1.
Il genere
umano sentì sempre il bisogno di avere dei sacerdoti, degli uomini cioè che per
missione ufficiale loro affidata fossero i mediatori tra Dio e gli uomini, e a
questa mediazione interamente consacrati, ne facessero il compito della loro
vita: deputati ad offrire a Dio pubbliche preghiere e sacrifici a nome della
società, che pur essa, in quanto tale, ha l’obbligo di rendere a Dio culto
pubblico e sociale, di riconoscere in Lui il suo supremo Signore e primo
principio, tendere a Lui come ad ultimo fine, ringraziarlo, propiziarlo.
Difatti presso i popoli, di cui conosciamo gli usi, purché non costretti dalla
violenza ad andar contro le leggi più sacre della natura umana, si trovano dei
sacerdoti, quantunque spesso al servizio di false divinità: dovunque si
professa una religione, dovunque si ergono altari, là vi è anche un sacerdozio,
circondato da speciali mostre di onore e di venerazione.
2. Ma ai fulgori
della rivelazione divina il sacerdote apparisce rivestito di una dignità di
gran lunga maggiore, della quale è lontano annuncio la misteriosa, veneranda
figura di Melchisedek, sacerdote e re (Gen 14,18) che San Paolo rievoca con
riferimento alla persona e al sacerdozio di Gesù Cristo stesso (Eb 5,10; 6,20;
7,1-11.15).
3. Il sacerdote,
secondo la magnifica definizione che ne dà lo stesso San Paolo, è bensì un uomo
"preso di mezzo agli uomini", ma "costituito a vantaggio degli
uomini per i loro rapporti con Dio" (Eb 5,1): il suo ufficio non ha per
oggetto le cose umane e transitorie, per quanto sembrino alte e pregevoli, ma
le cose divine ed eterne; cose, che possono essere per ignoranza derise e
disprezzate, che possono anche venire osteggiate con malizia e furore
diabolico, come una triste esperienza lo ha spesso provato e la prova pur oggi,
ma che stanno sempre al primo posto nelle aspirazioni individuali e sociali
dell’umanità, la quale sente irresistibilmente di essere fatta per Iddio e di
non potersi riposare se non in Lui.
4. Nella legge
mosaica al sacerdozio, istituito per disposizione divino-positiva promulgata da
Mosè sotto l’ispirazione di Dio, vengono minutamente assegnati i compiti, le
mansioni, i riti determinati. Sembra che Dio nella sua sollecitudine volesse
nella mente ancora primitiva del popolo ebreo imprimere una grande idea
centrale che, nella storia del popolo eletto, irradiasse la sua luce su tutti
gli avvenimenti, le leggi, le dignità, gli uffici: il sacrificio e il
sacerdozio; perché, per la fede nel futuro Messia, diventasse fonte di
speranza, di gloria, di forza, di liberazione spirituale (cf. Eb 11). Il tempio
di Salomone, mirabile per ricchezza e splendore e ancor più mirabile ne’ suoi
ordinamenti e ne’ suoi riti, eretto all’unico vero Dio come tabernacolo della
divina Maestà sulla terra, era pure un altissimo poema cantato a quel
sacrificio e a quel sacerdozio, che, quantunque ombra e simbolo, racchiudevano
tanto mistero da far inchinare riverente il vincitore Alessandro Magno davanti
alla ieratica figura del Sommo Sacerdote ; e Dio stesso faceva sentire l’ira
sua all’empio re Baldassare, perché gozzovigliando aveva profanato i vasi sacri
del tempio (cf. Dn 5,1-30). Eppure quell’antico sacerdozio non traeva la sua
più grande maestà e gloria se non dall’essere una prefigurazione del sacerdozio
cristiano, del sacerdozio del nuovo ed eterno Testamento confermato col Sangue
del Redentore del mondo, di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo!
5. L’Apostolo
delle Genti scultoriamente compendia quanto si può dire intorno alla grandezza,
alla dignità e ai compiti del sacerdozio cristiano, con queste parole:
"Così ci consideri ognuno come ministri di Cristo e dispensatori dei
misteri di Dio" (1Cor 4,1). Il sacerdote è ministro di Gesù Cristo; è
dunque strumento nelle mani del divin Redentore per la continuazione dell’opera
sua redentrice in tutta la sua mondiale universalità e divina efficacia, per la
continuazione di quell’opera mirabile che trasformò il mondo; anzi il
sacerdote, come ben a ragione si suol dire, è davvero alter Christus perché
continua in qualche modo Gesù Cristo stesso: "Come il Padre ha mandato me,
anch’io mando voi" (Gv 20,21), continuando anch’esso come Gesù a dare,
secondo il canto angelico, "gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in
terra agli uomini di buona volontà" (Lc 2,14).
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