Ci fu in Etruria, come ho appreso dai nostri antenati,
un tempio di grande nobiltà e bellezza dedicato alla dea Tosse, oggetto di
antichissimo culto e degno, per il suo aspetto, dell'universale ammirazione; in
esso non infrequentemente si celebravano sacrifici e festività di grande
rinomanza a cui partecipavano tutti i vicini. Questo tempio sarebbe durato sino
ai giorni nostri se non fosse clamorosamente crollato per una circostanza
inaudita e straordinaria. Infatti accadde che le pietre, che giacevano come
fondamenta del tempio, spinte dal vano desiderio di novità, tennero tra loro
simili discorsi: "Che facciamo, fannullone? Siamo gettate in questa
perenne servitù e mai sarà possibile liberarci dall'immane fardello al quale
siamo sottoposte? Dovremo sempre sopportare quelle pietre insolenti e inerti
che gravano sulle nostre spalle? Cosa sarebbe accaduto, se esse fossero
arrivate prima in questo luogo? E se avessero occupato prima delle altre questa
dimora? E se ad esse fosse stato anticamente prescritto il possesso di questo
suolo che è stato assegnato a noi? Che offesa è questa? Le pietre nuove e
straniere si trovano alla luce del sole? Chi è tanto vile da sopportare a lungo
questo stato? Quelle, indolenti e inutili, sono ornate di corone d'oro; noi che
con la nostra fatica e il nostro vigore assicuriamo la salvezza e l'incolumità
di questo tempio, siamo sempre imbrattate e insudiciate dal fango e dal
muschio. Resteremo per sempre neglette e ignobili, mentre quelle vengono
baciate e abbracciate da fanciulle leggiadre e fresche? Riscattiamoci da questa
vergogna passando alla gloria della forza e dell'onore. Saliamo con animo forte
e audace e avanziamo, come meritiamo, nell'alta e celebre sede del
tempio". Con l'animo acceso da queste parole, si affrettarono ad eseguire
il loro disegno. Ma si erano appena sollevate per muoversi che tutto il tempio
rovinò da ogni parte con grande fragore. Per questo gli artigiani spezzarono
alcune pietre, ma soprattutto quelle delle fondamenta, in parte per farne
calce, in parte, dopo averle tolte dal luogo sacro, per pavimentare il condotto
della cloaca. Accortesi di quel che era accaduto, le pietre che erano state la
causa di tanta disgrazia si addolorarono dei disastri e delle sciagure che
coinvolgevano se stesse e le altre. E mentre si lamentavano, non smettevano di
ammonirsi l'un l'altra: è pazzo chi non vuole essere quello che è; è dovere
dell'uomo prudente non detestare la posizione che gli ha dato la sorte; si deve
piuttosto sopportare la vecchia norma, anche scomoda ed ingiusta, anziché con
nuove leggi precipitare te e gli altri in un male grave e forse estremo.
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