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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO PRIMO.
      • -3-
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-3-

 

Ma facciamola finita con i fuochi, e riprendiamo il filo del racconto. Quando Giove ebbe offerto quegli splendidi doni, i celesti affluivano a caterve di fronte a tanta generosità. Già l'intera folla degli immortali, dando prova di incredibile rapidità, s'era radunata a palazzo reale per ringraziare Giove: e si trovavano in competizione gli uni con gli altri nel cercare le più alte espressioni di lode con cui fare il loro dovere, mentre erano tutti d'accordo nell'affermare che l'ottimo principe Giove, nella sua saggezza, aveva preso provvedimenti improntati a sacri principi di giustizia in favore della comunità dei celesti. Solo Momo, scuro in viso, in atteggiamento scontroso, con un sopracciglio aggrottato, guardava storto tutti quelli che arrivavano di corsa per prendere parte alla festa di ringraziamento. Allora la dea traditrice, intenta soltanto a studiare il nemico, si accorse che Momo ce l'aveva con Giove. Perciò, tornata ai suoi artifizi, prepara quel che occorre alla bisogna: piazza dietro all'ara del banchetto vicino, alla quale per caso stava appoggiato Momo, la figlia del dio Tempo, Verina, e Proflua, un'amante di Giove che dicono abbia fatto da mamma alle ninfe, ed ordina loro di mettersi a sedere a terra e di nascondersi, fingendo di essere occupate da altre faccende: quei preparativi erano fatti nell'interesse di Giove, perciò dovevano eseguire con precisione il loro compito, ascoltare in silenzio tutto ciò che si diceva in quel luogo e prenderne nota. Messa a punto la trappola, la dea si avvicina all'amante sorridendo; si salutano, poi Frode, dopo esser stata zitta un pezzetto, a un tratto esclama inarcando le sopracciglia: «Cosa c'è, Momo mio? Ho l'impressione che anche tu, quanto ai meriti di Giove verso i celesti, la pensi diversamente da questa massa d'ingenui. Non sei d'accordo con me? Io non avrei il coraggio di confessare le mie impressioni a nessuno tranne che a te, che amo come gli occhi miei. Ma perché dovrei nascondermi con te, se capisco che mi ami come merito per la mia sincerità e fedeltà? Ah, poveri noi, che a costui… no, no, un'altra volta!… Ah, non metto in dubbio che siano belle le opere di Giove, anche se è ovvio che tutto quel che fa il principe degli dèi massimi non possa esser mai superatoeguagliato. Tu, con la tua saggezza, capisci cosa voglio dire meglio di quanto io possa spiegarlo». Così la dea; e Momo: «Stai proprio intuendo la verità; io però non ho ancor chiaro se queste cose siano l'opera di un principe folle o di un ambizioso». Allora la dea sorridendo: «Ma come può essere l'una delle due, visto che in lui non ci sono difetti, dico io, ma buon senso?». E Momo: «Tu chiami buon senso una cosa che ha tutta l'aria di pura follia? Che maniera equilibrata di procedere! Ti dico io come si fa, secondo me. Oh, come sarebbe governata meglio la comunità degli dèi, se le decisioni venissero meditate più seriamente! Non basta, infatti, che il principe provveda in vista del piacere del momento, senza valutare i pro e i contro anche di quel che verrà dopo, in modo da potersi mantenere non a spese degli altri, ma, come si dice, di tasca propria. Che pazzia gli è presa, al re degli dèi? Certo una volta era proprio contentissimo, Giove ottimo massimo, della creazione degli uomini, perché, dritti o storti che fossero i suoi scatti d'ira, aveva dei concorrenti da esporre alla nostra gelosia; ma poi, dacché ha ritenuto più saggio che le dimore celesti fossero aperte ai loro antichi abitatori piuttosto che ad una folla mortale di dèi a tempo determinato, ha voluto tenersi gli uomini laggiù per scaricare su di loro la sua rabbia tempestosa infierendo con terribile crudeltà. Perciò ha messo insieme in un solo mucchio i fulmini, i tuoni, le epidemie e la cosa più dura e insopportabile per i poveri animi umani: gli affanni, le paure e tutti i mali possibili e immaginabili. Dall'altra parte, se non ne possono più di lottare contro i mali, ha lasciato a quei poveracci, fortezza inespugnabile in cui scampare alla crudeltà del nemico, la morte; se invece hanno voglia di lottare, o Giove sconsiderato, non hai tolto agli omiciattoli la capacità di sopportazione, con cui possono vincerti, principe degli dèi, irato e armato quanto ti pare. Cos'è che potrei dire a proposito del ministero dei corpi celesti e dei fuochi, senza commiserazione per i guai che ormai incombono su di noi? Chi è così insensato, chi ha la mente tanto ottusa da non accorgersi, basta che ci faccia attenzione, che è inevitabile tu faccia una brutta fine, Giove, per colpa di nessun altro che te, traditore di te stesso? Non sei stato tu a concedere al Fato una simile pienezza di poteri assieme a margini di discrezionalità così ampi? E poi, se quelli che hanno ricevuto la guida delle stelle e dei pianeti non la smetteranno di desiderare sempre novità, com'è già loro abitudine, chi vuoi che non si renda conto che prima o dopo daranno ai celesti un altro re?».




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