a)
Cristianizzazione della vita economica
135.
A una strage così dolorosa di anime, che durando farà cadere a vuoto ogni
sforzo di rigenerazione della società, non si può rimediare altrimenti se non
col ritorno manifesto e sincero degli uomini alla dottrina evangelica, ai
precetti cioè di Colui che solo ha parole di vita eterna, (cf. Mt 24,35) e
quindi parole tali che, passando cielo e terra, esse non passeranno mai (cf. Mt
6,33). Così quanti sono veramente sperimentati nelle cose sociali invocano con
ardore quella che chiamano perfetta "realizzazione" della vita
economica. Ma un tale ordinamento, che Noi pure ardentemente desideriamo e con
fervido studio promuoviamo, riuscirà incompleto e imperfetto, se tutte le forme
dell’attività umana amichevolmente non si accordano ad imitare ed a
raggiungere, per quanto è dato all’uomo, la meravigliosa unità del disegno
divino; quell’ordine perfetto, diciamo, che a gran voce la Chiesa proclama e la
stessa retta ragione richiede: che cioè le cose tutte siano indirizzate a Dio
come a primo supremo termine di ogni attività creata, e tutti i beni creati
siano riguardati come semplici mezzi, dei quali in tanto si deve far uso in
quanto conducono al fine supremo.
136.
Né si deve credere che perciò le professioni lucrative siano meno stimate
ovvero ritenute come poco conformi alla dignità umana. Al contrario, anzi, noi
impariamo a riconoscere in esse con venerazione la manifesta volontà del
Creatore, il quale ha posto l’uomo sulla terra perché la venga lavorando,
facendola servire alle sue molteplici necessità. Né si proibisce a quelli che
attendono alla produzione, l’accrescere nei giusti e debiti modi la loro fortuna;
anzi la Chiesa insegna essere giusto che chiunque serve alla comunità e
l’arricchisce con l’accrescere i beni della comunità stessa, ne divenga
anch’egli più ricco, secondo la sua condizione, purché tutto ciò si cerchi col
debito ossequio alla legge di Dio e senza danno dei diritti altrui e se ne
faccia un uso conforme all’ordine della fede e della retta ragione.
137.
Che se queste norme saranno da tutti, in ogni luogo e sempre mantenute, non
solamente la produzione e l’acquisto dei beni, ma anche l’uso delle ricchezze,
che ora si vede così spesso disordinato, verrà tosto ricondotto nei limiti
della equità e della giusta distribuzione. Così alla sordida cupidigia dei soli
interessi propri, che è l’obbrobrio e il grande peccato del nostro secolo, si
opporrà davvero e col fatto la regola, soavissima insieme ed efficacissima,
della moderazione cristiana, onde l’uomo deve cercare anzitutto il regno di Dio
e la sua giustizia, ritenendo per certo che i beni temporali gli saranno dati
per giunta, in quanto avrà bisogno, in forza della sicura promessa della
liberalità divina (Col 3,14).
b) Legge della
carità
138.
Se non che per assicurare appieno queste riforme è necessario che si aggiunga alla
legge della giustizia, la legge della carità la quale è il "vincolo della
perfezione" (Rm 12,5). Quanto dunque s’ingannano quei riformatori
imprudenti, i quali, solo curando l’osservanza della giustizia e della sola
giustizia commutativa, rigettano con alterigia il concorso della carità! Certo,
la carità non può essere chiamata a fare le veci della giustizia, dovuta per
obbligo e iniquamente negata. Ma quando pure si supponga che ciascuno abbia
ottenuto tutto ciò che gli spetta di diritto, resterà sempre un campo
larghissimo alla carità. La sola giustizia, infatti, anche osservata con la
maggiore fedeltà, potrà bene togliere di mezzo le cause dei conflitti sociali,
non già unire i cuori e stringere insieme le volontà.
139.
Ora tutte le istituzioni ordinate a consolidare la pace e promuovere il mutuo
soccorso tra gli uomini, per quanto sembrino perfette, hanno il loro precipuo
fondamento di sodezza nel legame vicendevole, delle volontà onde i soci vanno
uniti fra loro; e mancando questo, come spesso vediamo per esperienza, riescono
vane le migliori prescrizioni. Una vera intesa di tutti ad uno stesso bene
comune non potrà dunque aversi altrimenti che quando tutte le parti della
società sentano di essere membri di una sola grande famiglia e figli di uno
stesso Padre celeste, anzi di essere "un solo corpo in Cristo e membri gli
uni degli altri" (1Cor 12,26) in modo che "se un membro patisce,
patiscono insieme tutti gli altri" (cf. enc. Ubi arcano, 23 dic. 1922).
Allora soltanto i ricchi e gli altri dirigenti muteranno la primitiva loro
freddezza verso i loro fratelli più poveri, in calda e operosa affezione; ne
accoglieranno le giuste domande con volto benigno e cuore largo, e al bisogno,
ne perdoneranno anche cordialmente le colpe e gli errori. Gli operai poi, dal
loro canto, deposto sinceramente ogni sentimento di odio e di invidia, che i
fautori della lotta di classe sfruttano tanto astutamente, non solo non
disdegneranno il posto loro assegnato dalla Provvidenza divina nella società
umana, ma l’avranno anzi in gran pregio, perché ben consapevoli di cooperare
davvero utilmente e onoratamente, ciascuno secondo il proprio grado e ufficio,
al bene comune, e seguendo in ciò più da vicino gli esempi di Colui che,
essendo Dio, ha voluto essere sulla terra un operaio e stimato figlio di
operaio.
c) Difficoltà
dell’impresa
140.
Da questa nuova diffusione pertanto dello spirito evangelico nel mondo, che è
spirito di moderazione cristiana e di carità universale, sorgerà, speriamo,
quella piena e desideratissima restaurazione della umana società in Cristo e
quella pace di Cristo nel regno di Cristo a cui fin dall’inizio del Nostro
Pontificato abbiamo fermamente proposto di consacrare tutte le Nostre cure e la
Nostra pastorale sollecitudine (cf. At 20,28). E voi pure, venerabili Fratelli,
che insieme con Noi per mandato dello Spirito Santo governate la Chiesa di Dio,
(cf. Dt 31,7) con molto lodevole zelo allo stesso intento, come a cosa capitale
e al presente più necessaria che mai, indefessamente lavorate, in tutte quante
le parti del mondo, anche nei paesi delle sacre Missioni tra gl’infedeli. A voi
dunque siano date le meritate lodi, ed insieme con voi a quelli tutti, siano
chierici o laici, che vediamo con gioia esservi ogni giorno compagni e validi
cooperatori della stessa opera grandiosa. Diciamo i diletti figli Nostri
iscritti all’Azione Cattolica, i quali con particolare studio si occupano con
Noi della questione sociale, in quanto questa spetta e compete alla Chiesa, per
la sua stessa divina istituzione. E Noi li esortiamo tutti caldamente nel
Signore che non tralascino fatiche, non si lascino vincere da difficoltà, ma
crescano ogni giorno più nello zelo e nel vigore (cf. 2Tm 2,3).
Ardua, per certo,
è l’impresa che loro proponiamo, giacché ben sappiamo che da una parte e
dall’altra, sia tra le classi superiori come tra le inferiori della società, si
oppongono in gran numero ostacoli e difficoltà da superare; ma non perciò si
perdano essi di animo, né si lascino a nessun costo distogliere dal proposito.
L’affrontare aspre battaglie è proprio dei cristiani; sostenere gravi fatiche è
proprio di quelli che, quali buoni soldati di Cristo, lo seguono più da vicino
(cf. 1Tm 2,4).
141.
Fidati dunque nell’onnipotente aiuto di Colui che vuole salvi gli uomini tutti,
(cf. enc. Mens nostra, 20 dic. 1929.) procuriamo con tutte le forze di giovare
a quelle anime infelici, lontane da Dio, e distaccandole dalle cure temporali,
nelle quali troppo si avviluppano, insegniamo loro a volgere con fiducia il
desiderio alle cose eterne. Il che talvolta si otterrà più agevolmente di
quanto a prima vista non sembrava forse sperabile; poiché, se nell’intimo
dell’uomo anche più rotto all’iniquità si nascondono, come favilla sotto la
cenere, delle mirabili forze spirituali, testimoni non dubbi di quell’anima
naturalmente cristiana, quanto più nel cuore di tanti altri che furono indotti
in errore piuttosto per ignoranza e per le circostanze esteriori.
142.
Del resto, alcuni lieti indizi di sociale rinnovamento si presagiscono già
nelle stesse ordinate schiere degli operai, tra cui con somma Nostra
allegrezza, vediamo anche folti stuoli di giovani cattolici, i quali con
docilità ricevono le ispirazioni della grazia divina e con incredibile zelo si
studiano di guadagnare a Cristo i propri compagni. Né meritano minor lode i
capi delle associazioni operaie, i quali, posposti i propri interessi e
unicamente solleciti del bene dei propri compagni si sforzano di conciliare e
promuovere con prudenza le loro giuste rivendicazioni con la prosperità di
tutta la maestranza, né per qualsivoglia impedimento o aspetto si lasciano
rimuovere da questo nobile impiego. Che anzi vediamo pure in gran numero
giovani destinati o per ingegno o per ricchezze ad occupare tra poco un bel
posto tra i dirigenti della società, i quali si applicano con più intenso
studio alle questioni sociali, e danno liete speranze di dedicarsi un giorno
pienamente all’opera della restaurazione sociale.
d) La via da
seguire
143.
Le condizioni presenti, venerabili Fratelli, ci additano la via che occorre
tenere. Come in altre età della storia della Chiesa, noi dobbiamo lottare con
un mondo ricaduto in gran parte nel paganesimo. Ora per ricondurre a Cristo le
classi diverse di uomini che l’hanno rinnegato, è necessario anzitutto
scegliere nel loro seno e formare ausiliari della Chiesa, che ne comprendano lo
spirito e i desideri e sappiano parlare ai loro cuori con senso di fraterno
amore. I primi ed immediati apostoli degli operai devono essere operai;
industriali e commercianti, gli apostoli degli industriali e degli uomini di
commercio.
144.
A Voi soprattutto, venerabili Fratelli, e al vostro Clero spetta cercare con
diligenza, scegliere con prudenza, formare ed istruire con opportunità questa
schiera di laici apostoli, sia di operai come di padroni. Un’opera certamente
ardua s’impone ai sacerdoti, e per sostenerla, tutti quelli che crescono nelle
speranze della Chiesa, debbono venirsi preparando con lo studio assiduo delle
cose sociali. Ma soprattutto è necessario che quelli da Voi applicati in modo
particolare a questo ministero, si mostrino tali, cioè forniti da tanto
squisito senso di giustizia, da opporsi con una costanza del tutto virile alle
rivendicazioni esorbitanti ed alle ingiustizie, da qualunque parte vengano; è
necessario che siano segnalati per prudenza e discrezione lontana da qualsiasi
esagerazione; ma specialmente che siano intimamente compenetrati della carità
di Cristo, che sola vale a sottomettere con forza e soavità i cuori e le
volontà degli uomini alle leggi della giustizia e dell’equità. Questa è la via
già più di una volta raccomandata dal felice esito, e che ora si deve seguire
con ogni alacrità e senza titubanze.
145.
Quanto poi ai cari figli Nostri scelti ad un’opera così grande, vivamente li
esortiamo nel Signore a consacrarsi totalmente alla formazione delle anime loro
affidate; e nell’adempimento di questo ufficio il più sacerdotale ed
apostolico, con opportunità si avvalgano di tutti i mezzi più efficaci
dell’educazione cristiana, come istruzione della gioventù, istituzione di
cristiane associazioni, fondazioni di circoli di studio, conformi alla regola
della fede. Ma soprattutto facciano grande stima e applichino al bene dei loro
discepoli quel mezzo preziosissimo di rinnovamento individuale e sociale che
Noi abbiamo additato negli Esercizi spirituali con l’enciclica Mens Nostra.
Nella quale enciclica abbiamo esplicitamente ricordato e caldamente
raccomandato, con gli Esercizi a pro dei laici tutti, anche i Ritiri in specie
utilissimi per gli operai (cf. Mt 16,18). In questa scuola dello spirito
infatti non solo si formano gli ottimi cristiani, ma anche si addestrano i veri
apostoli per qualsiasi condizione di vita, riscaldandosi alla fiamma del Cuore
di Gesù Cristo. Da questa scuola, come gli Apostoli dal Cenacolo di Gerusalemme,
usciranno uomini fortissimi nella fede, di costanza invitta nelle persecuzioni,
ardenti di zelo e premurosi unicamente di propagare per ogni dove il regno di
Cristo.
146.
E certamente, ai nostri tempi più che mai si ha bisogno di tali valorosi
soldati di Cristo che si affatichino con tutte le forze a preservare la
famiglia umana dalla spaventosa rovina che la incoglierebbe, se, col disprezzo
degli insegnamenti del Vangelo, si lasciasse prevalere un ordine di cose che
conculcano le leggi della natura non meno che quelle di Dio. La Chiesa di
Cristo, edificata sulla pietra incrollabile, non ha nulla da temere per sé, ben
sapendo che le porte dell’inferno non prevarranno mai contro di essa; (cf. Lc
16,8) sicura com’è, per la prova dell’esperienza di tanti secoli, che dalle
tempeste anche più violente uscirà sempre più forte e gloriosa di nuovi
trionfi. Ma il suo cuore di madre non può non commuoversi ai mali innumerevoli
che queste tempeste accumulerebbero sopra migliaia di uomini, e soprattutto
agli enormi danni spirituali che ne sgorgherebbero a rovina di tante anime
redente dal sangue di Cristo.
147.
Tutto dunque deve essere tentato per distogliere la società umana da mali così
grandi. A ciò debbono tendere le nostre fatiche, a ciò le nostre cure e le
nostre continue e ferventi preghiere a Dio. Perché mediante il soccorso della
grazia divina noi abbiamo in mano la sorte della famiglia umana.
148.
Non permettiamo dunque, venerabili Fratelli e diletti Figli, che i figliuoli di
questo secolo si mostrino più accorti, nel loro genere, di noi i quali per
divina bontà siamo i figliuoli della luce (cf. Fil 2,21). Noi infatti vediamo
con quale meravigliosa sagacia si adoperino a scegliersi aderenti operosi e
formarseli atti a diffondere sempre più largamente i loro errori fra tutte le
classi e in tutte le parti del mondo. Quando poi prendono ad impugnare la
Chiesa di Cristo, li vediamo mettere a tacere le varie loro interne dissensioni
e costituire come un solo concorde esercito per raggiungere con l’unione delle
forze il comune intento.
e) Unione e
cooperazione di tutti i buoni
149.
Ora, nessuno certamente ignora a quante e quanto grandi opere si estenda
dappertutto l’indefesso zelo dei cattolici, sia in ordine al bene sociale ed
economico, sia in materia scolastica e religiosa. Ma questa azione mirabile e
faticosa non di rado perde di efficacia per la troppa dispersione delle forze.
Si uniscano dunque tutti gli uomini di buona volontà quanti sotto la guida dei
Pastori della Chiesa amano di combattere questa buona e pacifica battaglia di
Cristo; e tutti, sotto la guida ed il magistero della Chiesa, secondo il genio,
le forze, la condizione di ciascuno, cerchino di contribuire in qualche misura
a quella cristiana restaurazione della società, che Leone XIII auspicò con
l’immortale enciclica Rerum novarum; non mirando a se stesso e agli interessi propri,
ma a quelli di Gesù Cristo; (Ap 5,13) non pretendendo di imporre le proprie
idee, comunque belle ed opportune esse sembrino, ma mostrandosi disposti a
rinunziarvi per il bene comune, affinché in tutto e soprattutto Cristo regni,
Cristo imperi, e al quale "sia lode, onore, gloria e potere nei secoli (RN
n. 15).
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