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Giove, sentendo che i filosofi
erano esaltati in quel modo dal cielo intero, fu preso da un indescrivibile
desiderio di parlare personalmente con loro. Anzi, se non l'avesse trattenuto
il timore di accumulare nuovi motivi d'invidia oltre ai vecchi, probabilmente
avrebbe preso volentieri la decisione di cooptare le consorterie di filosofi
tra gli dèi del cielo, per aumentare l'onore del parlamento divino con la luce
emanante da tanti chiarissimi gentiluomini, e consolidare la sua posizione di
preminenza grazie ai consigli del fior fiore dei saggi. Prevalse però la
considerazione che lui non era certo abituato ad avere al suo fianco gente a
cui c'era poco da comandare, anzi c'era da ubbidire, data la loro serietà
veramente ragguardevole, e che bisogna circondarsi soprattutto di persone da
cui ci si sente rispettati e temuti, non di tipi da trattare coi guanti. Egli
inoltre respingeva quelli che gli potevano insegnare ad operare rettamente,
mentre preferiva dare il suo favore a quelli che non respingevano mai i suoi
ordini. Alla luce di questi ragionamenti, passava un sacco di tempo a
riflettere su chi dei suoi mandare a consultare i filosofi: la sua ricerca gli
fece toccar con mano quanto se la passasse male, visto che tra tanti suoi
cortigiani non se ne poteva trovare uno a cui affidare un incarico così
rappresentativo. Osservò con rammarico che tutti i suoi erano talmente rozzi e
impreparati da essere completamente digiuni di studi superiori: non conoscevano
una sola cosa degna dell'uomo, a parte quelle che avevano imparato con una
lunga pratica di sottomissione: essere al loro posto a palazzo reale in grande
eleganza, stare impalati vicino al principe, ricevere le visite tirando fuori
un sacco di salamelecchi, raccontare storielle, leccare i piedi, intrattenere a
vuoto; gli veniva quasi voglia di toglierseli di torno tutti quanti! Però
riteneva tutt'altro che conveniente ai suoi scopi scegliere elementi nuovi di
cui non conosceva bene la personalità. Quindi, per non doversi affidare alla
discrezione altrui soprattutto in una faccenda come quella, che avrebbe voluto
coprire col segreto di Stato, decise di metter via l'abbigliamento regale e di
raggiungere da solo, in incognito, i filosofi, per consultarli, ma anche per
poterli vedere da vicino. Prima però, volendo apprendere generalità,
caratteristiche particolari e domicilio dei filosofi più importanti,
s'intrattenne un pezzo con Momo e, gettando l'esca con lunghissime chiacchiere,
riuscì a prendere all'amo qualche notizia utile. Nel corso di questa
conversazione Momo tirò fuori dal petto i suoi blocchetti di appunti e li porse
a Giove dicendo: «Per la fedeltà e l'amore che ti porto, Giove, ho ritenuto mio
dovere dedicare un po' del mio impegno, nei limiti delle mie capacità, al
successo della tua politica: ho tentato perciò di approfondire problemi che
ritenevo riguardassero da vicino l'altezza del tuo potere. Tu, quando avrai
tempo, potrai prender visione delle mie riflessioni in questi quaderni su cui
le ho riportate, a patto che tu voglia accettare come pegno di fedeltà anche
tutte quelle osservazioni che non ti convincono».
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