Un uomo onesto e buono, atterrito da un elefante
irritato contro di lui, era salito nella fuga su un alto albero, da cui,
assediato dalla bestia ostile, con molte e appropriate parole chiedeva la
grazia di venire risparmiato, poiché non gli aveva arrecato nessuna offesa.
Comprendendo che tutte le sue preghiere erano inefficaci nei confronti della
bestia, scoraggiato e senza speranza di salvezza, cominciò con molte preghiere
a chiedere l'aiuto degli dei. Per caso sullo stesso albero aveva il suo nido un
ragno, che, in quel momento era impegnato, secondo il suo solito, a tessere la tela.
Distratto dall'arrivo dell'uomo, avendo osservato la situazione provocata
dall'odiosa violenza, mosso sia dalla pietà verso l'infelice che rischiava di
essere ucciso, sia dall'odio per la crudeltà e l'implacabile ostinazione
dell'elefante, per un po' desistette dalla sua opera e si accostò all'uomo:
"Mio caro, finchè sono qui, ti invito a stare
tranquillo. Infatti, anche se tu mi vedi piccolo e debole e insignificante, ti
accorgerai che, con l'aiuto degli dei, la mia opera ti sarà utilissima contro
le offese. Gli dei detestano l'atroce e spietata caparbietà nell'offendere.
Asseconderò gli dei vendicatori e protettori, portando soccorso alla tua vita
con lealtà e devozione. In questa contesa la pietà vincerà la crudeltà e, non
dubitare, il nostro operato avrà ragione della spietata ferocia di questa
belva. Con l'aiuto e la protezione degli dei ti assicuro che, senza alcun
dubbio, renderemo vano lo scellerato proposito dell'abominevole
avversario". Queste furono le parole del ragno. L'uomo allora: "Non
credo che tu possa aver concepito tanto coraggio nel vendicare il delitto e nel
permettere così alte imprese senza una celeste ispirazione. E giustamente si
deve credere che non sarà considerato mai piccolo e spregevole chi possiede in
sé un così grande sentimento di pietà e di misericordia, o piuttosto uno
spirito religioso; anzi, in così grande pericolo, mi sarà molto gradito di
essere legato da vincoli di gratitudine nei tuoi confronti. Infatti, perché tu
capisca da quali sentimenti io sia animato nei tuoi riguardi, in qualunque modo
accada che io possa tornare incolume dai miei, questo solo ti prometto in
cambio del tuo grande beneficio: per sempre, finché vorrai, la mia casa ti
offrirà ospitalità. Avrai in comune con me la cassetta del pane e la cella di vino
e ogni cibo che ho a casa mia".
Entrambi furono d'accordo nel sottoscrivere questa buona
regola di vita. Disse il ragno: "Pace e prosperità a tutti e due; sarò tuo
ospite, contento di un angolo qualsiasi della tua casa. Ora speriamo di
salvarci dal presente pericolo e assecondiamo gli dei vendicatori delle offese,
per quanto ci è possibile. Non si può dire facilmente quanto coraggio e
speranza mi dia una causa giusta a santa. Sii forte contro la paura. Con il mio
ingegno e le mie forze ti farò vedere come ti sono amico nella tua causa e
provvedo a te".
Dopo aver rincuorato con queste parole l'uomo pieno di
terrore, si avvicinò all'elefante e cominciò a parlare: "Dimmi la ragione
di quest'ira che non ti fa cessare di perseguitare con il tuo odio un essere inerme
e debole? Perché disprezzi le preghiere di un infelice? Se tu ti mostrassi
crudele ed inesorabile senza aver subìto un'offesa, direi, col tuo permesso,
che abusi della tua grandezza e della forza per le quali emergi tra gli altri
animali. Perseguitare un innocente ed un infelice con iroso accanimento, non è
proprio di chi vuole essere considerato grande ed eminente. Se invece dici di
aver patito offesa, non devi forse avere una misura nella vendetta non
compiendo, per odio dell'altrui ingiustizia, atti che ti facciano sembrare
empio ed inesorabile? Se è vero che i magnanimi si comportano abitualmente con
rettitudine e moderazione, giustificandosi di essere scesi in combattimento
solo in nome della giustizia; se persino i forti e gli invincibili ritengono un
onore non tanto scendere in lizza, quanto soprattutto superare un nemico
spietato e molesto; se coloro che sono per naturale inclinazione disposti alla
gloria e alla lode, non godono dei mali dei nemici, ma piuttosto della propria
vittoria, finisci allora, o elefante, la contesa con l'uomo e vantati di avere
vinto. Chi infatti si mostra supplichevole, chi si affida alle tue preghiere,
chi infine prega piangendo che tu lo risparmi, con le sue dichiarazioni, ti
offre un'occasione veramente importante affinché tu aggiunga alla gloria della
forza e della vittoria anche la lode della mansuetudine e della clemenza. Se tu
la sfrutterai e non la terrai lontana dalla tua fortuna o piuttosto dalla tua
virtù, farai comprendere a tutti che tu unisci a mitezza alla forza, la pietà e
la misericordia alla giustizia. Se la forza esercitata contro il malvagio
consiste solo nel superare in valore un avversario molesto e accanito, fino a
reprimere l'arroganza e la boria, tu hai già quel che alla forza è dovuto: hai
vinto, hai castigato a sufficienza l'avversario, non gli hai lasciato altra
speranza di salvezza se non la tua clemenza, nella quale bisognoso e avvilito
si rifugia. Non sei forse vincitore di chi è diventato tuo? Costui è certamente
tuo, dal momento che da te dipende la sua salvezza. Io penso che si addica alla
tua fama desiderare la morte piuttosto che la salvezza di chi è tuo. Durante
quest'assedio e questa attesa di un'incerta vittoria, vorrei che tu
considerassi nella tua immensa saggezza cosa ti conviene e ti piace, affinché,
per il desiderio di annientare un infelice, tu non perda oltre il lecito tempo
prezioso e giorni utili in cui potresti lodevolmente svolgere attività
onorevoli e degne di te. In altro momento, contro un nemico spietato, che
combatte con te con la forza e non con le preghiere e le lacrime, mostrerai con
più grande gloria la forza del tuo animo. Ora invece darai ascolto alla
misericordia e alla pietà con tuo insigne e grande onore; infatti sarai lodato
o per aver risparmiato un colpevole o, almeno, per non esserti mostrato molesto
verso un innocente. Il tuo modo di vendicarti sia tale che con la severità si
possa conciliare la passione del vincitore; e sia proprio di colui,
soprattutto, la cui generosità d'animo aborre da ogni meschina crudeltà, se non
ci inganniamo, tanto da considerare vergognoso disprezzare le preghiere di un
misero supplice. Se le cose stanno così, ti muova la pietà, ti muova il senso
del dovere, ti muovano le mie preghiere e le lacrime di questo povero reietto,
che non ha niente per liberarsi dalla calamità se non le lacrime, nessun
rimedio trova per alimentare la sua speranza, se non la certezza che non manca
in te la benevolenza, la mansuetudine, la benignità degne della tua grandezza.
E crede che tu non voglia inutilmente derogare dal tuo compito di principe
giusto. Non devi trascurare che se a noi, così come siamo, diventerai amico con
affettuoso vincolo, credi a me, che l'elefante non patirà danno ad essersi
fatto amico il ragno".
Queste parole del ragno avevano suscitato meraviglia
nell'elefante, in quanto un animale tanto piccolo e di nessun pregio osava
parlare con tanta franchezza al cospetto di uno degli animali più grandi ed
eccelsi; l'elefante cominciò invece ad arrabbiarsi quando lo spregevole ragno,
il più imbelle degli animali, lo ammonì a non considerare vergognoso il legame
di amicizia con lui. Perciò, pieno di indignazione, agitando la proboscide in
segno di scherno disse: "Pensi che gli dei ci sono così ostili, dal
momento che dobbiamo stringere alleanza con il ragno?". Molte altre cose
aggiunse con i gesti e con il viso, mostrando di disapprovare l'insolenza del
ragno. Il ragno, mal sopportando quell'arroganza e quella boria, deplorò
l'offesa che l'elefante gli faceva. E questo, oltre che per altre ragioni,
soprattutto perché quello si mostrava oltre il lecito duro e inesorabile verso
chi aveva fatto ricorso alla sua clemenza. Perciò disse che, da parte sua, solo
con l'ultimo respiro avrebbe abbandonato una causa giusta e santa contro un
essere empio e crudele; e invocava la testimonianza e la protezione degli dei
per dire che non spontaneamente, ma malvolentieri era diventato nemico
dell'elefante, se si deve chiamare inimicizia piuttosto che difesa del diritto
e della giustizia quell'atteggiamento che può essere accantonato solo dopo aver
ottenuto la vittoria e domato la superbia.
Dicono che, dopo aver udito ciò, l'elefante con la testa
reclinata e un piede sollevato verso il basso, guardò dall'alto il ragno e
disse: "Davvero noi, da cui questo principe degli animali, l'uomo, è
fuggito lontano terrorizzato, dovremmo risparmiare te che minacci con le lunghe
zampette. Che cosa può la follia?". Quindi rivolto all'uomo così lo
provocò: "O tu che sei dimentico del tutto della tua stirpe e della tua nobiltà,
è per te tanto dolce e gradevole poter vivere che non ritieni vergognoso e
contrario alla tua fama implorare la fede e l'aiuto di questa vilissima
bestiolina? Se considerassi poco importanti gli altri pretesti che ho per
distruggerti, questo solo mi dovrebbe spingere a perseguitarti con il mio odio
più implacabile per terra e per mare: l'avere contratto per paura un'indecente
e turpe amicizia con il ragno. Chiamo perciò a testimoni gli dei: finché mi
resta la vita, finché lo spirito regge le mie forze, non cesserò di assediarti,
o uomo, oppure strapperò dalla radice quest'albero e tutto proverò per odio di
questa tua viltà, per ridurre in mio potere te che sei il più pigro e il più
vigliacco degli t esseri".
E mentre l'elefante proclamava che così sarebbe stato e
soppesava indeciso le sue risorse, dopo aver fatto molti vani tentativi con
forza e l'astuzia per realizzare il suo disegno, dicono che il ragno
approfittando dell'occasione, di nascosto, scivolando su un filo si introdusse
nell'orecchio della bestia e perforò ripetutamente con il molesto aculeo quella
parte tenera e molle del corpo dell'elefante. La bestia tormentata da questo
pungolo, già prima fuori di sé per l'ira e più furibonda per il nuovo fastidio,
dopo averle provate tutte per ammazzare il ragno, comprendendo che in quella
faccenda tutti i suoi tentativi erano vani, sconvolto dal dolore che provava,
correndo all'impazzata scorazzava per tutta la selva, come se fuggisse davanti
ad emissari degli dei; e poi sfinito cadde supino con grande fracasso; saputo
che la bestia era caduta, l'uomo da una parte, il ragno dall'altra, provvidero
a darsi alla fuga.
|