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A queste parole il valoroso
Ippolito, rivolti verso la madre gli suoi occhi: «Madre mia, - diss'egli, - se
io credessi che altra persona che voi né in vita né dopo la morte avesse a
sapere quello che io vi dirò, certo io mi tacerei. Ma perché spero che voi mi
terrete secreto, v'avviso come alla mia salute non è altro riparo, perché se io
non veggio Leonora de' Bardi, la mia vita sarà brevissima». La madre con tutto
il caso gli paresse arduo e difficile, pure per confortare il figliuolo disse:
«Non dubitare, che io provvederò al tuo fatto in buono modo». E partitasi dal
figliuolo incontanente se n'andò ad un monasterio, dove stavano monache,
chiamato Monticelli, al cui governo era una abadessa, sorella della madre di
Leonora, donna assai benigna e graziosa. E quivi, benché le inimicizie fussino
fra' loro parenti, fu dall'abadessa lietamente ricevuta; dove dopo molti
ragionamenti ella aperse il suo cuore all'abadessa, e narrandogli il caso la
pregava di consiglio e d'aiuto. L'abadessa, la quale era di natura umile,
benigna e grandemente pietosa, con buone parole s'ingegnò di confortare l'affannata
madre, e infine disse com'ella deliberava di dare modo alla salute d'Ippolito,
e che quanto il suo onore patisse, lui vedrebbe Leonora a suo diletto. Di
questo molto si confortò la donna, alla quale l'abadessa disse: «Dite ad
Ippolito che si conforti e che attenda a guarire bene, e che domenica sera
venga qua da me, che al fatto suo vedrà il rimedio che io gli troverò». La
donna, ritornata a casa, fece ad Ippolito l'ambasciata dell'abadessa; il quale
confortatosi molto, in brievi giorni tutto si riebbe.
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