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Subito dopo l'episodio appena
narrato, i colleghi chiesero ad Enope perché si fosse portato dietro un uomo
legato a quel modo, e come mai si fosse così inopinatamente votato all'ossequio
della religione, mentre prima non credeva nell'esistenza degli dèi; quello
allora raccontò per filo e per segno la sua avventura coi briganti; disse che
però non era riuscito a riconoscere il dio che l'aveva soccorso, grazie al cui
intervento se l'era cavata così bene, e quindi aveva un grandissimo desiderio
di sapere chi dovesse ringraziare del beneficio ricevuto. Non gli era sembrato
Giove, né Febo o Giunone, nessuno, insomma, degli dèi più famosi a cui sono
dedicati i templi, ma un dio raro, uno che non s'incontra di frequente. Dissero
allora i guitti: «Ma qui in teatro ci sono le statue di tutti gli dèi! Dai,
passale tutte in rassegna, così potremo rendere omaggio a un dio tanto
disponibile alle grazie, e invocarlo nostro patrono in caso di bisogno: infatti
gli dèi più importanti non fanno più caso da un pezzo ai voti della povera
gente». Detto fatto, accendono una fiaccola e cominciano ad esaminare le statue
lì attorno guardandole in faccia una per una, finché non arrivano davanti a
Stupore: appena lo vide, Enope piombò ginocchioni in preghiera e si prostrò al
suolo in atto d'adorazione. Ma i guitti, vedendo la faccia di Stupore e il suo
atteggiamento, scoppiarono a ridere per la sua bruttezza spaventosa: stava con
la bocca spalancata, il labbro sporgente, gli occhi di fuori, le tempie
incavate, le orecchie a sventola, insomma, aveva tutto l'aspetto di uno che non
si ricorda nemmeno chi è. Più si studiavano il dio, più i commedianti della
compagnia erano spinti a sghignazzare, dicendo: «Ecco il valoroso, ecco lo
sgominatore dei banditi!». Allora Enope esclamò: «È proprio questo che rafforza
le mie nuove convinzioni sugli dèi: da solo, timido e disarmato, con la sua
sola presenza ha gettato lo scompiglio in una banda di uomini armati, audaci,
pronti a qualunque crudeltà, e li ha ridotti all'impotenza!».
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