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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO QUARTO.
      • -4-
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-4-

 

Mentre gli dèi si erano sistemati in questo modo, ciascuno a suo piacimento, nel teatro, una situazione veramente buffa, senz'altro da raccontare, si verificò sia nella foresta dov'era la statua di Stupore, sia nel teatro. Enope, filosofo e commediante al tempo stesso, imbevuto della stessa scandalosa smania di parlar male degli dèi che aveva preso a suo tempo Momo, siccome aveva tagliato per il bosco nella fretta di partecipare allo spettacolo, fu catturato dai briganti i quali, dopo avergliene date un sacco e una sporta, lo condussero proprio dentro la grotta dov'era stata messa la statua del dio Stupore. Appena arrivati sul posto, i briganti si misero a discutere se era meglio strozzare il prigioniero o cavargli gli occhi e lasciarlo andare vivo. Enope, trovandosi in un frangente come quello, anche se fino a quel giorno aveva sostenuto con convinzione che gli dèi non esistono e il cielo è vuoto, ora che stava rischiando la pelle cominciò a pregare per la sua salvezza i massimi dèi, pronto a fare qualunque offerta. Intanto i briganti chiusero la discussione decidendo d'interrogarlo per vedere quanto poteva pagare di riscatto. Era una notte buia e senza vento: ecco che i briganti si procurano quel che serve per la tortura. Qualcuno intreccia una corda, altri strappano da un olmo certi rami nodosi, altri fanno sprizzare il fuoco da una pietra. Mentre erano intenti a queste occupazioni ne successe una bella. Appena le prime scintille fecero un po' di luce, i briganti ebbero l'impressione di vedere qualcosa dentro la grotta - e tutto potevano aspettarsi in un posto come quello, fuorché una statua; avvicinarono allora il fuoco per fare più luce, e avvertendo chiaramente una presenza divina ammutolirono, atterriti dall'imprevisto, e scapparono subito tra le urla, lasciando perdere il prigioniero. Avessi visto che scena! Fecero cadere le armi fuggendo che parevano ubriachi, e andarono a sbattere contro un orno che si trovò sulla loro strada; altri inciamparono nella corsa in una radice sporgente di quercia, mentre altri, inciampando a loro volta sui compagni a terra, ruzzolarono di qua e di ; poi, mentre cercavano di rimettersi in piedi, con la faccia pesta, sputando sangue e pezzi di dente, furono sbattuti di nuovo a terra dall'urto di quelli che li seguivano; altri invece alla vista del dio sembravano diventati anch'essi una statua di Stupore: sul momento restarono immobili, poi si sentirono mancare per lo spavento. Solo Enope riuscì a non perdere il controllo della situazione. Uscì dalla grotta e si risollevò a guardare quell'ammasso di gente caduta e ridotta allo stremo; poi disarmò uno di quelli, afferrò per i capelli un altro che era completamente annichilito dal terrore e lo rovesciò a terra legandolo con la stessa corda con cui i briganti volevano legare lui. Poi si mise quell'uomo davanti e se lo portò tutto contento in città, giurando in cuor suo di non pensare mai più che non esistono dèi la cui presenza egli aveva toccato con mano nell'ora del pericolo. Questa fu l'avventura di Enope nel bosco; poi, entrando in teatro, trovò ad aspettarlo i commedianti della sua compagnia, che stavano tenendo un comportamento non precisamente corretto verso di lui e verso gli dèi: imprecavano infatti per il suo lungo ritardo e bestemmiavano gli dèi massimi, che li costringevano a passare una notte in bianco. Questa fu la prima cosa che lo fece indignare, ma la cosa peggiore fu sorprendere in mezzo agli attori uno schiavo ubriaco fradicio in atteggiamento sconcio verso la statua di Giove. Ho un certo ritegno a proseguire, però è inevitabile. Vedendo l'ubriaco che pisciava, Enope, in nome dei suoi nuovi sentimenti religiosi, cercò di fargli paura rimproverandolo aspramente. Ma lo schiavo gli si rivoltò esclamando: «Ehilà! Sei tu, filosofo? Perché mi tratti così? Da dove ti son venuti di colpo tutti questi scrupoli? Hai sempre detto che gli dèi non esistono, e ora ti metti a ossequiare una statua fredda, delle immagini prive di realtà?»; e mentre diceva queste parole, non contento d'aver pisciato, si preparava anche a sgravarsi del peso intestinale. Allora Enope esclamò: «Farabutto! Non puoi trovarti un altro posto per fare le tue porcherie?». Quello schiavo selvaggio e ubriaco rispose: «Ma se voi filosofi dite che gli dèi sono dappertutto!». «Così» gridò Enope «tu manchi di rispetto agli dèi perfino in loro presenza, e fai pure dell'ironia!». E quello zoticone: «Ma che filosofo coltissimo! Pensi che sia un dio, e la chiami così, questa statua fredda e vuota messa su a forza di ferro e fuoco da qualche artigiano in modo da farla somigliare a stento a un uomo più che a un mostro? Dillo tu, testa di bronzo, con quanti colpi di martello e quanti soffi di mantice gli artigiani hanno sbozzato questo faccione duro! E magari tu stesso, Enope, non hai visto qualche giorno fa questa statua all'acquedotto pubblico, versare acqua ai facchini da quella coppa? Insomma, dovremmo venerare come fosse Giove questo pezzo di bronzo sconclusionato che non ha niente di buono, manodopera a parte? Ah, com'è ben detto quello che sento spesso recitare in teatro:

Chi fa nel bronzo o in marmo i sacri volti

non fa gli dèi: chi prega, sì, li fa».




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