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Giove, pieno di speranza,
aspettava le calende con grande eccitazione. Quando queste arrivarono, gli dèi
si radunarono a frotte, tutti contenti, nell'atrio della reggia, come facevano
di solito in tali ricorrenze, e stavolta anche in attesa del suo discorso, però
Apollo non si vedeva proprio: allora Giove era lì lì per crollare dallo
sgomento. I Fati, che avevano il compito di badare ai fuochi sacri, si stavano
già preparando a eseguire il cerimoniale. Dalla parte opposta c'era una folla
fittissima di dèi che chiedevano a Giove di tenere quel famoso discorso che era
il principale motivo per cui erano venuti. Lui non se la sentiva di affrontare
un pubblico così ansioso, dato che non aveva preparato neanche qualche appunto,
però pensava che non fosse conforme alla serietà di un principe, e nemmeno
tanto conveniente, mettersi sotto i piedi il suo stesso decreto che fissava il
discorso: si rendeva conto di come fosse importante per Giove non esser
minimamente considerato volubile e incostante, e di quanto convenga ai governanti
far quadrare tutti i loro conti, per così dire, se vogliono dormire fra due
guanciali, sicuri d'aver preso decisioni giuste ed equilibrate. Quindi, per dar
qualcosa da fare a quegli dèi impazienti, creando magari un po' di confusione,
in modo da intrattenerli per un po' distraendoli da quella faccenda per lui
così complicata, ordina ai Fati di dare inizio alla cerimonia: lui sarebbe
arrivato subito e avrebbe pensato a sbrigare tutto il resto. Ecco dunque i Fati
in alta uniforme, impettiti con una mano alle porte, passare in rassegna le
file di dèi e di dèe che entravano, e ravvivare a tutti i celesti le fiammelle
sacre che, come s'è detto, stanno alla sommità della loro testa in segno di
divinità. Intanto Giove, mentre cerca di far passare il tempo chiuso in una
stanza appartata, piomba in fondo alla depressione. Alla fine esce, più per far
qualcosa che sapendo cosa fare, ed entra nel sacro parlamento. Allora,
terminata la cerimonia rituale secondo le sacre tradizioni antiche, i
parlamentari divini cominciano a rendere omaggio a Giove, e intanto si comincia
a notare l'assenza di Apollo, in pratica l'unico assente fra tutte le più alte
personalità: anzi, c'era chi iniziava a irritarsi per quella mancanza di
riguardo. Giove non poteva giustificare l'assente, ma nemmeno sopportare con
calma quelli che lo accusavano: perplesso più che mai, cercava di prender tempo
in tutti i modi. Alla fine ebbe l'idea di nominare Momo presidente
dell'assemblea, non perché lo ritenesse degno di tanto onore, ma per far vedere
a certi dèi sfacciati e presuntuosi che lui aveva tutte le buone intenzioni di
favorire quelli che imparavano a non pretendere di dare ordini, ma ad essere
accondiscendenti e ossequiosi. Gli ordina allora di far entrare in sala le
diverse classi di dèi, di far sedere tutti al loro posto e di farsi suo
portavoce davanti all'adunanza, riferendo che Giove desiderava che le sue
azioni e i suoi progetti incontrassero la massima approvazione generale, perciò
aveva deciso di regolarsi secondo le preferenze di tutti, nessuno escluso, per
quanto gli era possibile; di conseguenza, prima di manifestare la sua decisione
voleva accertarsi se c'era qualcosa che essi intendevano conservare di
quell'enorme massa che era il mondo, per trasferirla integralmente nella nuova
realizzazione, o se preferivano buttar giù tutto quanto riducendolo ai minimi
termini. Giove voleva che sull'intera questione si aprisse un dibattito franco
ed aperto, in cui ciascuno avesse la massima libertà di esprimere le proprie
opinioni su quello che riteneva più conveniente tanto nell'interesse personale
quanto in quello generale: egli non sarebbe stato presente alla seduta per una
scelta di opportunità, volendo evitare che gli dèi di condizione inferiore e
quelli non avvezzi a parlare in pubblico s'intimidissero per la presenza del re
e magari si sentissero impacciati a manifestare le proprie impressioni. Questa
delega fu all'origine di grosse grane impreviste. Forse Momo, acuto e sveglio
com'era, aveva il presentimento di quello che sarebbe accaduto, ma non aveva il
coraggio d'infastidire Giove dandogli nuovamente consigli, dopo che gli aveva
già prestato la sua consulenza per iscritto su quei famosi quaderni; tuttavia
era convinto che si dovesse in qualunque modo toglier di testa a Giove quella
sua smania di voler cambiare il mondo. Disse perciò: «Giove, potresti dirmi per
cortesia se hai letto il manoscritto che hai avuto da me qualche giorno fa?».
«Ne parliamo dopo», fece Giove «ora pensa alle cose urgenti». Giove non si
ricordava nemmeno che gli fosse stato dato un manoscritto.
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