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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO TERZO.
      • -6-
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-6-

 

Giove prese i quaderni ma, congedato Momo, non li aprì nemmeno e li buttò in un angolo del suo studio senza badarci più di tanto; poi si preparò a partire, tutto pieno di eccitazione. Alla fine, però, dovette pentirsi amaramente d'aver fatto un simile pellegrinaggio: infatti, appena giunto sulla terra capitò nell'Accademia e vi trovò una quantità di strani personaggi che giravano di qua e di perlustrando tutti gli angoli, come se stessero cercando un ladro che si era nascosto la notte. Vedendoli in preda a tanta agitazione Giove si stupì e rimase fermo all'ingresso dell'istituto. Ma poi, quando vide che tenevano tra le dita certe lucciolette a luce rossa e le usavano come lanterne nella penombra, attaccò a ridere, finché uno dei ricercatori non lo interruppe dicendo: «Ehi, bel tomo, sei venuto anche tu a cercare il nostro Giove dei filosofi!». «A cercare chi?» domandò Giove; e quelli subito: «Platone, il prodigio di natura! Siamo sicuri che si trova qui in istituto, ma non sappiamo dove trovarlo. Qualche volta abbiamo avuto la sensazione di sentire la sua voce, e a volte ci è parso anche di avere la sua faccia sotto gli occhi; ma lui, nisba! Un momento… Dov'è la tua lucciola?». A queste parole Giove cominciò a sospettare e a spaventarsi, pensando che quelli , di cui s'era messo in testa che sapevano tutto, anche le cose più occulte, potevano svergognarlo con quella messinscena, rinfacciandogli di aver celato così male il sacro distintivo divino che si capiva chiaramente di essere di fronte a un dio, anche se non lo si poteva riconoscere abbastanza chiaramente. Perciò andò via di , cominciando già a brontolare per l'idea di partire che gli era venuta. A un tratto, passando per un vicolo, notò in un cantuccio un tale che si rotolava dentro una botte puzzolente che era tutta un rottame, sbadigliando con la bocca a voragine; avvicinandosi a guardare con meraviglia l'uomo raggomitolato nella botte, gli fece casualmente ombra. Allora quel tipo chiuso dentro gli fece certi occhiacci e lo apostrofò con una voce spaventosa: «Levati dai piedi, curioso che non sei altro! Visto che non mi puoi dare il sole, almeno non me lo togliere!». A questo punto Giove, irritato dalla scontrosità di quel rifiuto umano, si dimenticò per la rabbia della sua missione segreta ed esclamò: «Io ti posso dare il sole eterno e te lo posso togliere quando mi pare!». Appena quello ebbe sentito, tirò fuori la testa dalla botte come una tartaruga e cominciò a gridare: «Accorrete paesani, venite qua!», finché non si radunò di corsa un mucchio di operai; allora aggiunse: «Afferrate questo qua, è Giove! Fategli riempire di sole i vostri bassi e le vostre baracche!». Allora Giove, ricordando le disavventure di Momo e della dea Virtù, si aspettava qualsiasi colpo basso da quella massa di arroganti che lo circondava, e pensava che se la sarebbe cavata a buon mercato se avesse pagato la sua assurda decisione perdendo mezza barba e basta. Ma uno di quelli che si erano raccolti intorno, un padre di famiglia, gran brava persona, vedendolo atterrito e tutto tremante disse: «Forestiero, lascia perdere questo filosofo cinico che fa la vita che si merita, dato che ha deciso di non tenersi nient'altro che la possibilità di insultare e dar morsi a tutti». Ma Giove, appena seppe che quello era un filosofo, aggiunse naturalmente un nuovo motivo di sospetto alla fifa che aveva, pensando di essere stato riconosciuto di nuovo. Pensò quindi che fosse la cosa migliore filarsela di corsa alla larga da tutto quel popolino accalcato.




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