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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO QUARTO.
      • -14-
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Mentre stavano a guardare le statue, Caronte ebbe l'impressione di sentire qualcuno parlare sottovoce al riparo di un arco un po' appartato, e dire così: «Le battute di Gelasto son roba rimasticata, e di tutta la rappresentazione di costoro l'unica cosa valida, per me, è la maschera di Gelasto: certo gli somiglia come più non si può!». Caronte sentì poi altri dire che Gelasto in vita era stato molto colto e saggio, mentre altri sostenevano che era sciocco e faceva stramberie, soprattutto perché si lasciava offendere e subiva senza far rispettare se stesso e la propria dignità, per vigliaccheria. Non ritenevano valida quella sua scelta di perseverare in eterno a far del bene a tutti mentre molti lo provocavano e lo offendevano continuamente. Costoro avrebbero dovuto vedersela con Enope, il quale mostrava la sua forza respingendo e rintuzzando gli attacchi più che cercando di tener a freno l'arroganza dei provocatori con la troppa sopportazione. Quando anche Gelasto afferrò questi discorsi di Enope e riconobbe la sua voce, disse: «Caronte, voglio farti vedere quant'è valoroso questo smargiasso!». Detto fatto, balzò di corsa verso quei criticoni. Essi, alla vista del morto che si avvicinava, appena lo riconobbero rimasero stupefatti, mentre Enope non trovò di meglio che darsela subito a gambe, lasciando il suo prigioniero. Allora, tornando da Caronte, Gelasto disse: «Che te n'è parso del nostro grande campione, che appena ho mosso il piede ha voltato le spalle? Sono proprio stupito nel vedere quest'uomo che in vita era mio intimo amico fare certe critiche su di me e provare paura a vedermi, anziché gioia. Ma ora capisco che il suo modo di fare era una finzione, un prodotto di quell'artificio di mascherarsi che m'hai spiegato tu; una finzione, non la verità era la faccia amichevole che mi faceva, lui che certo non avrebbe messo tante volte a dura prova la mia pazienza quand'ero vivo, come non avrebbe attaccato il mio buon nome ora che son morto, se mi fosse stato amico davvero!». Stava parlando così, quand'ecco che un pesante macigno colpì la barca di Caronte provocando un gran rimbombo (l'aveva scagliato con tutta la sua forza quel selvaggio ubriaco di prima). Caronte, atterrito dal colpo, si mise a gridare facendo rintronare tutto il teatro. Gelasto, fremente di rabbia, si stava lanciando contro l'ubriaco, ma Caronte esclamò: «Lascia perdere, Gelasto, lascia perdere! Tu li attacchi con l'ombra, questi qua ci prendono a pietrate! Abbiamo girovagato abbastanza. Qui, a parte le assurdità e la cattiveria, non trovo niente che valga la pena di vedere, e la cosa migliore è detestare le assurdità e stare alla larga dalla cattiveria. Andiamocene!». Gelasto cercava di richiamare Caronte, questi se la filava saltellando tutto tremante. A quello spettacolo gli dèi nel teatro scoppiarono in una gran risata, che ebbe l'effetto di attirare su tutti loro un grosso guaio, assolutamente imprevedibile. Racconterò presto che cosa avvenne, prima però farò un resoconto dell'avventura capitata a Caronte, inattesa e veramente spassosa. Sentendo il riso delle statue, disse dunque Caronte: «Ridete quanto vi pare: io preferisco esser deriso che prenderle». Il fatto è che credeva che a ridere fossero stati quei rompiscatole dei commedianti, per quanto notasse con meraviglia l'enorme risonanza della risata divina. Ma Gelasto, che era pratico di teatro, si mise immediatamente a correre gridando: «Accidenti, Caronte! Accidenti, aspetta che arrivo!». Caronte si voltò a guardarlo, stupito per la sua fifa. «Che ti pigliadisse «Ti han tirato una pietra?». E quello, quasi fuori di sé, tutto tremante: «Non hai sentito le statue?». «Che cosa?». «Si son messe a ridere!». «E allora?» fece Caronte «Volevi che piangessero, o è la fifa che ti fa credere che le statue hanno riso?». Gelasto, pallido di paura, non si reggeva più sulle gambe, così al primo incrocio che incontrò fuori città andando dietro a Caronte, si attaccò alla poppa capovolta della barca e disse: «Fermati, Caronte, per favore!». Quello rispose: «Non sopporto queste mascherate che fate sempre voialtri mortali! Tu non avevi paura dei sassi, e ora fai finta di essere terrorizzato per una risata; e poi tu insistevi tanto di non voler tornare qui sulla terra, ma ora bisogna strapparti a forza! Non ti ringrazio per niente d'avermi tolto il piacere di raccoglier fiori per portarmi in mezzo a liti e baruffe. Se c'è da aver paura non solo delle sassate, ma anche di questa risata delle statue, chi è che non se la squaglierebbe di qui? Ma tu fa' quel che ti pare, io me ne vado». Gelasto, colpito dai modi arcigni di quel vecchio intrattabile, disse allora: «Sei tu ora che ti metti a fare con me giochi di parole e sottigliezze, di cui dicevi sono esperti i filosofi, o Caronte!». Rispose Caronte: «È per questo che è così importante frequentare chi sa parlar bene: s'imparano tante cose dagli intellettuali!». Gelasto allora pensò per sé, e, non certo per togliere un peso a Caronte, ma per impedirgli di andarsene se avesse insistito a filarsela alla svelta lasciandolo indietro, disse: «È giusto che anch'io impari qualcosa da te. Va bene! Imparerò a maneggiare il remo». E Caronte: «Il remo qui in secco?». Ma l'altro afferrò il remo e si mise a dimenare le scapole, camminando carponi. «Era così Ercole con la clavadiceva «E se in teatro avessi avuto questo remo, mascalzone d'un Enope, a cui ho fatto tanti piaceri, me l'avresti pagata! Ti avrei assalito come si assale un mostro, e te ne avrei date tante, dopo che ho sopportato pazientemente la tua disonestà e la tua cattiveria!». Intervenne allora Caronte: «Gelasto, stammi un po' attento: ne ho tanti di anni sulla breccia al punto del passaggio, e ne ho vista molta di gente colta ed esperta con cui ho discusso di questi problemi! Vorrei che sapessi una cosa: secondo il parere di tutte le persone più accorte, non bisogna sempre usar pazienza; la loro opinione è che c'è una regola da osservare in generale fra i mortali: niente in eccesso; solo di pazienza, però, nella vita bisogna averne o niente affatto o in eccesso. Probabilmente si trova più gente che rimpiange d'esser stata paziente che di non esserlo stata». Gelasto esclamò: «Che osservazione profonda! Lo vedo in base alla mia esperienza: posso dire d'essermi tirato addosso più fastidi con la mia pazienza di quanti non me n'abbia fatto incontrare l'intolleranza».




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