28.
Eppure, non è forse possibile che ci siano conflitti tra l’autorità del
superiore e la coscienza del religioso, " questo santuario, in cui l’uomo
è solo con Dio ed in cui la sua voce si fa intendere "? È necessario
ripeterlo: la coscienza non è da sola l’arbitra del valore morale delle azioni
che ispira, ma deve riferirsi a norme oggettive e, se è necessario, deve riformarsi
e rettificarsi.
Fatta eccezione per un ordine che fosse manifestamente contrario alle leggi
di Dio o alle costituzioni dell’istituto, o che implicasse un male grave e
certo - nel qual caso infatti l’obbligo di obbedire non esiste -, le decisioni del
superiore riguardano un campo, in cui la valutazione del bene migliore può
variare secondo i punti di vista. Il voler concludere, dal fatto che un ordine
dato appaia oggettivamente meno buono, che esso è illegittimo e contrario alla
coscienza, significherebbe misconoscere, in una maniera poco realistica,
l’oscurità e l’ambivalenza di non poche realtà umane. Inoltre, il rifiuto di
obbedienza porta con sé un danno, spesso grave, per il bene comune. Un
religioso non dovrebbe ammettere facilmente che ci sia contraddizione tra il
giudizio della sua coscienza e quello del suo superiore. Questa situazione
eccezionale qualche volta comporterà un’autentica sofferenza interiore,
sull’esempio di Cristo stesso " che imparò mediante la sofferenza che cosa
significa obbedire ".
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