora dovrà deliberarsi se l’azienda possa
proseguire nella sua impresa, o se sia da provvedere in altro modo agli operai.
Nel qual punto, che è certo gravissimo, bisogna che si stringa ed operi
efficacemente una certa colleganza e concordia cristiana tra padroni e operai.
c. La
necessità del bene comune
75.
Finalmente la quantità del salario deve contemperarsi col pubblico bene
economico. Già abbiamo detto quanto giovi a questa prosperità o bene comune,
che gli operai mettano da parte la porzione di salario, che loro sopravanza alle
spese necessarie, per giungere a poco a poco a un modesto patrimonio; ma non è
da trascurare un altro punto di importanza forse non minore e ai nostri tempi
affatto necessario, che cioè a coloro i quali e possono e vogliono lavorare, si
dia opportunità di lavorare. E questo non poco dipende dalla determinazione del
salario; la quale, come può giovare là dove è mantenuta tra giusti limiti, così
alla sua volta può nuocere se li eccede.
Chi non sa
infatti che la troppa tenuità e la soverchia altezza dei salari è stata la
ragione per la quale gli operai non potessero aver lavorato? Il quale
inconveniente, riscontratosi specialmente nei tempi del Nostro Pontificato in
danno di molti, gettò gli operai nella miseria e nelle tentazioni, mandò in
rovina la prosperità delle città e mise in pericolo la pace e la tranquillità
di tutto il mondo. È contrario dunque alla giustizia sociale che, per badare al
proprio vantaggio senza aver riguardo al bene comune, il salario degli operai
venga troppo abbassato o troppo innalzato; e la medesima giustizia richiede
che, nel consenso delle menti e delle volontà, per quanto è possibile il
salario venga temperato in maniera che a quanti più è possibile, sia dato di
prestare l’opera loro e percepire i frutti convenienti per il sostentamento
della vita.
76.
A ciò parimenti giova la giusta proporzione tra i salari; con la quale va
strettamente congiunta la giusta proporzione dei prezzi, a cui si vendono i
prodotti delle diverse arti, quali sono stimate l’agricoltura, l’industria e
simili. Coni la conveniente osservanza di queste cautele, le diverse arti si
comporranno e si uniranno come in un sol corpo, e come tra membra si
presteranno vicendevolmente aiuto e perfezione. Giacché allora l’economia sociale
veramente sussisterà e otterrà i suoi fini, quando a tutti e singoli i soci
saranno somministrati tutti i beni che si possono apprestare con le forze e i
sussidi della natura, con l’arte tecnica, con la costituzione sociale del fatto
economico; i quali beni debbono essere tanti quanti sono necessari sia a
soddisfare ai bisogni e alle oneste comodità, sia a promuovere tra gli uomini
quella più felice condizione di vita, che, quando la cosa si faccia
prudentemente, non solo non è d’ostacolo alla virtù, ma grandemente la
favorisce (cf. S. Th, De regimine principum, 1, 15; RN n. 27).
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