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Leon Battista Alberti Momo o Del Principe IntraText CT - Lettura del testo |
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-3-Questi erano gli avvertimenti di Ercole; gli dèi però non stettero a sentirlo ed entrarono nel teatro. Giove per primo ammira le innumerevoli, enormi colonne di marmo pario, frammenti di montagne, opera gigantesca: era pieno di stupore nel vedere che erano state trasportate fin lì, o erette sul posto, così grandi e così numerose, e per quanto se le vedesse davanti non voleva ammettere che un'opera del genere fosse possibile, ma non la finiva più di osservare e lodare anche troppo, in preda alla meraviglia, dandosi dell'idiota e del ritardato in cuor suo perché non si era rivolto ai costruttori di un'opera così straordinaria, invece che ai filosofi, per pianificare il modello del mondo futuro. Gli era successo proprio quello che si sente dire: una volta che ci si è messi in testa che uno è competente in qualcosa, si è portati a credere che lo sia sempre, e che sia esperto in ogni campo. Così pensava Giove. Finalmente, al termine del rito di purificazione della città, gli uomini tornarono a frotte alle loro case per la cena e il riposo. A questo punto agli dèi venne il desiderio di assistere ai giochi e agli spettacoli teatrali in programma la mattina seguente. «E allora, che facciamo?» dicono tra loro «Dobbiamo tornarcene a casa, o ci fermiamo qui per vedere gli spettacoli?». La voglia di spettacoli ce l'avevano tutti, ma erano diverse le proposte su dove pernottare: in cielo, oppure nei templi? Alla fine prevalse l'idea di uno che, per disgrazia degli dèi, penso, suggerì che ognuno si trasformasse nella sua statua messa nel teatro, per evitare la fatica di un viaggio di andata e ritorno e per potersi riposare nei luoghi più confacenti alla loro dignità, senza il rischio di subire oltraggi. C'era una sola difficoltà: non sapevano proprio dove mettere al sicuro le statue tolte da lì. Mentre stanno a pensarci su, il dio Stupore, che era un tipo robusto e muscoloso, ne fa una delle sue: senza dir niente a nessuno di quello che ha in testa, si mise a correre in una maniera così sgraziata e sconnessa da far pensare che gli fosse venuto un attacco di furor bacchico, e poi cominciò a fare una cosa ridicola in sé, ma talmente adatta alla bisogna che tutti gli dèi l'approvarono subito e si comportarono allo stesso modo: si attaccò infatti alla sua statua sistemata nel teatro, chiamando con quel suo vocione tutti gli dèi più robusti perché lo aiutassero, e se la caricò sulle spalle. La statua era enorme e pesantissima, ma quando l'ebbe presa sul dorso la trasportò da solo e andò a sistemarla in un angolo buio di una caverna fuori mano, all'interno di una fitta foresta. Poi ritornò in teatro, madido di sudore, e si trasformò nella statua che aveva trasportato, occupandone il posto rimasto vuoto. Per quanto ridessero della cosa, anche gli altri pensarono di dover fare così: e quindi, seguendo l'esempio di Stupore, ciascuno nascose la sua statua nel posto che gli andò a genio, mentre Cupido, Mercurio e altri come loro, che potevano contare su ali e calzari alati, non si peritarono di lasciare le loro statue coricate sul cornicione che dominava il teatro. |
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