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Leon Battista Alberti
Apologi ed elogi

IntraText CT - Lettura del testo

  • Intercenali. Libro decimo.
    • Argomenti del decimo libro.
      • Le nuvole.
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Le nuvole.

 

Nella precedente generazione dei nostri padri l'Italia era solita avvalersi in guerra, in difformità dall'antica usanza degli antenati, non di cittadini, ma di soldati mercenari e di armi straniere. Questo (se non mi inganno) avveniva per un accorto disegno, in quanto essi ritenevano più conveniente opporre al furore delle armi uomini che si vendono e sono d'infima condizione, anziché provare la fortuna della guerra con pericolo e disagio dei cittadini. Forse volevano anche evitare che il soldato latino usasse le armi per condurre la patria alla rovina. Il che, in verità, è avvenuto. Infatti, poiché nemici assidui, mossi dalla speranza di vittoria e dalla brama di preda, hanno taglieggiato in Italia popolazioni prospere e pacifiche la gioventù italiana a poco a poco si è sentita attratta dal richiamo delle armi. Essendo la gente italica fiera e nata per comandare subito sorsero qua e per tutta l'Italia innumerevoli condottieri, dotati di tanto coraggio e superbi per la gloria di tante imprese, che ciascuno di loro non badava alla vittoria e ai trionfi. ma principalmente al potere e non riteneva piena la vittoria se non riusciva a tenere sotto la sua giurisdizione coloro che aveva superato. Perciò, dal momento che questi ritengono bellissimo governare e le libere città non servire a nessuno e, non trascurando nulla gli uni per acquisire il potere, le altre per difendere la libertà, da una parte e dall'altra sorsero tante discordie, che non solo gli uomini, ma anche gli dei se ne stupirono moltissimo. Pertanto da Giove ottimo massimo, a cui sempre fu a cuore la pace degli uomini, fu mandato Mercurio, messaggero degli dei, affinché chiedesse cosa significassero tanti apparati militari in ogni parte d'Italia. Presi i talari, il dio, volando verso le Alpi, si fermò in quel luogo da dove poteva vedere Gallia e Etruria e qui depose i talari e lasciò l'aspetto divino per mescolarsi meglio tra i mortali. Subito gli si accostarono le Nuvole e, fatta corona, salutarono assai familiarmente il dio; di esse infatti era solito servirsi Mercurio per le sue operazioni.

"Certo", disse Mercurio, "siete venute a proposito; suppongo che potrete liberarmi dalle preoccupazioni con cui sono venuto. Voi che, di grazia, sovrastate le città giorno e notte, ditemi la ragione, poiché potete facilmente saperlo, per cui in ogni angolo gli uomini impugnano tante armi?". Allora le nuvole: "Sappi, o Mercurio," dissero "che Plutone ha una figlia, probabilmente nota agli stessi dei, il cui nome è Ambizione; il suo aspetto è così bello che la desiderano ardentemente molti giovani nobili e non pochi patrizi. Ma la fanciulla è mutevole e petulante e gode moltissimo di uno stuolo di corteggiatori e promette a tutti, a suo capriccio, ciò che essi desiderano da lei. Perciò chi spasima d'amore è sempre pronto a riverirla con ogni opera, cura, attenzione, assiduità e ostacola e vanifica in tutti i modi possibili le speranze e le attese dei rivali. Tra loro, quindi, sono nate liti, odio, risse; e a causa dei conflitti di parte si è arrivati al punto che hanno deciso di scontrarsi in assetto di guerra".

Mercurio, avendo compreso la situazione, disse: "Veramente la donna è la rovina degli uomini; da essa sempre sono derivate contese, dissidi e ogni calamità nelle cose pubbliche e private". E mentre si accingeva a tornare da Giove, chiese se mai le nuvole volessero qualcosa da lui. Allora le nuvole dissero: "O Mercurio, ci hai detto proprio quello che ci aspettavamo. Infatti per la tua benignità verso di noi, come speriamo, non rifiuterai di patrocinare una causa giusta e santa, e nient'affatto difficile. Ti preghiamo e ti supplichiamo di farlo. Questo è l'oggetto della causa. Sai, o Mercurio, che non siamo affatto di umile stirpe. Nate infatti e dalla Terra e da Giunone, è, pensiamo, noto a tutti che siamo state di sicuro generate da Febo. Quanto sia modesta e tranquilla la nostra vita non è necessario dirtelo, essendo una cosa arcinota. E allora? Non è forse un'offesa che i fuochi abbiano come dimora l'Etna e per re Vulcano e i venti riempiano grandi e vari spazi e per molte contrade si aggirino sotto la guida di Nettuno tanto che scorazzano per tutto l'etere, il mare, i monti e infine per tutta la terra? Noi, invece, innocue, stabili nel nostro lavoro, non abbiamo l'onore di un re, non siamo protette da leggi; anzi (condizione molto amara), sempre raminghe e fuggiasche siamo agitate, tanto che non ci è mai consentito di fermarci, mai di riposare in tranquillità. Sempre alimenteremo l'ombra con le nostre lacrime? Noi forniamo la rugiada e il nutrimento ai semi, affinché diventino maturi e dolci frutti, di cui si nutrono le vittime degli dei e gli uomini, delizia dei celesti. I venti scalzano i fiori e con le inondazioni sconvolgono il campo coperto di erbe; i fuochi devastano le messi mature. Non è giusto trattenerti più a lungo con i nostri moniti, dal momento che sei saggio e ci accorgiamo che hai fretta di ritornare da Giove. Ti preghiamo soltanto di perorare questa causa della nostra salvezza e dignità, se la giudicherai onesta e non indegna del tuo amore verso di noi. Ma vogliamo convincerti, o Mercurio, che niente di più gradito può esserci dato da te quanto ottenere con la tua collaborazione questo giusto favore che gli dei possono facilmente compiere. Desideriamo l'onore di un re e il possesso di una patria dopo il lungo esilio, per poter qualche volta venerare in pace gli dei con devota religiosità. Non rifiutiamo nessuna sede e nessun re, purché dignitoso. Se grazie a te, Mercurio, si realizzeranno, come speriamo, i nostri desideri, ti accorgerai che saremo memori e riconoscenti del tuo benevole aiuto".

Allora Mercurio disse: "Voglio arrecarvi onori e vantaggi; ma spetta a voi considerare se in questa faccenda vi giovi di più che Mercurio sia avvocato delle nuvole presso i celesti o piuttosto consigliere di Giove; con questi cercherò di orientare in modo per voi soddisfacente il senato degli dei". Fu deciso allora che i messaggeri partissero assieme a Mercurio. Raccontano che Giove corrugò la fronte per un po' dopo avere ascoltato la loro perorazione e le loro richieste. Quindi dopo aver taciuto per qualche istante pieno di pensieri, congedò i legati delle nuvole con questa risposta: gli dei decidono che le nuvole abbiano un re e un regno a loro scelta. Tuttavia per andare ancor più incontro ai desideri delle nuvole, senza offesa per nessuno, delegava il compito di scegliere un re adatto agli dei e degno di stima al parlamento delle nuvole. Stando così le cose, le fece riunire in comizio, con la speranza di convincerle che da parte degli dei non sarebbero mancate sedi e onori per il re proclamato.

Perciò da ogni contrada le nuvolette segretarie volano ad accogliere le nubi nobili, grandissime e barbute, per indire i reali comizi. Eccole, quindi, le candidate, dall'aspetto meditabondo, nobile, contegnoso; ciascuna, reclamizzando i suoi disegni e i suoi programmi, era pronta ad esercitare il potere e a promulgare le leggi. Erano inoltre piene di tanta arroganza che, accantonate le solite bestie da tiro, si fecero trasportare da animali più rari, dall'idra, dall'ippocentauro, dalla belva di Lerna e da simili mostri. Affermano che al padre Febo fosse odiosa la boria e la superbia delle nuvole; ed egli, non sopportando il loro sussiego, girò il viso, ma le nuvole, quando giunsero a mucchi presso la cima, con insopportabile ostentazione di dignità e di maestà, con voce grave e sonora, e tuttavia soffocata e cupa, oppure sorda, si salutarono tra loro e appena furono ammesse tutte le classi ai comizi centuriati, è incredibile a dirsi con quanta premura ciascuna si precipitò a occupare tutti i seggi. Avresti potuto udir crescere la loro voce grave e rauca, e dopo di ciò scoppiare in grandissimi clamori; quindi per l'aspra contesa delle parti, si cominciò a ricorrere alla forza; le candidate, in preda alla furia, posato il mantello sul braccio, usarono pietre e fiaccole come armi. Non si può dire la paura che arrecò ai mortali e agli dei il conflitto, il fragore e il fracasso dei contendenti. I fiumi si gonfiarono per il sangue delle nuvole; i monti e i templi degli dei tremarono di sgomento e di paura. Non c'è dubbio che anche gli dei restarono attoniti e sospesi come se crollassero le fondamenta del cielo. Dicono che solo Giove con la fronte placida e serena, emesso un sospiro, sorrise dopo tanto agitarsi delle nuvole e a chi lo interrogava disse che non a caso aveva consigliato alle nuvole di accordarsi tra di loro per l'elezione di un re. Sapeva che l'indole delle nuvole è sconsiderata e malvagia e che, quando sono gonfie di superbia, con gran boria e supponenza scelgono un comportamento capriccioso e volubile. Aveva inconfutabile prova della loro sconsiderata arroganza, oltre che da altri particolari, proprio del fatto che esse desideravano un re e una sede per il loro regno. Se lo avessero ottenuto e avessero saputo orientare la forza, i progetti, la volontà, i desideri al comune onore, non sarebbe stato senza dubbio lontano il giorno in cui, nella loro illimitata tracotanza, avrebbero tentato di assalire gli astri, la luna e lo stesso sole. La cosa più augurabile era di stroncare la loro insolenza. Infatti coloro che hanno una parvenza di virtù o di vizio facilmente si radunano tra loro; e vediamo con quanta familiarità vivono insieme i beoni, i ghiottoni, i femminieri, i biscazzieri, i ladri, i banditi, i sicari, gli assassini e altri scellerati di questa risma; solo il superbo sdegna e odia il superbo simile a lui e chiunque al superbo è meno fastidioso del superbo. L'indole dei superbi è tale che essi sono sempre tra di loro molesti e ostili.

 

 




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