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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO QUARTO.
      • -20-
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Cose del genere capitarono in teatro! E alla fine i venti, resisi conto d'aver causato tanti disastri, si guardarono in faccia tra loro e ammutolirono, il rimorso e la fifa li scombussolarono, poi presero a scambiarsi reciproche accuse di sventatezza incontrollata; non la finivano più, insomma, d'insultarsi con ira facendo un gran casino. Alla fine, nell'ardore della lite andarono a scegliersi per campo di battaglia il mare, e da questo aveva avuto origine quell'improvvisa tempesta di cui s'è detto. Spinti, dunque, da questa tempesta, Caronte e Gelasto approdarono a quello scoglio dove si trovava Momo strettamente legato, e ripresero conforto considerando i guai di Momo: credevano di trovarsi al culmine della disgrazia, dopo tanti rischi e fatiche, ma quando videro il viso di Momo che ce la faceva appena a respirare sotto la furia dell'oceano e tutto intriso di lacrime, la commiserazione per i guai altrui mitigò il loro dolore. E così gli chiesero chi era e perché mai si trovava a subire quell'atroce supplizio, promettendogli che, se potevano far qualcosa per lui, si sarebbero prestati senz'altro. Momo però rispose: «Poveri noi, che altro può fare un naufrago per un condannato, se non mettersi a piangere i suoi guai assieme a lui?». Ciò detto, scoppiò in un pianto dirotto, poi li pregò di tirarlo un po' su dall'acqua, visto che era proprio fatto a pezzi per l'uragano. Quando l'ebbero risollevato, subito Momo e Gelasto si riconobbero: infatti quando si trovava in mezzo agli uomini Momo aveva affrontato numerose discussioni con Gelasto su argomenti della massima profondità. Cominciarono perciò a rammentarsi a vicenda circostanze e discorsi, e a un certo punto Momo disse: «Quando facevo il filosofo in mezzo a voi, esule dal cielo per iniziativa della dea Frode, procedevo alla cieca, però nel cercar di risollevare la mia dignità di fronte alla gravissima ingiustizia subita sono stato sempre coerente nel voler apparire il più umile tra i mortali piuttosto che un dio tra i filosofi. Certo, ho fatto qualche concessione al mio immenso dolore e alla mia acredine più che giustificata; ben altre però ne ho fatte alla reputazione degli dèi, se è vero che ho potuto sopportare dagli omiciattoli, pur di non danneggiare la schiera celeste manifestando la mia vera identità, cose che nemmeno i miei avversari si sono sentiti di lasciarmi subire più a lungo. A far nascere la compassione per i miei guai, oppure a placare l'animosità di chi mi odiava, ha dato certo un grosso contributo quella mia incredibile capacità di sopportare le disgrazie. Sono stato perciò riammesso in cielo e, per darti un esempio del senso di giustizia di sua eccellenza Giove e degli dèi, i quali per non aver dato alcun altro fastidio che buone azioni e giusti consigli m'avevano mandato in esilio, mentre perché ho violentato una donna, dea e vergine per giunta, dentro al tempio, si son messi a ridere tutti quanti. Quello che era risalito tra i celesti era il vecchio Momo di sempre, però animato da nuovi propositi: e così io che ero avvezzo a collegare sempre le mie idee alla verità, i miei desideri al dovere, i discorsi e il viso ai principi di giustizia che sentivo nel cuore, dopo il mio ritorno ho imparato ad adattare le idee al pregiudizio fanatico, i desideri alla passione sfrenata, il viso, le parole e anche il cuore alla macchinazione d'insidie. Aggiungo una cosa sola: fin tanto che mi sono applicato a siffatte arti perverse in mezzo a quella conventicola di beati son rimasto caro al principe, approvato da tutti quanti, prestigioso di fronte a chiunque, oserei dire molto gradito perfino agli avversari. Quel che m'ha fatto piombare in disgrazia è aver pensato, dopo aver ricevuto tante manifestazioni d'onore, che fosse mio interesse lasciar perdere ormai i malvagi artifici e riassumere l'antica indipendenza, buttando da parte il lecchinaggio untuoso e servile. Sono perfettamente consapevole di quello che ho fatto, di come ho cercato di fare il bene degli dèi. Per non parlare di tutto il resto, ho avuto tanta sollecitudine per gli dèi da mettere insieme a prezzo di molte notti bianche per Giove, quando faceva progetti di rinnovamento totale, tutti quei vecchi ragionamenti sui compiti degli dèi e dei governanti su cui ero solito intrattenermi con te, Gelasto mio, e glieli ho consegnati, sintetizzati in un opuscolo, ma la mia disgrazia dimostra quanto valore lui gli abbia dato. Per quanto si può osservare, quella serie di consigli onesti ed utili non è piaciuta a Giove, gli è piaciuto invece relegarmi in questa condizione infelice. Voi adesso cos'è che riterrete degno di critiche più severe, la leggerezza con cui si trascurano gli affari di Stato o l'ingiustizia con cui ci se ne occupa? Consideri lui stesso quanto sia utile allo Stato questo modo di operare del principe. Nessuna persona onesta potrà dire che sia giusto, e non sappiamo ancora quanto andrà a finir bene per quelli che gioiscono della mia disgrazia, e nemmeno lui, che ricambia col male chi gli consigli retti mentre colma di beni chi trama azioni malvage, può avere abbastanza chiaro quanto durerà la sua fortuna procedendo per questa via. Ma pensino altri a queste cose, quelli che hanno ancora la possibilità di sperare: io devo pensare esclusivamente ad affrontare la mia triste condizione». Quando Momo finì il suo discorso, Gelasto gli rispose: «Ho tanta comprensione per te, mio caro Momo! Ma perché dovrei mettermi a raccontare le mie sventure? Tanto per consolare il tuo dolore, io, esule dalla patria, ho consumato gli anni più belli della vita in continue peregrinazioni, in mezzo a disgrazie senza fine; sempre in lotta col bisogno, eternamente tartassato dai torti non solo dei nemici, ma anche dei miei cari, ho dovuto affrontare il tradimento degli amici, la rapina dei parenti, le calunnie dei concorrenti e la spietatezza degli avversari; cercando di scampare agli assalti di un'avversa fortuna, sono andato a piombare nella completa rovina che mi si preparava. Scombussolato dai repentini cambiamenti di situazione, sepolto dalle sventure, schiacciato dal peso dell'ineluttabile, ho sopportato ogni cosa senza mai lasciarmi andare, sperando che gli dèi piissimi e il fato mi riservassero una sorte migliore di quella che m'è toccata. Eppure, come sarei stato felice se solo un esito migliore fosse stato la ricompensa per la mia applicazione allo studio di quelle discipline elevate alle quali mi son sempre dedicato! Ma spetta agli altri giudicare i miei risultati letterari. Questo di me posso affermare, di essermi dato da fare con tutta la mia capacità, la mia passione, la mia buona volontà per non dover mai rimpiangere i progressi che facevo di giorno in giorno. I risultati hanno deluso ogni aspettativa: da chi mi doveva sentimenti amichevoli m'è piovuto addosso malanimo, da chi c'era da aspettarsi un aiuto materiale oltraggi, dove le persone buone prospettavano un esito buono i malvagi hanno risposto col male. Dirai: non t'è successo nulla di diverso da quel che suole accadere agli uomini, ed è bene che ti ricordi d'esser uomo. E allora, Momo, che dirai sentendo quello che è capitato a Caronte, a questo dio? Mentre, seguendo una sua decisione senza dubbio giusta e saggia, s'è messo d'impegno per non restare all'oscuro delle faccende umane, messo in fuga a sassate s'è nascosto in uno stagno, e alla fine, dopo aver corso i rischi peggiori sulla terra e in mare, per caso è arrivato a fatica qui da te; come andar via, che direzione prendere, dove trovare un punto fermo, non ha niente di certo, tanto che credo di dovermi felicitare con me stesso, anche in tutti questi guai, sia per aver compagni divini nel miei guai, sia perché vedo dèi, nati per un destino migliore, trovarsi in una sorte più infelice o quasi di quella in cui mi son trovato io. E anche per voi, Momo e Caronte, dovrebbe esser motivo di sollievo reciproco vedere che nessuno di voi due è al riparo delle disgrazie».




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