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Nel frattempo la dea Fama,
lasciato perdere Ercole, si era diretta verso la vicina sede di Giove, nella
sua smania di curiosare. Gli dèi, atterriti dal suo aspetto tremendo e
minaccioso, si agitarono per tutto il cielo, e quelli che poco prima avevano
storto il naso per l'arrivo di Ercole, adesso pensavano non solo che era un
grosso vantaggio che fosse arrivato, ma che avrebbe dovuto esser richiamato da
laggiù se non ci fosse stato, anzi, sostenevano che era loro precipuo interesse
combattere con alla testa proprio lui contro certi mostri straordinari e così
spaventosi. Viene perciò consegnata ad Ercole la clava di ferro di Giove, opera
di Vulcano, per scacciare con essa la Fama mostruosa che andava curiosando per
tutti i recessi divini. Così armato Ercole muove allo scontro. Fama decise di
non starsene certo lì ad aspettare un avversario così ben armato e gagliardo, e
si lanciò a precipizio dalla sommità del cielo; nella sua caduta urlava con
strilli acuti: «Quelli come me, nati da esseri divini, respinti dal cielo ancor
prima che ci vedessero, sono cacciati senza colpa in basso, sulla terra dei
mortali; e i peggiori criminali fra i mortali si fregiano di armi divine, e in
cambio di tanti oltraggi ecco cosa ci tocca, che proprio chi ci ha colpito sia
ammesso nel numero degli dèi».
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