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Non sarà però fuor di luogo
chiarire l'impostazione del mio lavoro, sia perché ne risulti più agevole la
comprensione, sia per giustificarmi di aver introdotto personaggi divini,
prendendomi in una narrazione in prosa quella licenza che si concede ai poeti.
Mi sono reso conto, infatti, che gli scrittori antichi hanno ragionato in modo
da lasciar intendere sotto i nomi degli dèi quelle inclinazioni dell'animo che
ci spingono a questo o a quell'altro comportamento. È per questo motivo che
hanno introdotto Plutone, Venere, Marte e il cieco Cupido e, per converso,
Pallade, Giove, Ercole e divinità dello stesso tipo: i primi simboleggiano le
rovinose attrattive della cupidigia e del piacere, la furia delle passioni
esagitate, gli altri la forza intellettuale e la fermezza nelle decisioni; per
effetto di queste inclinazioni gli animi s'imbevono di virtù e si lasciano
guidare dalla ragione, oppure fanno cattivo uso di se stessi, compiendo e
meditando azioni malvage e sconsiderate. Essendo, dunque, perpetuo e difficile
a comporsi il contrasto tra queste passioni negli animi umani, niente di strano
che gli dèi siano proprio come li hanno messi in scena Omero, Pindaro, Sofocle
e i migliori poeti. Ma sarà altro il luogo per trattare questi argomenti, se mi
capiterà di scrivere sul sacro e le divinità.
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