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Dopo questa copiosa ed elegante
dissertazione Momo, ormai vecchia puttana, aggiunse sospirando col volto
compunto: «Ma che stiamo facendo? Andatevene, dèe, degne del cielo, tornate
alla vostra beatitudine e lasciate questo sventurato, infelicissimo esule
nell'abiezione e nello squallore; lasciatemi vivere nel dolore e nella
solitudine e sopportare la sventura che mi opprime e mi distrugge, perché è
così grande che non si può aggiungere nient'altro alla mia infelicità». Le dèe
allora, mosse a pietà, lo consolarono a lungo; poi si misero Momo nel mezzo e
se lo portarono in cielo. Quando Momo giunse al cospetto di Giove, continuando
a far la parte del lecchino, abbracciò le ginocchia del re e chiese perdono e
clemenza con parole ben misurate, ma non fu accolto da Giove con la benevolenza
che avrebbe desiderato. Il fatto è che Giove era gonfio di rabbia nei confronti
di Febo, quindi era preso dal problema di rimproverare Febo più che da quello
di ricevere gli omaggi di Momo. Ma il povero Momo, all'oscuro del fatto, si
abbatté completamente, pensando che si mettesse male fin dall'inizio; non
sapendo a che santo votarsi, credeva di essere stato trascinato come un
imputato davanti alla corte il giorno del processo, e cominciava a prepararsi
la difesa per salvare la pelle, cercando il genere di discorso con cui
scrollarsi di dosso la colpa per i suoi crimini, e ad abbozzare dentro di sé
gli argomenti pietosi e strappalacrime coi quali rabbonire Giove. In questo
frattempo torna Mercurio, che era stato mandato da Giove a indagare, e
riferisce che Febo si sarebbe presentato in persona di lì a poco: non era come
volevano insinuare le calunnie dei suoi nemici, che si fosse fatto trattenere
dalle grazie di Aurora, né che non avesse voluto fare il suo dovere per
superbia, ma gli era piombata addosso una massa enorme di voti, e questo gli
aveva impedito di salire secondo la tradizione al castello reale di Giove per
porgere i dovuti omaggi al re, come fanno gli dèi tutti i giorni. Allora Giove
si rasserenò; poi disse, rivolto a Momo: «Questi tuoi voti, Momo, ci
sommergeranno, se non ci si dà una regolata!»; poi rimase zitto per un po'.
Questa frase di Giove fece subito sorgere nella mente di Momo l'ipotesi di aver
provocato un certo scompiglio coi suoi voti, e ciò fece tanto piacere a quel
tipo così smanioso di novità che non poté fare a meno di dimenticare la sua
tristezza e manifestare la gioia che gli nasceva dentro. Si agitava tutto per
lo splendido esito tanto desiderato delle sue trame, e diceva tra sé: «Mi vada
pure a finir male, basta che abbia combinato qualche danno quassù, come mi
sembra!».
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