a) Relazioni
fra capitale e operai
101.
Orbene, Leone XIII adottò ogni mezzo per disciplinare questo ordinamento
economico, secondo le norme della rettitudine; sicché è evidente che esso non è
in sé da condannarsi. E infatti non è di sua natura vizioso: allora però viola
il retto ordine, quando il capitale vincola a sé gli operai, ossia la classe
proletaria, col fine e con la condizione di sfruttare a suo arbitrio e vantaggio
le imprese e quindi l’economia tutta, senza far caso né della dignità umana
degli operai, né del carattere sociale dell’economia, né della stessa giustizia
sociale e del bene comune.
102.
Vero è che neppure oggi è questo il solo ordinamento economico vigente in ogni
luogo; un’altra forma vi è che abbraccia ancora grande moltitudine di persone,
importante per numero e potere, quale, ad esempio, la classe degli agricoltori,
in cui la maggior parte del genere umano si procura con probo e onesto lavoro
quanto è necessario alla vita. Anche essa ha le sue angustie e le sue
difficoltà, alle quali allude il Nostro Predecessore in parecchi tratti della
sua enciclica e Noi pure in questa vi abbiamo più di una volta accennato.
b) Capitalismo
industriale
103.
Ma, l’ordinamento capitalistico dell’economia, col dilatarsi
dell’industrialismo per tutto il mondo, dopo l’enciclica di Leone XIII si è
venuto esso pure allargando per ogni dove, a tal punto da invadere e penetrare
anche nelle condizioni economiche e sociali di quelli che si trovano fuori
della sua cerchia, introducendovi in certo modo la sua impronta.
104.
Perciò quando invitiamo a studiare le trasformazioni che l’ordinamento
capitalistico dell’economia subì dopo il tempo di Leone XIII, non solamente
procuriamo il bene di coloro che abitano in paesi dominati dal capitale e
dall’industria, ma di tutto intero il genere umano.
c)
Concentrazione della ricchezza
105.
E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo
concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme,
di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente
neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui
essi però dispongono a loro grado e piacimento.
106.
Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il
danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del
sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così
dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno
respirare.
107.
Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica
della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà
di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più
violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.
108.
A sua volta poi la concentrazione stessa di ricchezze e di potenza genera tre
specie di lotta per il predominio: dapprima si combatte per la prevalenza
economica; di poi si contrasta accanitamente per il predominio sul potere
politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni
economiche; infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano
le loro forze e la potenza politica a promuovere i vantaggi economici dei
propri cittadini, o perché applicano il potere e le forze economiche a troncare
le questioni politiche sorte fra le nazioni.
d) Funeste
conseguenze
109.
Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi
quelle che voi stessi, venerabili Fratelli e diletti Figli, vedete e deplorate:
la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del
mercato è sottentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita
la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta
orribilmente dura, inesorabile, crudele. A ciò si aggiungono i danni gravissimi
che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri
dell’autorità pubblica con quelli della economia stessa: quale, per citarne uno
solo tra i più importanti, l’abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa
servo e docile strumento delle passioni e ambizioni umane, mentre dovrebbe
assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di
partito e intento al solo bene comune e alla giustizia. Nell’ordine poi delle
relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da
una parte il nazionalismo o anche l’imperialismo economico; dall’altra non meno
funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo
internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene.
e) I rimedi
110.
Ora, con quali mezzi si possa rimediare a un male così profondo, già l’abbiamo
indicato nella seconda parte di questa enciclica, dove ne abbiamo trattato di
proposito sotto l’aspetto dottrinale: qui ci basterà ricordare la sostanza del
Nostro insegnamento. Essendo dunque l’ordinamento economico moderno fondato
particolarmente sul capitale e sul lavoro, devono essere conosciuti e praticati
i precetti della retta ragione, ossia della filosofia sociale cristiana,
concernenti i due elementi menzionati e le loro relazioni. Così, per evitare
l’estremo dell’individualismo da una parte, come del socialismo dall’altra, si
dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e
sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro. Le
relazioni quindi fra l’uno e l’altro devono essere regolate secondo le leggi di
una esattissima giustizia commutativa, appoggiata alla carità cristiana. È
necessario che la libera concorrenza, confinata in ragionevoli e giusti limiti,
e più ancora che la potenza economica siano di fatto soggetti all’autorità
pubblica, in ciò che concerne l’ufficio di questa. Infine le istituzioni dei
popoli dovranno venire adattando la società tutta quanta alle esigenze del bene
comune, cioè alle leggi della giustizia sociale; onde seguirà necessariamente
che una sezione così importante della vita sociale, qual è l’attività
economica, verrà a sua volta ricondotta ad un ordine sano e bene equilibrato.
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