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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO SECONDO.
      • -9-
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-9-

 

Dopo questa copiosa ed elegante dissertazione Momo, ormai vecchia puttana, aggiunse sospirando col volto compunto: «Ma che stiamo facendo? Andatevene, dèe, degne del cielo, tornate alla vostra beatitudine e lasciate questo sventurato, infelicissimo esule nell'abiezione e nello squallore; lasciatemi vivere nel dolore e nella solitudine e sopportare la sventura che mi opprime e mi distrugge, perché è così grande che non si può aggiungere nient'altro alla mia infelicità». Le dèe allora, mosse a pietà, lo consolarono a lungo; poi si misero Momo nel mezzo e se lo portarono in cielo. Quando Momo giunse al cospetto di Giove, continuando a far la parte del lecchino, abbracciò le ginocchia del re e chiese perdono e clemenza con parole ben misurate, ma non fu accolto da Giove con la benevolenza che avrebbe desiderato. Il fatto è che Giove era gonfio di rabbia nei confronti di Febo, quindi era preso dal problema di rimproverare Febo più che da quello di ricevere gli omaggi di Momo. Ma il povero Momo, all'oscuro del fatto, si abbatté completamente, pensando che si mettesse male fin dall'inizio; non sapendo a che santo votarsi, credeva di essere stato trascinato come un imputato davanti alla corte il giorno del processo, e cominciava a prepararsi la difesa per salvare la pelle, cercando il genere di discorso con cui scrollarsi di dosso la colpa per i suoi crimini, e ad abbozzare dentro di sé gli argomenti pietosi e strappalacrime coi quali rabbonire Giove. In questo frattempo torna Mercurio, che era stato mandato da Giove a indagare, e riferisce che Febo si sarebbe presentato in persona di a poco: non era come volevano insinuare le calunnie dei suoi nemici, che si fosse fatto trattenere dalle grazie di Aurora, né che non avesse voluto fare il suo dovere per superbia, ma gli era piombata addosso una massa enorme di voti, e questo gli aveva impedito di salire secondo la tradizione al castello reale di Giove per porgere i dovuti omaggi al re, come fanno gli dèi tutti i giorni. Allora Giove si rasserenò; poi disse, rivolto a Momo: «Questi tuoi voti, Momo, ci sommergeranno, se non ci si una regolata!»; poi rimase zitto per un po'. Questa frase di Giove fece subito sorgere nella mente di Momo l'ipotesi di aver provocato un certo scompiglio coi suoi voti, e ciò fece tanto piacere a quel tipo così smanioso di novità che non poté fare a meno di dimenticare la sua tristezza e manifestare la gioia che gli nasceva dentro. Si agitava tutto per lo splendido esito tanto desiderato delle sue trame, e diceva tra sé: «Mi vada pure a finir male, basta che abbia combinato qualche danno quassù, come mi sembra!».




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