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| Ioannes Paulus PP. I Udienza del 23 Settembre 1978 IntraText CT - Lettura del testo |
1. La seconda lettura6 adatta ai fedeli di Roma. L'ha scelta, come ho detto, il Maestro delle cerimonie. Confesso che parlando essa di obbedienza, mi mette un po' in imbarazzo. È così difficile, oggi, convincere, quando si mettono a confronto i diritti della persona umana con i diritti dell'autorità e della legge! Nel libro di Giobbe viene descritto un cavallo da battaglia: salta come una cavalletta e sbuffa; scava con lo zoccolo la terra, poi si slancia con ardore; quando la tromba squilla, nitrisce di giubilo; fiuta da lungi la lotta, le grida dei capi e il clamore delle schiere.7 Simbolo della libertà. L'autorità, invece, rassomiglia al cavaliere prudente, che monta il cavallo e, ora con la voce soave, ora lavorando saggiamente di speroni, di morso e di frustino, lo stimola, oppure ne modera la corsa impetuosa, lo frena e lo trattiene. Mettere d'accordo cavallo e cavaliere, libertà e autorità, è diventato un problema sociale. Ed anche di Chiesa. Al Concilio s'è tentato di risolverlo nel quarto capitolo della «Lumen Gentium». Ecco le indicazioni conciliari per il «cavaliere»: «I sacri pastori, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune».8 Ed ancora: sanno anche, i pastori, che «nelle battaglie decisive è talvolta dal fronte che partono le iniziative più indovinate».9 Ecco, invece, un'indicazione del Concilio per il «generoso destriero» cioè per i laici: al vescovo «i fedeli devono aderire come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre».10 Preghiamo che il Signcre aiuti sia il vescovo che i fedeli, sia il cavaliere che i cavalli. M'è stato detto che nella diocesi di Roma sono numerose le persone che si prodigano per i fratelli, numerosi i catechisti; molti anche aspettano un cenno per intervenire e collaborare. Che il Signore ci aiuti tutti a costituire a Roma una comunità cristiana viva e operante. Non per nulla ho citato il capitolo quarto della «Lumen Gentium»: è il capitolo della «comunione ecclesiale». Quanto detto, però, riguarda specialmente i laici. I sacerdoti, i religiosi e le religiose, hanno una posizione particolare, legati come sono o dal voto o dalla promessa di obbedienza. Io ricordo come uno dei punti solenni della mia esistenza il momento in cui, messe le mie mani in quelle del vescovo, ho detto: «Prometto». Da allora mi sono sentito impegnato per tutta la vita e mai ho pensato che si fosse trattato di cerimonia senza importanza. Spero che i sacerdoti di Roma pensino altrettanto. Ad essi ed ai religiosi S. Francesco di Sales ricorderebbe l'esempio di S. Giovanni Battista, che visse nella solitudine, lontano dal Signore, pur desiderando tanto di essergli vicino. Perché? Per obbedienza; «sapeva - scrive il santo - che trovare il Signore all'infuori dell'obbedienza significava perderlo».11