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Di che essendo già Leonora d'anni
quindici, e andando il dì di Santo Giovanni a vedere la festa, e ritrovandosi
Ippolito, il quale era d'anni diciotto, ancora lui in Santo Giovanni, gli venne
risguardata la fanciulla, la quale per ventura guardava lui. E siccome si scontraro
con gli occhi, si punsono il cuore d'amoroso disire in tale maniera che, prima
si partissino quivi dal tempio, l'uno dell'altro fortemente s'innamorò. E più
volte feritosi insieme con la coda dell'occhio, si dimostraro il loro amore
essere parimente equale, non conoscendo però lui lei né lei lui. Di che
partendosi Leonora con la sua compagnia, Ippolito la seguitava assai
onestamente un poco di lontano, intanto che lui conobbe lei essere figliuola
del loro capitale inimico. La fanciulla allo entrare di casa si voltò
celatamente, e guardando il giovane, con un amoroso inchino pigliata licenza
dalle sue care compagne, se n'andò in casa, e fattasi alla finestra, vedendo
Ippolito, domandò una sua vicina chi lui fusse. Intese come lui era figliuolo
di messer Bondelmonte Bondelmonti; della qual cosa ella assai ne fu dolente e
grama, e partita dalla finestra, se n'andò in camera dolendosi della fortuna. E
quanto più era impossibile il vedersi spesso, tanto maggiormente cresceva
l'amore d'ogni parte, per modo che la infelice Leonora alcuna volta rinchiusa
in camera sola, lamentandosi dell'amore diceva: «O iniqua e crudelissima
fortuna, nemica d'ogni piacere, come sofferisci tu che tante pene in me
alberghi e riposi? Perché non umili tu li cuori delli nostri padri? Perché
quello amore che è in fra noi, non è in fra loro? O dispietata sorte! O duro
caso! Perché tanta asprezza, perché tanta crudeltà ne' cuori delli nostri
padri! Perché l'antiqua inimicizia, perché le antique discordie nacquero mai in
fra gli nostri passati? Perché non s'estinguono, che tanto fuoco quanto il mio
almeno si pascesse del vedere?». E in simili e altre dolorose parole la
valorosa fanciulla e la notte e 'l giorno con le lacrime consumava.
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