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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO TERZO.
      • -16-
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Finalmente, su richiesta dell'assemblea, prese la parola per primo Saturno, con una voce così impacciata, parole così rade e movimenti così stanchi che il suo si sarebbe detto un tentativo di discorso più che un discorso: pochi riuscirono ad afferrare qualcosa di quel mormorio; alcuni comunque riferivano che Saturno aveva detto che si scusava se l'età avanzata non gli permetteva di parlare meglio, dato che aveva i fianchi e il petto rovinati, era senza fiato, la vecchiaia l'aveva rattrappito e gli aveva consumato le forze. Subito dopo prese la parola Cibele, la madre degli dèi: tentennò a lungo, deglutendo in continuazione come tutte le vecchie, e alla fine, dopo essersi osservata per un pezzo le unghie, disse: «In effetti, era proprio il caso di riflettere su problemi così gravi ed insoliti!». Il terzo intervento fu quello di Nettuno: questi divagò in lungo e in largo a forza di banalità e di luoghi comuni, parlando con voce stridula, con un tono sgradevole, quasi alla maniera di un attore tragico, e riuscì a dar la sensazione di aver discusso di tutto, tranne dell'argomento all'ordine del giorno. Venne poi il turno di Vulcano, il quale concentrò tutto il suo intervento sulla vibrante affermazione che era proprio ammirato di vedere nel novero degli dèi tanti elementi così ingegnosi che sapevano trattare con competenza e precisione i problemi per cui era stata convocata l'assemblea. Marte poi, quando toccò a lui, dichiarò che l'unica cosa che aveva da dire sull'argomento era che lui si sarebbe tenuto pronto a intervenire in qualsiasi momento sotto il comando supremo di Giove, e avrebbe prestato la sua opera nella distruzione totale del mondo. Il discorso di Plutone sembrò ispirato a una certa avidità: fece sapere, infatti, che lui disponeva di nuovi modelli di mondo davvero splendidi, ed era pronto a esibirli, se si fossero accordati sul prezzo, dato che aveva deciso di non concedere le sue prestazioni professionali senza la prospettiva di un guadagno. Ercole, ora che gli si presentava l'occasione di fare davanti a un'assemblea così numerosa e ricca di personalità di prestigio quel discorso di autocelebrazione che si era preparato da un pezzo, non se la lasciò certo sfuggire: esaltò con un sacco di paroloni le sue imprese, e promise grandi cose per l'avvenire; in conclusione, dichiarò di rimettersi al parere di Giove sull'intera faccenda. Venere fece ridere tutti: assicurava di aver escogitato certe novità che erano proprio capolavori, però un piccolo particolare era di grosso impedimento: comunque avrebbe consultato lo specchio, il migliore dei maestri. Diana s'impegnò a reperire un architetto bravissimo: però i professionisti di quella categoria non erano disposti ad accettare le osservazioni degli incompetenti, volendo evitare che altri, tanto per dare l'impressione d'aver fatto qualcosa, rovinassero e deturpassero con interventi di modifica le loro elaborazioni artistiche. Più avveduta fu giudicata Giunone, che proponeva di fare parecchi mondi di forme svariate, fino ad esaurimento delle scorte. Quando arrivò infine il turno di Pallade, essa, recitando la parte concordata in precedenza con Giunone e gli altri compagni di fronda, dichiarò di dover necessariamente conferire con Giove in persona; a quel punto saltarono in piedi diversi dèi (ai quali il piano fraudolento che era stato preordinato assegnava questo compito) a protestare ad alta voce, criticando la superbia di Pallade, che riteneva una simile assemblea di personalità divine indegna di ricevere comunicazioni su progetti elaborati nel comune interesse; quella ribatté stizzita; allora molti, eccitati dalle passioni di parte, lasciarono i banchi e cominciarono a scambiarsi invettive, dando vita a una mischia schiamazzante. Momo, vedendo quella gazzarra e quella confusione tra i banchi, richiamava all'ordine ora l'uno ora l'altro con quella sua voce tonante che superava tutte le altre, gridando a tal punto che in mezzo a quell'assemblea così affollata si sentiva solo lui. Dopo aver fatto invano ripetuti tentativi di riportare la calma nell'assemblea, irritato da quella situazione indecorosa cominciò a trascendere, al punto che la rabbia gli fece perdere il controllo di quello che diceva: per esempio, disse che non avevano avuto torto i mortali a prescrivere, con una norma antichissima e solenne, l'interdizione perpetua delle donne dai pubblici uffici; e addirittura esclamò: «Quale tana d'ubriaconi si può paragonare a questo casino?». La frase, udita dall'intera assemblea, colpì gli animi già gonfi di rabbia di tutti, che del resto ce l'avevano con lui fin dall'inizio della seduta; ecco cosa dicevano: «Ah, è così? Momo con quella barbetta morsicata è stato richiamato dall'esilio per ergersi a nuovo censore, con nostra vergogna?».




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