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Leon Battista Alberti
Istorietta amorosa fra Leonora De' Bardi e Ippolito Bondelmonti

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Leonora dolente più che mai altra fusse, conoscendo quivi non essere tempo da piangere, come furiosa discese la scala, e quivi aspettava che Ippolito arrivasse dinanzi alla sua porta. E quando Ippolito fu a riscontro, ed ella si gittò fuori della porta, e prese la briglia del cavallo dov'era il cavaliere, dicendo: «Fino che la vita mi starà in corpo, tu non menerai Ippolito alla morte la quale lui non ha meritato». E quivi scapigliata, lasciato il cavallo, gittò le sue braccia sopra il collo dell'amato Ippolito. Il cavaliere stupefatto del caso, vedendo la condizione del giovine e della fanciulla, cominciò a divenire timido e dubbioso che partito lui dovesse pigliare. La Signoria di Firenze, intesa la novità del caso, comandò che li giovani fussino menati dinanzi alli Signori. E quivi menato Ippolito legato con la corda intorno alla gola, e Leonora scapigliata, tutta piena di lacrime innanzi a tutto 'l popolo disse: «Niuno si maravigli, eccelsi Signori, di quello che io ho fatto, perché conoscendo io la manifesta e aperta ingiustizia, non solo ad Ippolito, il quale è mio legittimo sposo e marito, ma a ciascuna strana persona arei io fatto questo che io ho fatto a lui, però che, siccome a difensione della giustizia ciascuno debb'essere coadiutore, così a propulsione dell'ingiustizia ogni uomo debbe essere defensore. Quello che io ho difeso iuxta il mio potere è Ippolito, el quale è qui. Io non aiuto già un malfattore, anzi uno innocente; non aiuto uno strano, anzi il mio sposo, il quale non sono molti giorni in uno onestissimo luogo mi tolse per sua donna, e la notte che lui fu preso, veniva alla casa mia per consumare il matrimonio lecitamente. E poiché per la maledetta nimicizia paterna non si poteva fare la cosa palese comodamente, bisognava che di notte si facesse, e su quella scala, con la quale lui diceva, per salvare il mio onore, che lui andava a furare, esso doveva salire per la finestra della camera mia e venire a me. Ora, Signori, voi avete inteso il caso. Ippolito è mio marito, e se per andare a dormire con la sua donna si merita le forche, certo lui le merita; se no, io vi domando ragione, e che voi mi rendiate il mio sposo. Altrimenti io appello a Dio e al mondo, chiamando vendetta di tanta ingiustizia, pregando Iddio che con giusti occhi risguardi le vostre inique sentenze e malvagi giudici».




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