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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO TERZO.
      • -14-
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Giove, pieno di speranza, aspettava le calende con grande eccitazione. Quando queste arrivarono, gli dèi si radunarono a frotte, tutti contenti, nell'atrio della reggia, come facevano di solito in tali ricorrenze, e stavolta anche in attesa del suo discorso, però Apollo non si vedeva proprio: allora Giove era per crollare dallo sgomento. I Fati, che avevano il compito di badare ai fuochi sacri, si stavano già preparando a eseguire il cerimoniale. Dalla parte opposta c'era una folla fittissima di dèi che chiedevano a Giove di tenere quel famoso discorso che era il principale motivo per cui erano venuti. Lui non se la sentiva di affrontare un pubblico così ansioso, dato che non aveva preparato neanche qualche appunto, però pensava che non fosse conforme alla serietà di un principe, e nemmeno tanto conveniente, mettersi sotto i piedi il suo stesso decreto che fissava il discorso: si rendeva conto di come fosse importante per Giove non esser minimamente considerato volubile e incostante, e di quanto convenga ai governanti far quadrare tutti i loro conti, per così dire, se vogliono dormire fra due guanciali, sicuri d'aver preso decisioni giuste ed equilibrate. Quindi, per dar qualcosa da fare a quegli dèi impazienti, creando magari un po' di confusione, in modo da intrattenerli per un po' distraendoli da quella faccenda per lui così complicata, ordina ai Fati di dare inizio alla cerimonia: lui sarebbe arrivato subito e avrebbe pensato a sbrigare tutto il resto. Ecco dunque i Fati in alta uniforme, impettiti con una mano alle porte, passare in rassegna le file di dèi e di dèe che entravano, e ravvivare a tutti i celesti le fiammelle sacre che, come s'è detto, stanno alla sommità della loro testa in segno di divinità. Intanto Giove, mentre cerca di far passare il tempo chiuso in una stanza appartata, piomba in fondo alla depressione. Alla fine esce, più per far qualcosa che sapendo cosa fare, ed entra nel sacro parlamento. Allora, terminata la cerimonia rituale secondo le sacre tradizioni antiche, i parlamentari divini cominciano a rendere omaggio a Giove, e intanto si comincia a notare l'assenza di Apollo, in pratica l'unico assente fra tutte le più alte personalità: anzi, c'era chi iniziava a irritarsi per quella mancanza di riguardo. Giove non poteva giustificare l'assente, ma nemmeno sopportare con calma quelli che lo accusavano: perplesso più che mai, cercava di prender tempo in tutti i modi. Alla fine ebbe l'idea di nominare Momo presidente dell'assemblea, non perché lo ritenesse degno di tanto onore, ma per far vedere a certi dèi sfacciati e presuntuosi che lui aveva tutte le buone intenzioni di favorire quelli che imparavano a non pretendere di dare ordini, ma ad essere accondiscendenti e ossequiosi. Gli ordina allora di far entrare in sala le diverse classi di dèi, di far sedere tutti al loro posto e di farsi suo portavoce davanti all'adunanza, riferendo che Giove desiderava che le sue azioni e i suoi progetti incontrassero la massima approvazione generale, perciò aveva deciso di regolarsi secondo le preferenze di tutti, nessuno escluso, per quanto gli era possibile; di conseguenza, prima di manifestare la sua decisione voleva accertarsi se c'era qualcosa che essi intendevano conservare di quell'enorme massa che era il mondo, per trasferirla integralmente nella nuova realizzazione, o se preferivano buttar giù tutto quanto riducendolo ai minimi termini. Giove voleva che sull'intera questione si aprisse un dibattito franco ed aperto, in cui ciascuno avesse la massima libertà di esprimere le proprie opinioni su quello che riteneva più conveniente tanto nell'interesse personale quanto in quello generale: egli non sarebbe stato presente alla seduta per una scelta di opportunità, volendo evitare che gli dèi di condizione inferiore e quelli non avvezzi a parlare in pubblico s'intimidissero per la presenza del re e magari si sentissero impacciati a manifestare le proprie impressioni. Questa delega fu all'origine di grosse grane impreviste. Forse Momo, acuto e sveglio com'era, aveva il presentimento di quello che sarebbe accaduto, ma non aveva il coraggio d'infastidire Giove dandogli nuovamente consigli, dopo che gli aveva già prestato la sua consulenza per iscritto su quei famosi quaderni; tuttavia era convinto che si dovesse in qualunque modo toglier di testa a Giove quella sua smania di voler cambiare il mondo. Disse perciò: «Giove, potresti dirmi per cortesia se hai letto il manoscritto che hai avuto da me qualche giorno fa?». «Ne parliamo dopo», fece Giove «ora pensa alle cose urgenti». Giove non si ricordava nemmeno che gli fosse stato dato un manoscritto.




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