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Mentre agli inferi si verificava
tutto ciò, Giove, nella solitudine della sua stanza, considerando tra sé i suoi
guai e l'esito dei suoi progetti si rimproverava con un discorso di questo
genere: «Cosa ti sei andato a cercare, padre degli uomini e re degli dèi? Chi
era più felice di te? Per una serie di fastidi da poco e sopportabilissimi,
quante fatiche, che rischi, che razza di disagi hai affrontato! Il giorno delle
calende t'ha insegnato quanto hai saputo bastare a te stesso nel prendere le
tue decisioni. Il naso mutilato sarà in eterno un ammonimento su quanto
convenga respingere i buoni consigli e dar retta alle smanie degli
sconsiderati. Ci scrollavamo di dosso con fastidio i voti di quegli stessi
supplicanti di cui in seguito abbiamo dovuto subire la sfottente sconcezza.
Dovevamo proprio aver vergogna d'esser beati, se per afferrare nuovi piaceri
abbiamo dato un taglio all'antica dignità! Cercavamo di costruire un mondo
nuovo, quasi provassimo fastidio di un'eterna serenità; con tutta la serenità
che avevamo, cercavamo serenità, e andandone in cerca volevamo meritarcela. Che
cosa abbiamo concluso? Abbiamo accolto in cielo tra gli dèi gente indegna, ed i
benemeriti li abbiamo banditi o ce li siamo fatti scappare. Ma che sto facendo?
L'ho pagata poco la follia commessa, se vado in cerca di altre torture per le
amarezze e il ricordo spiacevole di tempi assai duri? Andate via, tristi
affanni! Bisogna che trovi qualcosa da fare, se non voglio restare senza far
nulla e lasciarmi prendere dai ricordi angosciosi. Lo so cosa fare: metteremo
in ordine questo gabinetto dove regna la confusione». Si tolse allora il
pastrano e i vestiti, cominciò a cambiare completamente la distribuzione delle
poltrone e ripose in un posto più adatto parecchi libri buttati qua e là e
tutti impolverati. Mentre metteva ordine gli capitò tra le mani l'opuscolo di
Momo, della cui consegna a Giove s'è detto a suo tempo. Trovandolo, Giove non
poté evitare di provare ancora turbamento, ripensano a se stesso e alle sue
disavventure; alla fine si mise a leggere avidamente il manoscritto con una gioia
e un dolore così grandi che non gli se ne poteva aggiungere neanche un po',
tante erano le cose piacevoli e quelle spiacevoli che conteneva. Era piacevole
ritrovarvi consigli ottimi, davvero necessari alla formazione e all'attività di
un grande governante, tratti dalle dottrine dei filosofi; spiacevole aver
potuto fare a meno per tanto tempo, per colpa della sua superficialità, di
tanti insegnamenti così adatti a conseguire gloria e successo. Questo era il
contenuto dell'opuscolo: dev'essere proprio del principe evitare di non far
nulla come di fare ogni cosa; quello che fa non deve farlo da solo né con la
partecipazione di tutti; deve evitare che qualcuno da solo abbia moltissimi
mezzi, come che la maggioranza non abbia mezzi né possibilità. Deve far del bene
ai buoni anche se non vogliono, non far male ai cattivi se non perché
costretto. Giudicherà le persone dalle caratteristiche evidenti a pochi più che
da quelle che si notano subito. Eviterà iniziative innovatrici, a meno che una
situazione d'emergenza ce lo spinga per la tutela del decoro dello Stato oppure
si aprano prospettive più che sicure d'incrementarne il prestigio. In pubblico
darà dimostrazione di magnificenza, in privato si atterrà alla parsimonia.
Combatterà contro i piaceri non meno che contro i nemici Procurerà tranquillità
ai suoi, a sé gloria e popolarità con arti pacifiche piuttosto che con imprese
belliche. Si adatterà ad accettare le suppliche e sopporterà con pazienza i
comportamenti inopportuni dei più umili, così come pretenderà che chi sta più
in basso di lui si adatti al suo aristocratico distacco.
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