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Leon Battista Alberti Momo o Del Principe IntraText CT - Lettura del testo |
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-20-Ora basta con Democrito, torniamo a Socrate, quell'uomo straordinario che merita ogni elogio. L'ho trovato in un laboratorio di calzature che faceva un sacco di domande a un artigiano, al solito suo: ma sono cose che non ci riguardano». Intervenne Giove: «Bel tipo d'uomo straordinario, come dici tu, uno che se la passa con i calzolai! Ma dimmi, Apollo, ti prego: cos'erano tutte queste domande di Socrate? Ho proprio voglia di sentire discorsi veramente suoi, non roba messa assieme da altri e attribuita a lui». «Quella volta, se ben ricordo, diceva così: 'Dimmi una cosa, artigiano: se decidessi di fare una scarpa di classe, non penseresti che ti sia necessario cuoio di prima qualità?'. 'Certo che lo penserei' rispose quello. E Socrate: 'Per un lavoro così prenderesti il primo cuoio che capita, oppure credi che sia meglio sceglierlo da un campionario?'. 'Sì che lo credo' rispose. Socrate aggiunse allora: 'E come fai a riconoscere la qualità del cuoio? Non ti metti davanti un qualche cosa che, tastando i vari tipi, ti è parso un cuoio particolarmente buono e adatto allo scopo, per poter scegliere attentamente il tuo mettendolo a confronto con questo, e vedere più chiaramente cos'ha di più o di meno ciascun altro tipo?'. 'Faccio così' rispose l'altro. E Socrate: 'Colui che ha fatto quel cuoio di prima qualità, c'è arrivato per caso o con un metodo, per farlo senza nessun difetto?'. 'Con un metodo' disse l'artigiano. 'E qual è stato il metodo' disse Socrate 'per affrontare quell'impegno? Forse quello che aveva imparato con l'esperienza, con la sua pratica nel lavorare il cuoio?'. 'Proprio quello' rispose l'artigiano. 'Forse' disse Socrate 'anche lui nell'approntare il cuoio ha fatto gli stessi confronti che faresti tu per sceglierlo, mettendosi a osservare insieme le parti ed il tutto, finché il cuoio da confezionare non corrispondeva punto per punto a quello che lui aveva in testa'. 'Proprio così' fece l'altro. E Socrate: 'E se non avesse mai visto lavorare il cuoio? Dove diavolo avrebbe preso quel modello ideale di cuoio di ottima qualità?'». A questo punto Giove, che aveva seguito con grande attenzione tutte queste domande, se ne uscì con una straordinaria esclamazione di entusiasmo per Socrate: «Che uomo meraviglioso! Oh, devo proprio dirlo un'altra volta: che uomo meraviglioso! Lasciamo stare che Socrate ti abbia riconosciuto, caro Apollo, per quanto ti fossi travestito; di lui oserei dire che sapeva chi eri, e per quali affari e con quali intenzioni eri venuto: insomma, sapeva proprio tutto. Il fatto è che i filosofi, per quanto risulta alla mia esperienza, hanno un'acutezza tutta particolare nell'indagare qualunque mistero, così grande in tutta la loro categoria da superare ogni immaginazione. So quel che dico, lo so perché ci sono passato! Ma guarda un po' come ti ha saputo servire a puntino, appena ti ha riconosciuto e si è reso conto di tutto! Capisco dove vuoi andare a parare coi tuoi doppi sensi, caro il mio Socrate! Vuoi dire che bisognerà rifare il mondo prendendo a modello questo qui, nella cui creazione ho tirato fuori ogni sorta di bellezze, oppure si dovrà procedere per tentativi, fino a quando il caso non ce ne metta davanti uno perfetto. Ma che altro ha detto, che altro?». Apollo rispose: «A quel punto l'artigiano ha detto di non saper rispondere alla domanda ed è rimasto zitto. Allora mi sono fatto avanti educatamente, e lui mi ha accolto nel modo più ospitale. Abbiamo parlato un pezzo, di cose su cui sarebbe lungo soffermarsi; per quanto ci riguarda più da vicino, ho trovato interessantissima soprattutto la sintesi che ha fatto a conclusione d'una serie di domande minute: diceva più o meno che questo mondo nel quale è contenuta ogni cosa è fatto evidentemente in modo tale che non esiste, all'infuori di esso, nient'altro che nessuno possa aggiungergli. Ma se non gli si può aggiungere niente, non gli si può nemmeno togliere niente, non lo si può nemmeno distruggere: come si può aggiungere qualcosa, infatti, a un mondo all'infuori del quale nulla può esistere? E come si fa a distruggere ciò che non è soggetto a disgregazione?». Intervenne Giove: «Questa però, comunque la si presenti, è un'osservazione trita e ritrita, per niente paragonabile a quella di poco fa sul calzolaio». Rispose Apollo: «Stai attento a sputare sentenze, Giove: potresti seguire i pregiudizi più che la verità. Non vorrei che l'eccessivo prestigio di cui gode quest'uomo ai tuoi occhi ti abbia fatto cadere in errore, e ti ci faccia restare: nessuna cosa quanto la simpatia, infatti, ha una gran forza di persuasione, e non ce n'è una capace di oscurare la verità più di quanto lo sia il prestigio. Pitagora ha ottenuto un tale prestigio che i suoi discepoli non facevano caso se quello che sosteneva fosse vero o falso, accettavano tutte le sue opinioni, non avevano il coraggio di contraddirne o metterne in dubbio nessuna, insomma, pretendevano che gli altri prendessero per buone e provate anche le affermazioni più assurde, al punto che anche quando andava dicendo di essere di ritorno dall'aldilà giuravano che diceva il vero». Giove allora: «Questo discorso capita a proposito: stavo appunto per domandarti se ti sei incontrato con qualcun altro dei filosofi più famosi, che so, Aristotele, Platone, lo stesso Pitagora eccetera. E allora? Ne hai ricavato qualche perla rara?». Apollo rispose: «Aristotele me lo son visto gesticolare davanti, dopo che aveva preso a pugni Parmenide e Melisso, non so che filosofo da quattro soldi: attaccava briga con tutti quelli che incontrava, e con un'aria di superiorità insopportabile e un'incredibile prepotenza non dava a nessuno la possibilità di esprimersi. Teofrasto l'ho visto accatastare tutti i suoi scritti per bruciarli. Di Platone qualcuno diceva che era molto lontano, in quel suo Stato invisibile che aveva fondato. Quanto a Pitagora, ho sentito dire che pochi giorni innanzi era stato riconosciuto in un gallo, e forse adesso lo si sarebbe potuto trovare in una gazza o in qualche pappagallo chiacchierone: lui infatti aveva l'abitudine di passare da un corpo all'altro». A questo punto Giove esclamò: «Oh, Apollo, come mi piacerebbe tenere in gabbia a casa mia un filosofo del genere! Come diventerei bravo a condurre gli affari di governo! Che ne pensi? Non c'è nessun modo di catturarlo?». Rispose Apollo: «Perché non dovrebbe farcela un cacciatore esperto, purché lo riconosca?». E Giove: «Qui sta il difficile, riconoscere l'intelligenza di un filosofo in un corpo senza valore». Apollo: «Ma no, è facile, basta stare attenti!». Giove: «Come, ti prego? Forse con le tue arti, con gli oracoli?». Apollo: «Faremmo meglio a mettere una taglia sul loro capo, ed essi si presenteranno da soli!». Giove: «No, preferisco provare a rintracciarli con le tue arti. Su, per piacere, cerca di vedere dove si trovano». Allora Apollo, volendo consultare in proposito i suoi oracoli, si accorse che la cinghietta era rotta e gli avevano portato via la borsa, e cominciò a strillare lamentandosi dell'infame delitto commesso ai suoi danni; e siccome si era intrattenuto anche troppo amichevolmente con Socrate, era persuaso che il furto l'avesse commesso proprio quell'imbonitore, e ci avrebbe giurato. Sarebbe lungo ripetere tutte le male parole che scaricò sul filosofo: lo chiamava scroccone e spasso per i meccanici. Diceva anche che aveva ragione Momo a dire che gli uomini sarebbero stati capaci di rubare pure coi piedi, in mancanza d'altri mezzi. Quando si fu scaricato un po', e la fece finita con le imprecazioni, Giove lo fissò negli occhi e disse: «Non sarebbe meglio, Apollo, se tu fossi il granchio di Democrito, vista la rabbia che ti ha preso? Il granchio è incapace di andare in collera, ma ha forza più che sufficiente per attaccare, con le armi di cui è dotato; a te invece, per quanto ti scaldi e perdi la tramontana, non rimane nessuna possibilità di rendere la pariglia. Che farai? Con chi te la prenderai? In che modo potrai punire i colpevoli, o colpire chi non c'entra? Che beni gli puoi portar via, se non possiedono nulla, e che mali puoi mandare a persone che non hanno affatto paura della povertà, del dolore eccetera?». Apollo replicò: «Com'è bravo a dar consigli, questo qua! Appena lo toccano vorrebbe far precipitare il mondo, e ordina di star calmo a me che ho perso un simile tesoro. E dire che io posso far morire gli uomini di caldo e di sete, Giove! Posso far morire gli uomini, ho detto!». Giove allora: «Certo che puoi fare qualunque danno, però non farai proprio nulla, visto che ormai non si potrà decidere più nulla in cielo senza che i mortali lo sappiano subito: i filosofi infatti, o con la loro abilità nello svelare i misteri o con l'aiuto dei tuoi oracoli potranno prevedere tutto quel che stiamo per fare e correre ai ripari con la loro immensa saggezza. È per questo che voglio vederti spegnere i tuoi ardori. Smettila di lamentarti ancora per questa disgrazia. Ritorna in te. Penseremo un'altra volta a punire come si deve questi furfanti, anche se io ritengo che tu abbia perso il tuo tesoro in un'altra circostanza». Apollo rispose: «Hai ragione, seguo il tuo consiglio; e poi c'è una cosa che mi conforta: per quanto essi siano in possesso degli oracoli, non riusciranno mai a scoprire il modo d'interpretarli. Io potrò rifare gli oracoli con poca fatica, ma addosso a loro gli oracoli faran piovere ansie ed angosce più che vantaggi». |
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