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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO TERZO.
      • -5-
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-5-

 

Giove, sentendo che i filosofi erano esaltati in quel modo dal cielo intero, fu preso da un indescrivibile desiderio di parlare personalmente con loro. Anzi, se non l'avesse trattenuto il timore di accumulare nuovi motivi d'invidia oltre ai vecchi, probabilmente avrebbe preso volentieri la decisione di cooptare le consorterie di filosofi tra gli dèi del cielo, per aumentare l'onore del parlamento divino con la luce emanante da tanti chiarissimi gentiluomini, e consolidare la sua posizione di preminenza grazie ai consigli del fior fiore dei saggi. Prevalse però la considerazione che lui non era certo abituato ad avere al suo fianco gente a cui c'era poco da comandare, anzi c'era da ubbidire, data la loro serietà veramente ragguardevole, e che bisogna circondarsi soprattutto di persone da cui ci si sente rispettati e temuti, non di tipi da trattare coi guanti. Egli inoltre respingeva quelli che gli potevano insegnare ad operare rettamente, mentre preferiva dare il suo favore a quelli che non respingevano mai i suoi ordini. Alla luce di questi ragionamenti, passava un sacco di tempo a riflettere su chi dei suoi mandare a consultare i filosofi: la sua ricerca gli fece toccar con mano quanto se la passasse male, visto che tra tanti suoi cortigiani non se ne poteva trovare uno a cui affidare un incarico così rappresentativo. Osservò con rammarico che tutti i suoi erano talmente rozzi e impreparati da essere completamente digiuni di studi superiori: non conoscevano una sola cosa degna dell'uomo, a parte quelle che avevano imparato con una lunga pratica di sottomissione: essere al loro posto a palazzo reale in grande eleganza, stare impalati vicino al principe, ricevere le visite tirando fuori un sacco di salamelecchi, raccontare storielle, leccare i piedi, intrattenere a vuoto; gli veniva quasi voglia di toglierseli di torno tutti quanti! Però riteneva tutt'altro che conveniente ai suoi scopi scegliere elementi nuovi di cui non conosceva bene la personalità. Quindi, per non doversi affidare alla discrezione altrui soprattutto in una faccenda come quella, che avrebbe voluto coprire col segreto di Stato, decise di metter via l'abbigliamento regale e di raggiungere da solo, in incognito, i filosofi, per consultarli, ma anche per poterli vedere da vicino. Prima però, volendo apprendere generalità, caratteristiche particolari e domicilio dei filosofi più importanti, s'intrattenne un pezzo con Momo e, gettando l'esca con lunghissime chiacchiere, riuscì a prendere all'amo qualche notizia utile. Nel corso di questa conversazione Momo tirò fuori dal petto i suoi blocchetti di appunti e li porse a Giove dicendo: «Per la fedeltà e l'amore che ti porto, Giove, ho ritenuto mio dovere dedicare un po' del mio impegno, nei limiti delle mie capacità, al successo della tua politica: ho tentato perciò di approfondire problemi che ritenevo riguardassero da vicino l'altezza del tuo potere. Tu, quando avrai tempo, potrai prender visione delle mie riflessioni in questi quaderni su cui le ho riportate, a patto che tu voglia accettare come pegno di fedeltà anche tutte quelle osservazioni che non ti convincono».




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